In fin dei conti era inevitabile che dopo aver attraversato diversi paesi del subcontinente latinoamericano, a maggior ragione viste le condizioni specifiche da un punto di vista socio-economico e geopolitico, le proteste di piazza avrebbero fatto capolino anche in Brasile. E così come è avvenuto principalmente in Cile, ma anche in Colombia ed Ecuador, a tirare le fila della contestazione ci sono le tifoserie organizzate dei principali club del paese.
In un paese allo stremo - dove all’endemica piaga della diseguaglianza sociale si è aggiunta quella del Covid-19 (al momento il Brasile è il quarto paese al mondo per numero di vittime) ulteriormente aggravata dall’amministrazione di Bolsonaro che a una conclamata incapacità abbina l’applicazione dei più spregevoli dogmi neoliberisti e della difesa dei privilegi di razza e classe – nonostante i sostanziali divieti di assembramenti, le strade delle principali metropoli del paese si sono riempite e allo stesso tempo polarizzate. Avenida Paulista, la via principale di Sao Paulo, è diventata il simbolo della contrapposizione sociale di un paese diviso, con l’obiettivo di occuparla prima dell’avversario e di tenerla, costi quel che costi, fino all’escalation di scontri di domenica tra le opposte fazioni che si erano approcciate al rendez-vous come se fosse una giornata campale. In ogni caso ben presto questa radicalizzazione si è espansa anche nelle altre grandi città del paese, da Rio de Janeiro a Porto Alegre, passando per Brasilia e Belo Horizonte (anche se soprattutto in quest’ultimo caso i numeri dei tifosi e dei manifestanti sono stati contenuti, quasi a mo’ di rappresentanza per rispetto delle disposizioni anti-Covid).
Gli schieramenti sono uno specchio fedele della faglia atavica all’interno della società brasiliana e della sua stratificazione sempre più conflittuale, come dimostrano gli scontri che si sono verificati nelle strade principali di Sao Paulo per oltre tre ore, con un atteggiamento tutt’altro che equidistante da parte della polizia brasiliana che ha caricato gli antifascisti con gas lacrimogeni e l’utilizzo delle tristemente note truppe d’assalto (del resto tutto il mondo è paese…) che certificano come il paese sia a un bivio decisivo per le sue sorti future con la possibilità dell’instaurazione di una dittatura senza neanche quella parvenza democratica a cui Bolsonaro è costretto a fare finta di sottostare nonostante continui a soffiare irresponsabilmente sul fuoco.
Da un lato una folla (a dir la verità non esattamente oceanica) a favore del presidente, segmenti para-golpisti che almeno ufficialmente non fanno capo a nessun partito, proprio per questo ancora più pericolosi, in quanto dei potenziali “pretoriani” di Bolsonaro, più realisti del re, che vorrebbero un ulteriore colpo di mano da parte del presidente contro le garanzie democratiche. Si tratterebbe sostanzialmente di una sorta di serrata da parte di alcune componenti sociali ben definite storicamente, conniventi con le dittature che hanno attanagliato il paese, e che hanno sempre fatto la parte del leone, dall’alta borghesia bianca alla chiesa evangelica, tutti decisi a chiudere definitivamente col passato recente e coi governi progressisti di Lula e di Dilma Rousseff (ma anche col PSDB e il PDT, così come invocano la chiusura della Corte Federale e un intervento dei militari nelle strade) che avevano mosso importanti passi nella lotta all’estrema povertà di ampie fasce della popolazione brasiliana e agli storici privilegi delle élites bianche e che a quanto pare proprio nelle dimostrazioni di domenica avrebbero fatto un ulteriore salto di qualità, esponendo anche simboli chiaramente riferibili al neo-nazismo, tra cui addirittura anche bandiere di Pravy Sektor.
Ad opporsi invece, come sempre più spesso accade in quest’epoca, a mobilitarsi per primi per organizzare una difesa comune delle fasce più deboli della popolazione, sono i tifosi, nello specifico le torcidas più numerose e importanti, espressione di neri, meticci, diseredati e più in generale degli ultimi che si sono coagulati attraverso le loro modalità di convocazione informale, e questa volta contro un nemico ben più radicale e pericoloso di quello che decisero di combattere a viso aperto nel biennio tra le Olimpiadi di Rio e i Mondiali di calcio del 2016. Anche ora come allora i primi a scendere sul piede di guerra sono stati i Gaviões da Fiel del Corinthians da sempre la tifoseria di estrazione più popolare di Sao Paulo, suggestionati anche dalla tradizione del loro club con un’ampia vocazione antiautoritaria, basti pensare alla “Democracia Corinthiana” e a Socrates. Già nelle scorse settimane, per la precisione il 9 maggio, attraverso un tam-tam nei loro canali di riferimento, i tifosi bianconeri si sono riuniti per occupare la piazza in cui si sarebbero dovuti radunare i sostenitori di Bolsonaro impedendogli così di manifestare; stesso copione la settimana successiva con la sostanziale differenza che intuendo l’andazzo i filo-governativi all’ultimo momento hanno optato per non presentarsi proprio in piazza rilanciando per l’ultima domenica di maggio, quando avrebbero alzato il tiro sia numericamente che simbolicamente. Per fronteggiarli, oltre a un appello istituzionale da parte del PT, il dato più importante è costituito dalla convocazione da parte dei Gaviões da Fiel delle altre tifoserie della città, mediante un volantino di convocazione dall’emblematico titolo “Somos democracia” in cui si leggeva testualmente: «Crediamo che tutti si stiano rendendo conto che una strana ondata sta attraversando il paese e sta cercando di dominare anche le strade. Un'ondata di autoritarismo, che esalta la tortura e la dittatura, esprime violenza contro i professionisti della salute e i giornalisti e che vuole portare via la nostra democrazia […]. Martin Luther King, ha dichiarato: “Ciò che mi preoccupa non è il grido dei cattivi. È il silenzio dei buoni”».
Hanno aderito le tifoserie del Sao Paulo, del Santos e una componente non marginale della tifoseria del Palmeiras (nonostante la società sia una delle più vicine al presidente brasiliano che si dichiarava tifoso dei biancoverdi prima di strumentalizzare i successi del Flamengo).
D’altronde in Brasile non c’è nulla in grado di unire la popolazione più del calcio e quindi era giusto che un simile segnale partisse proprio dalle torcidas, così come dimostrano anche le scene di Copacabana a Rio, dove anche i fans di Flamengo e Fluminense hanno messo da parte la loro storica rivalità per scontrarsi contro il nemico comune, pertanto non deve stupire un coinvolgimento delle principali avanguardie degli stadi, chiamate da un lato ad acquisire la maturità per gestire un salto di qualità nell’analisi e nell’azione politica, finora più finalizzata all’“estetica europeizzata” che a un’azione incisiva vera e propria, dall’altro a continuare a porsi come baluardo e rappresentante degli sfruttati e dei senza voce per organizzare anche in Brasile un movimento che sappia resistere alla demonizzazione pubblica da parte delle istituzioni e organizzare le classi subalterne verso la riappropriazione delle proprie prerogative esistenziali e il contrattacco.
Giuseppe Ranieri