Nel febbraio del 2016, a Bologna, era maturata l’idea di dedicare un festival al calcio e alla sua letteratura. Si sarebbe chiamato “Parole nel pallone” e lo avremmo organizzato noi della Red Star Press insieme a Sportpopolare.it e al CUA. Al momento di fissare il cartellone degli ospiti, l’idea si impose da sola, quasi fosse obbligatoria: «Perché non invitiamo Gianni Mura?».
Fu così che presi la carta e la penna. Anzi no, seduto alla scrivania della Red Star Press, accesi il computer e iniziai a digitare sulla tastiera:
Buonasera Gianni,
è un piacere per me scriverti e mi permetto di usare il tu per la familiarità – tutta immaginaria, anzi letteraria – con i tuoi libri e articoli.
Mi chiamo Cristiano Armati, lavoro nell’editoria dal 1999, e ti scrivo per parlarti di un festival che si sta organizzando in quel di Bologna. Si chiama “C’era una volta il calcio” e, come filo conduttore, proverà a tenere il discorso sul cambiamento che ha investito uomini, idee, visioni e pratiche del gioco più bello del mondo. A non cambiare, forse, c’è la voglia di raccontare. E per questo il motto ideale del festival sarà “chi sa solo di calcio non sa nulla di calcio”. Gli appuntamenti, fissati per i giorni compresi tra il 4 e il 6 di febbraio, si svolgeranno negli spazi dell’Università di Bologna (escluso il 6, quando ci si sposterà in una sala destinata a ospitare il concerto del gruppo torinese Statuto) e sono curati dagli studenti. Oltre a una serie di presentazioni in fase di definizione, nel corso di queste giornate avremo fra gli ospiti Darwin Pastorin e Cass Pennant, ci sarà un momento dedicato al compianto sociologo di strada Valerio Marchi tenuto dagli ultrà che lo conobbero, come Claudio Dionesalvi di Cosenza (professore di latino e autore di alcuni libri molto belli sulla squadra calabrese), e un altro che parlerà di scrittura e sport con lo scrittore-tifoso bolognese Gianluca Morozzi. Ci sarà ancora una tavola rotonda a cui parteciperanno un buon numero di redattori di blog sportivi e ancora altre cose, tra cui, come speriamo davvero vivamente, anche la tua presenza per parlare di calcio dal tuo punto di vista. Sto scrivendo proprio per farti arrivare questo invito. Qui al festival crediamo che sia stato il tuo approccio a tenere vivo un modo di accostarsi al calcio che non esautori lo sport dal suo legame con la vita, ma che al contrario sia in grado di tenere sempre presente in modo naturale come nessuno abbia mai tracciato dei confini precisi tra i novanta minuti di una partita e il resto del mondo. Che si passi per una trattoria sperduta nelle Langhe o per gli ingorghi metropolitani, il calcio è lì, con la sua galleria di metafore, rimandi, storie ed emozioni. Insomma, sarebbe per noi un grande onore poterti avere nostro ospite a Bologna nel giorno che i tuoi impegni dovessero trovare libero. Sarà nostra cura occuparci, per te e signora se volesse essere dei nostri, del viaggio, dell’albergo e, sperando che le nostre papille gustative siano all’altezza della situazione, anche di un posticino bolognese dove si entra con la fame e si esce con il sorriso.
Ne approfitto in ogni caso per salutarti con affetto,
Cristiano
Qualcosa mi diceva che la risposta sarebbe stata positiva e avevo ragione. La conferma mi arrivò direttamente per telefono: Gianni Mura avrebbe partecipato a “Parole nel pallone” e io… mi sarei incontrato con lui il giorno della presentazione, non direttamente nelle aule (occupate) dell’università ma, con largo anticipo, direttamente in un ristorante bolognese in odore di stella Michelin: un posto in cui Mura aveva prenotato a nome “Mario Rossi” per andare a mangiare, provare i vari piatti e poi recensire il locale sulle pagine del giornale su cui teneva una nota rubrica di gastronomia.
Del conto, mi disse Gianni, non mi sarei dovuto preoccupare. Nel locale ci saremmo stati io, lui e… la carta di credito dell’«Espresso».
Ma io non mi preoccupavo davvero.
A parte che mi ritrovai sul posto un’ora prima del convenuto: tempo che spesi a farmi un giro nei dintorni prima di varcare la soglia alle 13 spaccate e dire che avevo una prenotazione, a nome “Mario Rossi”, naturalmente.
