Si fa un gran parlare del calcio ai tempi del corona virus, ma com'è ovvio l'attenzione è tutta concentrata sulle consuete polemiche che riguardano il calcio dei miliardi e dei vip. E quanto stucchevoli sono i discorsi che provengono da quel mondo, tanto lo sono quelli di chi lo critica. Recriminazioni fuori tempo massimo su partite che non si sarebbero dovute svolgere, fatte magari da sindaci che diversi giorni dopo ancora incitavano i cittadini a fare shopping e aperitivi come se nulla fosse. Giocatori di prima fascia che rinunciano agli stipendi, cosa che attira loro lodi e improperi in egual misura, ed entrambi ampiamente inutili e superflui. Polemiche sulla possibile ripresa dei campionati, con le varie società che provano a mascherare goffamente il fatto che anche adesso, come sempre, ognuno tira l'acqua al proprio mulino: chi aveva una stagione interessante spinge per riprendere, chi viceversa non aveva grandi obiettivi manderebbe volentieri tutto a monte. Staremo a vedere, l'unica parola veramente importante sarà quella dei medici e delle autorità sanitarie. Alla luce del rinvio degli Europei e delle Olimpiadi, appare ad oggi abbastanza probabile che in qualche bizzarra maniera la stagione dei campionati principali e delle Coppe europee verrà portata a termine, anche se trapelano opinioni di scienziati che sostengono che avremo delle ondate di emergenza che si alternano, cosa che per lo svolgimento dei tornei sportivi rappresenta effettivamente una minaccia non da poco.
C'è però tutto un mondo molto meno ovattato e privilegiato che si interroga sul proprio prossimo futuro, ovvero quello dello sport dilettantistico. Ci si concentrerà in questo caso sul calcio, vista anche l'eterogeneità delle soluzioni che le varie federazioni sportive hanno prospettato: alcune ad esempio hanno già messo ufficialmente la parola fine alla stagione. Non è così per il calcio, per il quale al momento si aspettano le decisioni riguardanti i professionisti, e le relative tempistiche di ripresa. Al momento l'orientamento che sembra prevalere, anche se soltanto sulla base di dichiarazioni informali, poco più che chiacchiere, è quello di portare a termine anche i campionati dilettantistici, attaccandosi alla ruota dei professionisti.
Un orientamento che, messa per un attimo da parte l'irrazionale voglia di tutti noi di tornare a fare le cose che più ci piacciono, appare però oggettivamente lontano dalla realtà quotidiana, se non addirittura folle. Se infatti le società professionistiche possono piegare ogni altra esigenza all'assoluta priorità di tornare a giocare (basterebbe anche solo la questione dei diritti tv), e per calciatori molto ben pagati il fatto di giocare tutta l'estate non appare certo come uno sforzo che, per una volta, non gli si possa chiedere, tutt'altro discorso vale per chi è abituato anno dopo anno a programmare fino all'ultimo centesimo di entrate e di uscite per mantenersi a galla e proseguire la propria attività.
In parte questo problema potrebbe riguardare anche la serie C, dove una buona fetta di società non naviga certo nell'oro, come testimonia anche la piaga dei fallimenti che soprattutto negli ultimi anni ha falcidiato molte storiche realtà e ha pesantemente falsato l'andamento dei campionati. Insomma, laddove la solidità economica inizia a essere più precaria, una crisi come questa rischia di aprire davvero delle falle enormi. E proprio insistere a giocare per concludere a tutti i costi la stagione potrebbe determinare un ulteriore aggravamento di questa situazione, benché il presidente della LND Sibilia abbia fatto intendere il contrario, ovvero che bisognerebbe concludere i campionati proprio per scongiurare il possibile fallimento addirittura di un terzo dei club dilettantistici.
