La vicenda consumatasi nei minuti finali di Hoffenheim-Bayern Monaco, oltre a costituire un precedente assolutamente inedito a quelle latitudini, ha probabilmente sollevato una volta per tutte il velo di Maya su quanto sta avvenendo nel calcio teutonico. Ci troviamo, infatti, davanti a una resa dei conti tra la governance della DFB – che, occorre ricordarlo, è la federazione sportiva più grande del mondo con circa sette milioni di iscritti – e le associazioni dei supporters tedeschi, guidate in questa battaglia da alcuni tra i gruppi ultras più attivi nella scena teutonica.
Che lo scontro in corso sia aspro lo si poteva dedurre dalla reazione dell’arbitro e dei calciatori in campo. Infatti, mai prima d’ora una partita nella massima divisione tedesca era stata sospesa per l’esposizione di uno striscione, né quando è stato rivolto lo stesso insulto ad alcuni giocatori, su tutti Timo Werner, attaccante del Red Bull Lipsia, insultato ovunque (compresi i tifosi dell’Hoffenheim) per aver abbandonato un club storico come lo Stoccarda per lasciarsi sedurre dalle sirene (e dai milioni) della multiproprietà; neanche per episodi di razzismo si era verificata questa levata di scudi da parte delle massime autorità calcistiche.
Col senno del poi, con cui ci ritroviamo a scrivere questo articolo, possiamo affermare che gli striscioni che hanno preso di mira Dietmar Hopp non abbiano rappresentato altro che una sorta di casus belli, una prova di forza che gli ultras tedeschi hanno voluto mettere in campo per riaffermare il loro ruolo all’interno del sistema calcio in Germania, nonostante i tentativi messi in atto per trasfigurarlo definitivamente: dalla presenza di una selezione cinese under 20 in quarta serie (ritirata prontamente dopo le prime manifestazioni filo-tibetane sui campi di gioco), ai tentativi sempre più numerosi di bypassare il “50+1”, l’equilibrio finanziario architrave del sistema tedesco, ultimo quello di Martin Kind, presidente di lunga data dell’Hannover che avrebbe voluto rilevare con alcuni soci il club, minacciando di andare fino alla Corte Europea per testare la validità della norma, e che si è visto prima contrastato e poi estromesso dallo stesso grazie all’azione incessante del gruppo ProVerein1896 che lo ha contestato ininterrottamente allo stadio, nelle assemblee dei soci e nelle strade cittadine, fino a quando non ha ottenuto la sua estromissione.
Infatti, in un comunicato, la Schickeria, il principale gruppo degli ultras bavaresi, ha inteso mettere i puntini sulle “i” e chiarire una volta per tutte che il vero destinatario del loro messaggio era la DFB.
Ovviamente ciò non vuol dire che il magnate, che è uno dei co-fondatori di SAP SE, uno dei principali sponsor della DFB, non sia esente da responsabilità, la sua personalità istrionica che si dipana tra la tanta beneficenza di pubblico dominio ricordata dai suoi sostenitori e la facilità di licenziamento nelle sue aziende rendono parzialmente il quadro di una personalità davvero sui generis. D’altronde a lui è stato consentito di aggirare il vincolo del “50+1” e secondo la vulgata comune, attraverso questa breccia creata da (o forse sarebbe più opportuno dire “per”) lui nel calcio tedesco è arrivata la longa manus della Red Bull. Infatti, non è errato affermare che, sebbene l’ostilità nei confronti di Hopp vanti radici profonde, se non proprio dal suo insediamento nel 2005, almeno dalla prima promozione in Bunsdesliga dell’Hoffenheim, nel 2007, negli ultimi tempi la sua figura era quasi “passata di moda” agli occhi dei fan più radicali della Germania che ormai si erano concentrati sulla squadra di Lipsia, la nuova panacea di tutti i mali.
