In un periodo surreale e senza precedenti come quello che stiamo vivendo in cui è praticamente impossibile parlare di calcio giocato, poche cose possono consentirci di mantenere in vita il rapporto tra le comunità di tifosi e quel patrimonio simbolico incarnato dalle squadre nel corso della loro esistenza.
Ieri ricorreva il novantacinquesimo anniversario della fondazione del Colo Colo, molto più di un club e non semplicemente la squadra più famosa e vincente del Cile ma, come lascia presagire il nome, un vero e proprio simbolo di rivalsa sociale per le classi subalterne cilene e per i nativi sudamericani, visto che come ha acclarato un sondaggio recente è la squadra che può contare sul maggior sostegno da parte degli immigrati nel paese andino (quasi la metà del totale, il 46%) e che si è trovato a scandire pagine cruciali della storia del proprio paese, sportiva e non, avendo potuto annoverare nelle proprie fila alcuni giocatori storici e passati alla storia anche per prese di posizione inequivocabili in questioni prettamente extracalcistiche, già a partire dalla nascita.
Infatti la sua fondazione è dovuta a una scissione all’interno del Deportivo Magallanes propugnata, tra gli altri, da David Arellano, quello che il grande Eduardo Galeano indica come l’inventore della rovesciata, chiamata appunto la “cilena”, e che trovò una fine prematura proprio sui campi di calcio, durante una tournée in Spagna, per una gomitata ricevuta durante una partita a Valladolid che gli causò un accenno di peritonite, rivelatosi poi fatale. La commozione generale prodotta da questo evento indusse il neonato club ad adottare un simbolo di lutto e addirittura inserirlo nella divisa ("La maglietta bianca sta a simboleggiare la purezza dei princìpi e delle intenzioni, e il nero dei pantaloncini rivela la determinazione che ci porta a combattere sempre lealmente per la vittoria") e successivamente aggiungerlo definitivamente nel logo ufficiale del club.
Colo Colo era inoltre il nome di un antico leader Mapuche che alla metà del sedicesimo secolo si oppose armi in mano ai “conquistadores”, riuscendo anche a infliggergli una cocente sconfitta nella Battaglia di Tucapel nel 1553, e un nome così importante e impegnativo da onorare non poteva trovare miglior interprete di quella che, con buona pace degli storici rivali della Universidad de Chile, è la società più vincente della storia del calcio cileno: sono ben trentadue i titoli nazionali conquistati, in pratica più di un campionato su tre è finito nella bacheca del club del sobborgo di Santiago di Macul, a cui spetta anche il primato simbolico di prima squadra cilena ad aver vinto in Brasile (2-1 al Maracanà in casa del Botafogo), ma soprattutto quello di essere l’unico club cileno ad aver alzato al cielo una Copa Libertadores nel 1991, battendo nella doppia finale i paraguaiani dell’Olimpia Asuncion. Tuttavia la finale per cui il club passerà alla storia è un’altra, vale a dire quella persa nel 1973 contro gli argentini dell’Independiente de Avellaneda che per aver ragione dei colocolini dovettero disputare tre partite, visto che le due previste erano terminate in parità e anche alla terza, disputatasi in campo neutro a Montevideo, riuscirono a risolvere la contesa solo nei tempi supplementari.
Ma l’importanza di quel confronto risiede nel fatto che secondo alcune tesi molto attendibili fu proprio quell’esaltante cavalcata del Colo Colo, in grado di sognare tutta la popolazione cilena ormai sull’orlo di una guerra civile, ad avere un ruolo significativo nello slittamento del tanquetazo, il primo tentativo di colpo di Stato da parte dei militari contro il governo di Unidad Popular presieduto da Salvador Allende (mentre il golpe che purtroppo si rivelò fatale per le sorti del governo cileno si verificò dopo il triplice spareggio tra la nazionale cilena infarcita di giocatori del Colo Colo e il Perù per decidere quale selezione sudamericana avrebbe partecipato allo spareggio intercontinentale, quello che fu boicottato dall’Unione Sovietica) per via del fatto che tutta la popolazione sospingeva la squadra verso quell’impresa sfiorata, e a prescindere dai reali orientamenti politici dei calciatori, il Colo Colo veniva percepito come club molto vicino al governo socialista.
Eroe di quella formazione era Carlos Caszely, bomber della squadra (capocannoniere di quella edizione della Copa Libertadores con nove reti) e capitano della nazionale che rimediò la prima storica espulsione in un mondiale, e questa insieme alla sua opposizione a Pinochet gli costò una sorta di ostracismo e l'esclusione dal giro della nazionale; fu soltanto nel 1982 che fu richiamato a furor di popolo visto che era un vero e proprio mito popolare, e in quella edizione sbagliò un rigore che si rivelò decisivo contro l’Austria: più di qualcuno tuttora sospetta che sia stato fatto di proposito per “punire” il generale che confidava in una performance positiva della roja per risollevare la propria immagine internazionale.
Caszely ebbe comunque modo di vendicarsi diventando uno dei testimonial nel referendum del 1988 in cui il Cile fu chiamato alle urne per decidere se conferire al dittatore cileno la possibilità di governare il paese andino per altri otto anni.
Nonostante la scure della finanza, tramite una controversa istanza di fallimento, si sia abbattuta sul club nel 2002 modificando drasticamente alcuni tratti salienti della sua filosofia, è indubbio che il Colo Colo rappresenti un simbolo di ribellione e di progressismo, come dimostra ad esempio l’istituzione di una “Commissione di Genere” in seno al club e soprattutto l’attivismo de “La Garra Blanca” la principale barra colocolina che si è spesa nella rivolta di questi mesi in un Cile che è sceso nelle strade per protestare contro l’incapacità a le malafede del governo Pinera e la certificazione del fallimento delle sue ricette neoliberiste, chiamando a raccolta anche i tifosi delle altre squadre a manifestare mettendo da parte la rivalità (una sorta di “Santiago United” parafrasando quanto è accaduto a Istanbul nel quadro delle proteste di Gezi Park) che avrà un approfondimento a parte, ma che oltre a un innato senso di giustizia sociale e di ribellione contro i soprusi mantiene un amore viscerale nei confronti della propria squadra, come dimostra l’iniziativa di domenica quando hanno attaccato uno striscione per celebrare i novantacinque anni del club con una lettera aperta a tutti i colocolini per rincuorarli in questo momento difficile e di lontananza e per saggiarne lo spirito in vista della ripresa delle battaglie sugli spalti e nelle strade, perché l’amore per il Colo Colo, così come quello per la libertà, non conosce fine!
Giuseppe Ranieri