Ma come ben sa chi si barcamena nell'organizzare le attività di una società dilettantistica, allungare di due o tre mesi una stagione entrando nell'estate è una cosa praticamente infattibile: i costi degli impianti e dei rimborsi a giocatori e staff e la possibile scadenza di contratti di sponsorizzazione, o peggio ancora il fallimento degli sponsor stessi a causa della crisi, possono davvero decretare il triplice fischio per l'esistenza di moltissime società. Un problema strettamente collegato è anche quello dell'estrema eterogeneità dell'universo del “calcio dilettantistico”: si va dalla serie D, dove una società può arrivare ad avere bilanci di qualche milione di euro l'anno, alla Terza Categoria dove basta poco più di una colletta tra i giocatori e il gioco è fatto. Può sembrare un paradosso, ma forse i problemi più gravi li avrebbero proprio le società dei campionati maggiori del dilettantismo, a serio rischio di diventare insolventi rispetto ai loro impegni economici.
Insomma, forse mandare tutto a monte e riprendere a settembre 2020 come fosse settembre 2019 potrebbe essere una soluzione che limita i danni, i quali chiaramente sono impossibili da evitare del tutto, in una situazione di crisi economica profonda che appare ormai inevitabile. Ma non sarà affatto facile mettere d'accordo tutti, ad esempio i club che quest'anno avevano investito molte risorse per fare campionati di vertice è facile immaginare che saranno restii a rinunciare a tutto; pensiamo anche che in serie D ci sono società come Palermo e Foggia, solo per fare due esempi. Queste società ricche e prestigiose è verosimile che faranno pressioni affinché in qualche modo la stagione venga portata a termine, e il loro peso specifico in Lega è sicuramente alto.
Un'altra questione è quella legata alle garanzie sanitarie per gli atleti: se in serie A e B sembra fattibile giocare a porte chiuse, tutelando gli atleti che possono allenarsi in settimana nei loro centri sportivi iper-protetti e per il resto fare una vita morigerata e uscire poco, per evitare un ritorno del contagio, i dilettanti fanno invece una vita molto più normale, vanno a lavorare, prendono l'autobus e il treno, sono molto più inseriti nella società. Se ci dovessero essere nuovi casi, anche pochi, dopo l'eventuale ripresa del campionato, come regolarsi?
Sia che si ricominci a giocare, sia che si vada a settembre, c'è poi il capitolo degli aiuti pubblici, che in realtà sarebbe un capitolo importante e doloroso a prescindere dall'emergenza corona virus. Il ministro Spadafora ha ventilato l'ipotesi di stanziare 400 milioni, molto ben accolta da Sibilia. Così a occhio, appaiono pochi, specie di fronte all'emergenza. Potrebbero essere un buon inizio, se utilizzati per interventi strutturali, che continuino a dare frutti nel tempo: ad esempio adeguamento degli impianti e abbattimento dei costi di utilizzo per le società, oppure sviluppo delle scuole calcio. Abituati come siamo alle dinamiche clientelari del nostro paese, purtroppo non viene da essere ottimisti in tal senso: il timore è che gli aiuti economici siano in un modo o nell'altro a fondo perduto, che vadano a tappare maldestramente qualche falla senza mettere le basi di nulla, che creino come spesso accade figli e figliocci.
Per concludere, una nota sul “calcio popolare”, che del mondo del dilettantismo è recente protagonista, per quanto elementi di autorganizzazione siano da sempre presenti, in modo più o meno cosciente, in chi fa sport a questi livelli. Al momento si possono solo fare ipotesi, ma di fronte allo spettro di una crisi economica che nei prossimi anni potrebbe davvero fare tante vittime tra le società sportive, chi si basa sull'azionariato popolare potrebbe avere qualche anticorpo in più. Non vuole essere un discorso cinico, nessuno vuole farsi forte delle disgrazie altrui. Ma insomma, abbiamo sempre teorizzato che un modello basato sul principio “tanti devono dare poco”, e molto legato al territorio, sia non solo più giusto, ma anche più solido, specie di fronte a scossoni imprevisti. Non dipendere da un solo sponsor, o dalle risorse di un padre-padrone, ma essere frutto della collettività, avere tanti soci, poter organizzare iniziative di autofinanziamento con facilità, ti dà molte più carte da giocare quando la situazione si fa difficile. Queste affermazioni saranno tutte da verificare nel prossimo futuro, ma le premesse sembrano essere queste. Non vediamo l'ora di tornare al lavoro.
Matthias Moretti