Certo, come abbiamo visto, ci sono altri temi molto sensibili, quali ad esempio il posticipo del lunedì come dimostra “la coreografia” inscenata dagli ultras dell’Eintracht Francoforte che nel match interno contro la Union Berlin avevano depositato un bandierone in cui la scritta “Montag” (lunedì) risultava sormontata da un cartello di divieto, sulla gradinata lasciata vuota per protesta, a dimostrazione di quanto possano costituire gruppi di pressione le tifoserie organizzate; o anche tramite il lancio di palline da tennis da parte dei tifosi dl Norimberga che hanno colpito anche il calciatore del Borussia Dortmund Jadon Sancho.
Nel comunicato degli ultras del Bayern, pur prendendo parzialmente le distanze dal loro stesso striscione, ma solo per il suo contenuto sessista (addirittura gli ultras dello Schalke04, chiedevano scusa alle prostitute per averle accomunate ad Hopp), hanno dichiarato di aver scritto quel testo, tale e quale a quello degli ultras del Borussia Dortmund (probabilmente la piazza che si è dimostrata più sensibile alla causa della salvaguardia dello spirito popolare del calcio teutonico) che proprio per aver espresso quel messaggio hanno subito il divieto di andare a Sinsheim (dove gioca l’Hoffenheim) per due anni, a dispetto di quel patto stipulato tra la stessa DFB e le associazioni dei tifosi del 2017, in cui la prima si era impegnata a non adottare più sanzioni collettive, quali appunto il divieto di andare in trasferta per intere tifoserie.
Al centro della critica, quindi non può che esserci Fritz Keller, il presidente della Federcalcio tedesca dallo scorso settembre, colui che avrebbe dovuto rappresentare una rottura rispetto al regno del suo predecessore Reinhard Grindel schiacciato – tra le altre cose – da presunti regali e introiti di dubbia provenienza e dal fallimento della spedizione in Russia. Invece, Keller ha cominciato già da subito a disattendere le aspettative, come testimoniano le dichiarazioni del presidente della Union Berlin, Dirk Ziengler, che ha dichiarato che anche a causa dei continui cambi di leadership, la DFB ha perso di credibilità agli occhi dei sostenitori e che il tanto decantato modello tedesco riguarda la gestione oculata da parte dei club e non quella da parte della federazione, sia facendo finta di nulla di fronte ai casi di razzismo che sono in preoccupante aumento sui campi tedeschi, sia adottando una politica di scontro frontale con le associazioni dei tifosi e degli ultras in particolare come “Fan Project” e “Unsere Kurve”, sostenendo durante una delle trasmissioni sportive più seguite in Germania che “Le società farebbero bene a controllare meglio a chi destinano i biglietti”. Ormai il dado era tratto e la protesta si era propagata: la Fanszenen Deuschlands, una delle più grandi organizzazioni di ultras in Germania, ha pubblicato una lettera aperta contro la DFB affermando che i fan stanno solo cercando di difendere i valori democratici e ha concluso con un’inequivocabile “Fick Dich DFB!” [Fottiti DFB!]. Di fronte alla protesta coordinata da parte delle tifoserie tedesche che avevano deciso di forzare la mano esprimendo a tutti i livelli solidarietà agli ultras bavaresi, attraverso striscioni analoghi o tramite il coro ormai diffusosi a macchia d’olio “Fussballmafia DFB”, e giusto un passo prima del baratro della sospensione sistematica delle partite e di conseguenza dell’intera giornata del campionato appena accennata da qualche arbitro come ad esempio a Colonia, Keller – che dapprima aveva raccomandato maggiore severità agli arbitri – si è trovato costretto a convocare una riunione informale coi club e con le associazioni dei tifosi per cercare di trovare un punto d’incontro.
