Il 24 giugno 2019, a Losanna, il Comitato Olimpico Internazionale ha “assegnato” i giochi invernali del 2026: abbiamo vinto noi, ha vinto la proposta del CONI, hanno vinto le città di Milano e Cortina. Il comitato organizzatore italiano ha sconfitto quello svedese aggiudicandosi per 47 voti contro 34 il mega evento. Le Olimpiadi invernali tornano in Italia dopo 20 anni da quelle di Torino e a Cortina dopo 70 da quelle del 1956. Il presidente della Repubblica Mattarella è tra i primi a esultare. Eppure mentre l'Italia esulta è praticamente sola. E come in ogni competizione agonistica, viene meno anche di esultare se i diretti avversari si ritirano; ancor più se lo fanno perfino col sorriso.
Sfidare un avversario competitivo e batterlo è bello, ma vincere senza avversari forse no. Ma perché non ci sono stati avversari? Alla fine Milano-Cortina la spunta solo su Stoccolma. Nel solo 2018 prima Sion (giugno) quindi Graz (luglio) e infine Sapporo (settembre) abbandonano la competizione. Questo immediatamente dopo il ritiro di altre città che avevano dichiarato interesse: la turca Erzurum, squalificata agli occhi degli osservatori dalle tensioni sociali provocate dalla longa manus del genocida Erdogan; la canadese Calgary, dove immediatamente è stata attivata una campagna cittadina per il NO (www.nocalgaryolympics.org). Perfino la svedese Stoccolma era decisamente tentata dall'exit-strategy dopo aver visto la sorella norvegese Oslo fare un passo indietro. Come mai? Certo, si può dire che i giochi invernali più “piccoli” (6 sport e 15 discipline) non possono competere con le sorelle estive “maggiori”. Giusto: i diversi costi, il numero di sport e di paesi partecipanti, la durata stessa dei giochi ne chiariscono il diverso peso. Eppure anche tra le città che cercano di accaparrarsi le Olimpiadi estive registriamo la stessa tendenza: la ritirata. Tutte le città che avevano inizialmente manifestato il proprio interesse per la kermesse sportiva tanto per il 2024, quanto per il 2028 (tra le altre Salt Lake City, Barcellona, Oslo di nuovo eccetera), hanno via via abbandonato il progetto; e alla fine dei conti, le città di Parigi e Los Angeles hanno ottenuto “a tavolino” i giochi olimpici, semplicemente perché non c'erano altre città candidate per l'assegnazione.
Il meccanismo della candidatura tricolore per i giochi invernali del 2026 ha una genesi tormentata cominciata in sordina almeno tre anni fa, quando Beppe Sala (sindaco di Milano e uomo forte di Expo 2015) manifesta un primo interessamento della città per il tema. Ma era troppo fresco il ricordo del dietro-front capitolino per affrontare con serenità il tema. Il 15 dicembre del 2014 infatti l'allora premier Matteo Renzi aveva annunciato la candidatura dell’Italia per le Olimpiadi estive del 2024, che poi però è stata ritirata. Andiamo con ordine: se ne era parlato spesso, negli ultimi anni, della candidatura di Roma per il 2020, ma alla fine non era stata presentata all’ultimo momento per una decisione dell’austero premier Mario Monti, che riteneva l’avventura troppo costosa. Cambia il premier e cambia anche l'opinione in merito ai grandi eventi, il partito della Troika lascia spazio a quello del cemento: parlando al Forum Ambrosetti il successivo primo ministro Enrico Letta, infatti, dichiara nel 2013, un solo anno dopo Monti: «credo che il nostro Paese debba pensare seriamente a candidarsi per le Olimpiadi del 2024». Nel 2014 l’annuncio di Matteo Renzi non più per l'edizione del 2020 (troppo tardi, ormai assegnata a Tokyo) bensì per il 2024, con discutibile tempismo rispetto all’inchiesta su Mafia Capitale. Cosa succede dunque e perché alla fine se le aggiudica Parigi senza dirette concorrenti? La responsabilità politica di questa scelta ha un nome e cognome: Virginia Raggi. Che come tutti i politici moderni è marionetta nelle mani di un partito o in questo caso movimento. Incapace di prendere decisioni forti, si trova sul groppone la pesantissima eredità del lavoro svolto dal precedente sindaco di Roma Ignazio Marino (PD), in accordo col sempre presente Giovanni Malagò, e col presidente del Comitato promotore delle Olimpiadi Roma24 Luca Montezemolo (amico di Renzi). A settembre 2016 Thomas Bach, presidente del Comitato Olimpico Internazionale, si trovava a Roma per partecipare a un seminario sullo sport in Vaticano assieme alla sindaca Virginia Raggi. Eppure al suo ritorno negli uffici del CIO in Svizzera troverà ad attenderlo una missiva firmata proprio dalla sindaca che qualche ora prima sedeva accanto a lui: l’ultimo atto con cui il Campidoglio ritira definitivamente la candidatura della città. Per capire cosa pensava Di Battista, il redivivo nemico-amico di Di Maio, dell’ipotesi di