Il maître mi stava giusto scortando verso i nostri posti quando la porta del locale si aprì di nuovo. Questa volta era Gianni, che capì subito che il suo commensale ero io, quindi si avvicinò tendendomi la mano: «Ciao», mi disse.
E poi aggiunse subito: «A che ora facciamo questa sera?».
Non ci eravamo ancora messi seduti. E io, ingenuamente, credetti che stesse parlando dell’incontro all’università. E allora risposi: «Beh, non so, dovrebbe essere alle 20 e 30. Ma sai come vanno queste cose… magari si inizia verso le nove…».
«No, no», mi corresse lui trovando il modo di accomodarsi, «voglio dire: a che ora andiamo a cena?».
Considerando che ancora dovevamo iniziare a pranzare non ne avevo proprio idea. Fu lui a sciorinarmi un elenco di posti senz’altro aperti anche «dopo teatro», come si dice in gergo. Io, che a Bologna conoscevo più che altro la famosa trattoria dove andava a mangiare Guccini più un paio di posti frequentati soprattutto da studenti, lo stavo a sentire, prendendo con la massima serietà il compito di dare, per la recensione, una mano a lui e un’altra alla carta di credito dell’«Espresso», su cui si riversarono antipasto, primo, secondo, contorno, dolce, caffè, ammazzacaffé e naturalmente diverse rappresentanti della cantina del ristorante, di cui, in modo particolare, mi restarono impresse certe bollicine rosate che… cosa dire? Si bevevano da sole!
Il tutto non durò certo pochi minuti. Ed essendo che le bollicine non mancavano, quando riuscimmo ad alzarci Mura, che già era grosso di suo, mi sembrò addirittura enorme. Vuoi per la visione dilatata, vuoi per la sequela di storie da archiviare alla voce “calciatori e allenatori comunisti” che, al momento dell’agognato incontro all’Università si riversò anche nell’aula (occupata) a beneficio di studenti, studentesse e di chiunque fosse arrivato per non perdersi la serata.
«Ah», commentò Gianni prima di iniziare a parlare, «ma si può fumare qui?».
La domanda ovviamente era retorica (sì, si poteva fumare…). Ma non credo di esagerare se dico che Gianni Mura avrebbe firmato e sottoscritto la parola d’ordine «OCCUPIAMO TUTTO» a partire dalla constatazione che degli spazi liberati si possono dire tante cose, ma non che siano soggetti all’ipocrita dittatura pseudo-salutista imposta dal politicamente corretto («“Nuoce gravemente alla salute” dovrebbero iniziare a scriverlo sulla fiancata di ogni automobile», rincarai la dose io, aspirando una voluttuosa boccata).
Da quel momento in poi, sulla sala, sollecitati dalle domande, iniziarono a piovere calciatori e allenatori comunisti, anarchici, ribelli, in quantità industriale, insieme ai loro omologhi ciclisti e a una caterva di aneddoti in maglia azzurra e gialla, spaziando dai mondali di calcio ai tour de France. Una discussione fitta che, senza soluzioni di continuità, finì per riversarsi in uno di quei «dopo teatro» che Gianni conosceva in anticipo e dove andammo in non so neppure io più quanti e fino a non ho assolutamente idea a che ora. D’altro canto, questo «dopo teatro», prima ancora che per il cibo era famoso proprio per gli spiriti e il vino.
Quando proprio dovevano chiudere e già qualunque altro tavolo a parte il nostro aveva le sedie rovesciate sopra, anche noi uscimmo. Con molti neppure ci conoscevamo, ma a quel punto eravamo tutti vecchi amici, compagni di bisbocce e consumati avventori di osterie. Gianni lo lasciammo davanti a una bettola di quelle che si può permettere uno studente universitario fuori sede e che anche noi organizzatori avevamo potuto (e trovato giusto) pagare: un alberghetto tre stelle, anzi, un «trois étoiles», come commentò il nostro ospite sorridendo e agitando la mano per salutare.
«Ciao Gianni», rispondemmo noi a pugno chiuso.
La stessa cosa che dico ora ricordando quel giorno a Bologna. Eravamo io, Gianni Mura e la carta di credito dell’«Espresso». Nessuno credeva in Dio, altrimenti «a che ora facciamo questa sera» sarei io a chiederlo adesso.
Cristiano Armati