Ritrovandoci a vivere nella nostra epoca è inevitabile pensare alle associazioni dei calciatori come un pulpito attraverso il quale giocatori impomatati e strapagati hanno un’ulteriore possibilità di pontificare, mettersi in mostra ed esporre le proprie rivendicazioni, a volte legittime e miranti alla tutela di quelli meno affermati e tutelati, altre volte del tutto incomprensibili a chi guadagna cifre infinitamente minori e vive la propria vita scandita dai sacrifici per ottenere ogni minimo traguardo. Al di là di situazioni limite, probabilmente buona parte di questa seconda casistica deriva anche dalla diversa percezione che abbiamo al giorno d’oggi sul ruolo delle forze sindacali, e a quella che la stragrande maggioranza di noi giudica, nel migliore dei casi, la loro degenerazione.
Eppure, la storia della sindacalizzazione dei calciatori nei vari contesti delle principali leghe europee ha degli sviluppi molto interessanti e direttamente collegati alle vicende storiche dei periodi in questione.
Un esempio valido riguarda la sindacalizzazione dei calciatori spagnoli avvenuta nel periodo più cruento della storia recente del paese, vale a dire quei turbolenti e drammatici anni Trenta apertisi con una dittatura, intervallati dall’illusione della Seconda Repubblica e del Fronte Popolare e conclusi di un’altra dittatura purtroppo più duratura e se possibile ancora più feroce, diretta conseguenza della Guerra Civile, vale a dire l’incubo del franchismo.
Con l’eccezione della Catalogna, in cui il professionismo calcistico arrivò nel 1917, nella penisola iberica si può cominciare a parlare di calcio professionistico nel 1926, in un contesto particolare, cioè nello stesso anno in cui terminò la guerra del Rif, un’avventura coloniale condotta dalla Spagna contro alcune tribù marocchine (che si concluse grazie all’intervento risolutivo delle truppe francesi che non esitarono a sganciare gas tossici contro queste tribù di montagna) che di fatto accrebbe il prestigio di Miguel Primo de Rivera che proprio in quello stesso anno “apriva” il governo anche ai civili.
È in questa tipica cornice di distrazione di massa mediante il calcio che può essere interpretata questa svolta, a cui probabilmente va aggiunta la delicatissima questione delle nazionalità oppresse che ha sempre giocato un ruolo di primissimo piano nel contesto iberico; va da sé che un campionato nazionale nel quale inquadrare i club rappresentanti dei riottosi baschi e catalani sarebbe stato utilissimo al progetto di ferrea centralizzazione nazionale sempre anelati dalla fazione nazionalista.
A ulteriore conferma, tre anni dopo si ebbe la creazione di un campionato nazionale in grado di razionalizzare l’intero movimento calcistico nazionale visto che fino a quel momento, con l’eccezione della Coppa del Re creata nel 1902, esistevano solo tornei locali (come appunto quello catalano o quello di Gipuzkoa o la Coppa di Andalusia). D’altro canto era abbastanza nota l’avversione di Primo de Rivera nei confronti del mondo sindacale (ovviamente a parte quello che faceva capo al suo partito) e la sua intenzione di schiacciare sul nascere ogni velleità di autorganizzazione operaia, e se il sindacato socialista della UGT decise di abiurare scendendo a patti con la dittatura (la famosa linea del “minor danno”) pur di provare a svolgere le proprie attività basilari, la CNT, il forte e combattivo sindacato anarchico, fu addirittura bandita.
Pertanto non deve sorprendere che il primo tentativo di sindacalizzazione dei giocatori iberici sia avvenuto solo nel 1936, quando nelle celebrazioni per la vittoria della vittoria del Coppa del Re da parte del Real Madrid sul Barcellona, i giocatori più rappresentativi della squadra madrilena, Ricardo Zamora e Jacinto Quincoces posero l’accento sui diritti dei calciatori, nonostante in quel periodo i calciatori percepissero già stipendi mediamente più alti degli altri lavoratori (mentre occorre ricordare che in precedenza questi, o comunque quelli più forti, venivano pagati in modo indiretto).