ospitarli a Roma, basta sfogliare Politicamente scorretto, la sua ultima fatica letteraria, dove scrive: “Io ero estremamente contrario, ma non ero sicuro che i romani la pensassero come me. Decisi di telefonare a Massimo, il mio meccanico, e gli chiesi di radunare un po' di amici. Lui radunò una decina di persone: l’edicolante, il fruttivendolo del quartiere, un paio di parenti, un pensionato. Io arrivai all’officina in motorino. Così, quasi in modo solenne, domandai cosa ne pensassero delle Olimpiadi a Roma. «Ma quali Olimpiadi, con 15 miliardi di euro di debiti?», «Ma siete matti, abbiamo altre priorità», «Come no, e a chi le facciamo fare a Malagò, Montezemolo e Caltagirone?». Le loro risposte furono molto più aspre, e non posso riportare le parole esatte per evitare querele. A ogni modo uscii dall’officina, e mandai un messaggio a Virginia: «Sulle Olimpiadi nessuna esitazione, linea durissima. La stragrande maggioranza dei romani sta dalla nostra parte. Non dobbiamo farle».” Il 21 settembre 2016 il sindaco 5 Stelle in conferenza stampa annuncia il no definitivo alla candidatura alle Olimpiadi. Il 29 settembre 2016 il consiglio comunale di Roma approva con 30 voti favorevoli e 12 contrari la mozione per bloccare la candidatura della città alle Olimpiadi ratificando la scelta del sindaco. Nonostante la delibera del consiglio comunale però, il 7 ottobre il CONI presenta comunque il dossier della seconda fase della candidatura, pur di rispettare i termini previsti dai moduli di procedimento del CIO, tenendo così ancora formalmente attiva la candidatura italiana fino all'11 ottobre, giorno in cui comunica ufficialmente l'interruzione del processo di candidatura. Per la sola edizione 2024 la defezione capitolina è in buona compagnia tra Budapest, Boston, Amburgo e Madrid: le Olimpiadi sono diventate un grande evento indesiderabile. Dopo il dietro-front di Roma, per mesi cala un sostanziale silenzio stampa.
Milan l’è semper on gran Milan
Il ritorno di fiamma arriva in primavera, solo in Italia e solo per l'evento invernale, con la manifestazione d'interesse di Torino, Milano e la new entry Cortina. Nelle stesse settimane una sofferta riforma dello sport prende forma nei palazzi, dove il presidente del CONI Malagò e il governo giallo-verde si misurano non senza diffidenza. Eppure, un nuovo colpo di scena è dietro l'angolo, di nuovo a firma 5Stelle, pronto a stravolgere nuovamente le carte: siamo nel settembre 2018 e la città di Torino, dopo aver dichiarato il suo interesse in maniera ufficiale... si ritira. Il tridente col capoluogo lombardo e la cittadina veneta si spezza e si trasforma in una coppia. Motivo? Poca chiarezza sui finanziamenti statali o privati, pare.“È fondamentale – dice la sindaca 5Stelle Chiara Appendino – avere la massima chiarezza su chi finanzia l'evento e come. Se si vuole portare avanti l'ipotesi di Olimpiadi senza fondi statali ma sostenute da Regioni e privati si chiarisca prima chi mette quanto, altrimenti è da irresponsabili andare avanti, non si prendono impegni a scatola chiusa. Torino non c'è perché la proposta manca completamente di chiarezza”. Ma l'incomprensione pare essere generata, maturata ed esplosa tutta in seno al partito pentastellato, storicamente contrario a ogni mega-evento e tentativo di grande intervento infrastrutturale nel paese. Le polemiche politiche sono asprissime, la ferita è dolorosa pure a Roma: i 5Stelle sono al governo con la Lega di Salvini, che amministra sia Lombardia che Veneto; i due capi regione si consultano e poi confermano la linea: Milano e Cortina sono ugualmente pronte. Di fronte alla cocente sconfitta la sindaca Appendino, per la quale si era speso perfino il ministro grillino Toninelli (che aveva definito la candidatura solitaria di Torino “la migliore possibile”) sceglie di attaccare, chiarendo la sua posizione: “Si tratta di una candidatura insostenibile. È incomprensibile fare i Giochi dove non ci sono impianti. Chi prende questa decisione dovrà spiegarla al Paese. Il CIO chiedeva un modello basato sul riutilizzo degli impianti. Chiederemo conto di questa scelta: ci venga detto e dimostrato come questa candidatura possa stare in piedi senza risorse economiche ma con costi maggiori rispetto alla nostra. Torino con le sue valli e i suoi impianti c'è sempre stata. Altrove andranno costruiti”. A replicare a caldo alla sindaca torinese è Giacomo Portas, alla Camera nel PD: “Appendino non faccia il pianto del coccodrillo. Ci doveva pensare prima. La candidatura di Torino è saltata per colpa dei litigi all'interno della maggioranza M5S”. E l'europarlamentare PD Simona Bonafè rincara la dose: “Olimpiadi 2026: potevano essere Milano-Torino-Cortina, ma la città M5S ha detto no. Vero Di Maio?”