Ormai Hopp, suo malgrado (oppure, vista la risaputa megalomania del magnate dell’informatica, neanche tanto a suo malgrado...) si era ritrovato simbolo e al centro di una contesa molto importante. Da un lato i vertici della federazione e di alcuni tra i principali club, dal Bayern Monaco allo Schalke04 (il cui presidente, Clemens Tönnes, è stato più volte accusato di razzismo) che facevano quadrato intorno a un “povero miliardario” che veniva discriminato per aver voluto cambiare le regole; dall’altro gli ultras, che probabilmente non avevano nulla contro l’uomo Dietmar Hopp, ma contro quello che esso rappresenta, sia in termini di mercificazione del calcio, che di “serrata padronale”, visto che una delle principali argomentazioni che contrapponevano ai propri antagonisti era quella di non aver attuato misure analoghe durante gli episodi di razzismo, come dimostrava il caso del calciatore dell’Herta Berlino, Jordan Torunarigha, espulso per aver reagito a degli insulti razzisti. Alla fine nonostante una vasta gamma di posizioni diversificate, tra le quali spiccava paradossalmente proprio quella del presidente e bandiera del Bayern Monaco Rumenigge all’insegna della tolleranza zero, ha prevalso una linea di concertazione, perché come si suol dire “The show must go on!” [o meglio sarebbe dovuto andare avanti, prima di questa pandemia], a maggior ragione in questo determinato periodo in cui la Bundesliga sta cercando di cambiare il proprio volto e di aprirsi maggiormente al business. E se da un lato gli ultras probabilmente rappresentano il principale ostacolo alla mercificazione integrale del calcio tedesco, dall’altro costituiscono ancora un avversario troppo ostico da sconfiggere senza colpo ferire, anche per via del fatto che è il loro sostegno sugli spalti a contribuire a rendere appetitoso e spettacolare il prodotto del calcio tedesco.
Sicuramente, buona parte di questo potere contrattuale è dovuta all’attivismo che le principali piazze hanno sempre dimostrato nel portare avanti campagne contro il fascismo, la discriminazione razziale e di genere, questioni ancora molto sentite in Germania, e più in generale all'aver dimostrato una forte sensibilità sociale su diversi temi, come ad esempio gli ultras del Werder Brema che hanno pubblicamente criticato lo sponsor della società, l'agenzia immobiliare Wohn Invest definendola “squalo immobiliare”, dando voce così al sentire comune; così come gli stessi ultras del Bayern, rispondendo per le rime a Rumenigge che li definiva il volto peggiore del glorioso club bavarese, hanno ricordato le loro campagne contro i soggiorni del club in Qatar negli stessi luoghi dove morivano centinaia di operai intenti a lavorare in condizioni di schiavitù per la realizzazioni degli stadi del mondiale e che sarebbe quello il vero volto peggiore della gloriosa società bavarese.
Comunemente si fa risalire il peso dei gruppi di tifosi all’interno del calcio tedesco a circa una trentina d’anni fa, quando agli albori degli anni Novanta il Werder Brema era intenzionato a ristrutturare il suo stadio eliminando le zone in cui i tifosi potevano assistere in piedi alla partita, generando una furiosa reazione da parte delle associazioni di tifosi che portò il club a più miti consigli, consultando cioè le stesse associazioni nei lavori di ammodernamento allo stadio e dal 1994 le “Safe Stand Areas” sono garantite per decreto in tutti gli stadi tedeschi.
Non sembra un’esagerazione affermare che il conflitto che si è venuto a creare in Germania abbia delle basi ideologiche ben definite e che siamo arrivati al punto in cui in un verso o nell’altro verrà superata quella situazione brillantemente descritta da Valerio Marchi negli ultimi anni della sua fortunatissima produzione intellettuale, quando aveva più volte decantato le virtù del modello tedesco che si rivelava inclusivo anche per i gruppi organizzati – sebbene in Italia gli epigoni di questo modello non ebbero la medesima fortuna e subirono critiche feroci, legittime nella sostanza, ma forse a posteriori esagerate nella forma – anche dagli stessi ultras come l’antesignano “Progetto Ultrà” o la piattaforma “movimento ultras” che raccolsero molto meno di quanto seminato. Probabilmente perché per quanto duraturi, gli “equilibri asimmetrici” come questi non sono eterni, e ad un certo punto bisogna dissotterrare l’ascia di guerra tanto per resistere ai nuovi assalti della finanziarizzazione del calcio quanto per decidere le sorti di questo conflitto di classe su scala globale, tra chi continua ad avere una visione popolare del calcio e chi vorrebbe renderlo sempre più esclusivo. Sorti che potrebbero dipendere da quanto accadrà in futuro in Germania.
Giuseppe Ranieri