Probabilmente ciò fu reso possibile anche dal fatto che il contesto nazionale era profondamente cambiato: alla dittatura di Primo de Rivera era succeduta la seconda repubblica, la CNT non era più in clandestinità e poteva puntare sul consenso popolare, anche per il fatto di non essersi minimamente compromessa con la dittatura, e sulla sua radicalità. Ciò che ne conseguì fu una polarizzazione della politica che portò a una serie di rese dei conti con i vecchi sostenitori della dittatura (in primis la chiesa cattolica), alla caduta del governo di destra presieduto dalla CEDA e alle successive elezioni vinte dal Fronte Popolare proprio nel 1936 grazie anche all’apporto della CNT, che ottenne in cambio la liberazione dalla galera di decine di migliaia di propri adepti. Quello che avvenne successivamente, col “pronunciamento” militare di Franco e l’innescarsi della Guerra Civile, è storia nota.
In ogni caso, quando nell’aprile del 1936 l’Athletic Bilbao conquistò il suo quarto titolo nazionale, nessuno immaginava che il calcio iberico si sarebbe fermato, eppure la situazione precipitò in brevissimo tempo. E fu proprio nel momento di pressoché totale stallo e incertezza sul futuro del calcio iberico, che doveva la propria sopravvivenza giusto a qualche amichevole svolta nel territorio repubblicano per finanziare le casse del Soccorso Rosso e allietare la vita dura delle milizie donando loro qualche attimo di distrazione, che si creò a Barcellona un’unione di calciatori, allenatori e massaggiatori che nel settembre 1936 si affiliarono all’UGT. La loro funzione fu duplice: da un lato, pur essendo sospesa ogni attività ufficiale della federazione (d’altronde diversi complessi sportivi erano stati requisiti dalle milizie popolari antifasciste) garantivano il prosieguo delle attività calcistiche, dall’altro ebbero un ruolo eminentemente politico consentendo ai propri affiliati delle squadre che erano ricadute nel territorio occupato dai franchisti di poter raggiungere le squadre della zona repubblicana. Nonostante la Generalità Catalana non lo avesse previsto, la pressione del sindacato fu determinante per fare disputare qualche torneo in Catalogna e nel Levante tra il mese di ottobre e quello di dicembre, e grazie a un accordo tra la federazione spagnola e quelle catalana e valenciana si disputò anche un campionato della Spagna antifascista, terminato nell’aprile del 1937 in quella triste cornice di scontri fratricidi all’interno del campo repubblicano che di fatti spianarono la strada alla vittoria franchista e all’instaurarsi della sua feroce dittatura.
Con l’instaurarsi del regno del terrore del Caudillo, sia la CNT che la UGT furono messe fuori legge e l’unico sindacato consentito era il Sindacato Verticale, quello voluto dallo stesso Generalissimo che dal canto suo provò a tenersi stretti i calciatori che ormai guadagnavano mediamente tra il triplo e il quintuplo degli operai specializzati, ma ciò non impedì l’ascesa della figura di qualche calciatore fuori dal coro sia dal punto di vista delle rivendicazioni settoriali ,come Ignacio Eizaguirre e Joan Acuña, ma anche come volano dell’insofferenza della popolazione iberica (specialmente delle sue nazionalità oppresse) nei confronti della dittatura, nonostante tutti i tentativi da parte di quest’ultima di silenziarli come dimostrano casi arcinoti come quello di Cruyff e di tutto il Barcellona in generale, oppure il famoso derby basco del 5 dicembre del 1976 in cui i capitani di Real Sociedad e Athletic Bilbao, Kortabarria e Iribar, entrarono con l’Ikurriña in mano in chiaro gesto di sfida, ma queste sono altre storie.
Giuseppe Ranieri