. Si spendono anche i pezzi grossi della politica piemontese per cercare di smuovere qualcosa, in fondo perfino un referendum cittadino parla chiaro: l'83% dei torinesi rivuole i giochi invernali. “Questa non è una sfida o una prova muscolare, approfitto per fare un ultimo appello alla sindaca Chiara Appendino, avevo battezzato io il tridente” dice Malagò in accordo con il governatore della Regione Veneto, Luca Zaia. E il governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino, risponde: “Faccio mio l'appello di Zaia. Penso ci sia ancora tempo. La candidatura deve essere delle tre città e non di una sola” – forse immemore delle centinaia di milioni, se non miliardi, spesi quando era sindaco del capoluogo per impianti e infrastrutture nate ad hoc per l’evento, oggi tutte abbandonate e trasformate in scheletri edilizi: trampolino di Pragelato (34,3 milioni di euro), pista di bob di Cesana Pariol (110,3 milioni), una parte del villaggio olimpico (140 milioni), pista di free style di Sauze d’Oulx (9 milioni). Come sottolinea il blog del collettivo Wu Ming, “l’Istituto Bruno Leoni, di cui si può dire tutto tranne che sia un centro di ricerca antagonista, in uno studio del 2012 quantificò la perdita secca di Torino 2006 in ottocento milioni di euro. Un calcolo che teneva conto di tutti i benefici diretti e indiretti delle Olimpiadi”. Il debito cittadino è triplicato dal 2001 al 2011, complici anche le spese per la manifestazione internazionale. “Qualcosa è andato storto”, disse a posteriori Marco Sampietro, ministro delle Finanze del comitato organizzatore di Torino 2006, “le Olimpiadi non sono mai il modo migliore per spendere denaro pubblico, a livello locale comunque si sentono ancora benefici”. Basterebbe questo per non avere dubbi sulla evitabilità della candidatura di Torino, eppure in realtà la sindaca Appendino non fa riferimento a questi dati per giustificare il suo ritiro e affermare l'alternanza rispetto all'asse Lega-PD, ma trova anzi motivo nella difficoltà di far collaborare tre città laddove una soltanto (la sua, Torino) poteva soddisfare tutte le esigenze! Dirà infatti: “Torino non si è tirata indietro, ha chiesto di avere chiarezza su certi elementi, la bozza di protocollo mandata dal sottosegretario Giorgetti non dava queste risposte. L'errore di fondo è stato provare a costruire una candidatura a tre. Sono candidature complesse, mai fatte, si poteva scegliere solamente Torino”. Davvero di difficile interpretazione la posizione del partito pentastellato in questo senso.
Il primo cittadino di Milano Giuseppe Sala, però, non può aspettare. Ragiona sulle Olimpiadi a due, vede la Lega pronta e il PD indietro con la zavorra dei 5S che non sanno avere una posizione univoca; e poi nel settembre 2018 sbotta: “Nel brand olimpico ci sarà Milano-Cortina 2026. Ieri ho sentito il sindaco di Cortina e lui è d'accordo”. In un'altra dichiarazione il sindaco esporrà senza grossi peli sulla lingua il perché della determinazione meneghina ad accaparrarsi l'evento: “Le Olimpiadi, come l'Expo, si fanno per valorizzare il brand e oggi la gente di tutto il mondo non si ricorda dell'Expo di Milano sostenibile, pur essendolo stata, ma dell'Expo associata al brand di Milano”. La metropoli, per sopravvivere nell'agone globale, deve competere a colpi di visibilità internazionale, appetibilità turistica e periodiche iniezioni di capitale, media e visitatori. Ma come fa notare correttamente Alberto di Monte su un articolo comparso in A-rivista anarchica del novembre 2018: “Questa progressione per strappi genera fisiologicamente un forte stress alla città pubblica (oltre che alle maglie del diritto, in ossequio alla logica commissariale) e agli abitanti della città; in questa postura coesistono dunque i punti di forza e di crisi del territorio. Indebitamento pubblico, lavoro sotto o non retribuito, infrastrutture sovradimensionate, sono gli indicatori tipici di questa frizione democratica”. A brindare per prime infatti, sono state le imprese di costruzioni e il settore immobiliare, i veri vincitori. Ma quali saranno, nel caso di Milano, gli effetti sulle periferie, sui ceti medi e bassi, sul futuro cittadino? Milano è ormai una città proiettata nel mondo, un centro smart che si sta avvicinando alle grandi metropoli globali. Ma il capoluogo lombardo vive una spaccatura sempre più forte tra centro e periferia e un’emergenza abitativa frutto perlopiù di dinamiche speculative amplificatesi già con Expo. “In questo momento avere davanti il nome e l'immagine di Milano è un bene per tutti” dice in merito alle Olimpiadi Sala. Ma siamo sicuri che le Olimpiadi creino un bene davvero per tutti?
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