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Il campo dei miracoli

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Qualche mese prima che la pandemia sconvolgesse le nostre vite, Domenico Iannaccone, giornalista dalla profonda umanità, ha deciso di dedicare due puntate della trasmissione Che ci faccio qui a una delle realtà più dure della periferia romana, Corviale, che avrebbe dovuto rappresentare una nuova idea di edilizia popolare, mentre oggi si identifica in un labirinto di ponti e gallerie di cemento ospitante in nove piani più di 5000 persone. Nel tratto lungo un kilometro si intrecciano le storie di abbandono, di disagi, di ingiustizie stratificate, di assenza di servizi e di assistenza, di sfratti, di incendi, di occupazioni, ma anche di famiglie unite dalla disperazione e dalla speranza di migliorare quel luogo che amano e odiano nello stesso tempo. Quello che a occhi esterni sembrerebbe un luogo di delinquenza e di degrado sociale, per i giovani residenti è tutto, è casa, è famiglia, è fratellanza e rispetto, un posto che nonostante i problemi, brilla.

 

Proprio qui, in un quartiere grande quanto un paese che sembrava non avere speranze, è nata un’esperienza unica: il calcio sociale. L’ideatore di questa rivoluzione è Massimo Vallati cresciuto a pane e calcio, prima come giocatore e come giovane ultras, poi a vent’anni dall’altra parte degli spalti come celerino e infine, abbandonata la polizia e deluso dalle brutture e dalle violenze del calcio moderno, in una spinta visionaria, ha creato delle regole antitetiche all’agonismo, avviando inizialmente un torneo per un gruppo di catechismo. Questo nuovo modello di coesione sociale è stato subito un successo tanto da sentire il bisogno di trovare un luogo dove costruire l’accademia del calcio sociale e un campo che restituisse luce nel buio totale della periferia. Così nel luglio del 2009 quello che era un bene pubblico della Regione Lazio, un terreno abbandonato in attesa dei finanziamenti della giunta Marrazzo e custodito h24 per evitare occupazioni abusive, si è trasformato, tra le paure e le difficoltà, nel Campo dei Miracoli, così denominato perché legato alle tante vite delle persone che sono riuscite a riscattarsi e agli sforzi economici e alle campagne di raccolta fondi di varie aziende che hanno permesso di realizzarlo. Il campo da gioco ha resistito anche a un attentato, un incendio doloso della struttura di spiritualità adiacente al campo e un tempo locale abusivo e domicilio di un affiliato della banda della Magliana. Si dice che se una persona diventa migliore, succede che anche il posto dove si sta possa migliorare e la sfida di Vallati è stata proprio quella di riuscire a distruggere il pregiudizio e la paura intorno alla periferia, attirando a Corviale numerosi giovani di altri quartieri interessati alle attività sportive e laboratoriali.

Calciosociale è un progetto politico, parte dallo sport ma vuole cambiare le persone, il mondo e l’ambiente. Una rivoluzione nella rivoluzione anche nel modo di progettare, proiettando l’eccellenza all’avanguardia in periferia, in un posto difficile ma forse per questo ideale, dove riprendersi il “bello” del calcio con l’obiettivo di portare questo sport in un’altra dimensione. In contrasto con il grigiore dei palazzoni che ti avvolge e non ti fa respirare, è sorto il primo campo ecosostenibile della capitale, fatto con un tasso di cocco, sughero e lino e proprio per questo un’innovazione non essendo tossico e potendoci crescere erba naturale insieme a quella sintetica. Sul cancello di accesso domina la scritta Vince solo chi custodisce, che è un po' il motto del calcio sociale, un progetto di vita fondato sulla ricerca dell’eguaglianza. Non vince chi ha più soldi, vince chi sa custodire le relazioni e i valori anche fuori dal campo, sviluppando una coscienza sociale e civile da mettere a disposizione degli altri. Accanto al campo è stata costruita una palestra, una struttura in legno scartato dal colore rosso quasi a voler scardinare la rabbia e la violenza che scatenava il grigio di periferia. Sono state coinvolte più di 3000 famiglie nel progetto di bioarchitettura che non prevede barriere architettoniche e che consente di giocare a hockey in carrozzina. È questo lo spirito del Calciosociale, custodire una bellezza che rimargina le ferite e che recupera anche quello che sembra perduto.

Le regole

1) Chiunque può partecipare purché abbia un’età compresa tra i 10 e i 90 anni.

2) Non ci sono squadre più forti, ognuno ha lo stesso coefficiente tecnico e tutte hanno le stesse possibilità di vincere.

3) In ogni squadra ci sono due educatori che sono come il papà e la mamma della squadra.

4) Non esiste l’arbitro, ogni giocatore deve imparare a essere responsabile.

5) Un giocatore non può fare più di tre goal a partita, ma deve aiutare gli altri a segnare.

6) Il calcio di rigore viene battuto dal giocatore meno forte.

7) Nessuno resta in panchina, giocano tutti.

8) Prima e dopo la partita ci si prende tutti per mano per condividere le proprie emozioni.

9) Le partite non si giocano solo sul campo, le squadre si sfidano anche nelle attività comunitarie e i punteggi vanno in classifica!

È quindi un’utopia che si realizza quella di un gioco estremamente vero, dove i calciatori sono cittadini che si impegnano per cambiare la società, dove non esistono squadre più forti poiché tutti hanno le stesse possibilità, i talenti vengono ripartiti e il calcio di rigore lo batte chi ha il coefficiente più basso. Tutti i componenti della squadra sono corresponsabili e se c’è un fallo si decide collegialmente.

Sebbene manchi l’arbitro, in campo non esistono proteste o caos ma vi è un grande esercizio di democrazia e di partecipazione condivisa dove anche i tifosi diventano parte delle squadre e dell’incontro. Al termine del mese preparatorio in cui si organizza il torneo, si costruiscono tutti i team dello stesso coefficiente per poter fare un percorso ad armi pari, in cui nulla viene regalato e vince chi merita. Su questo campo non è ammesso l’egoismo e anzi, attraverso la classifica, a fine anno chi ha fatto più assist riceve un premio più grande di chi ha fatto più goal. Il fondatore del Calciosociale ha voluto eliminare i tornei-ghetto, partendo dall’idea che ogni diversità e ogni abilità siano una ricchezza e mischiando nelle squadre uomini, donne, anziani, bambini e persone con disabilità fisica o psichica. Ogni anno il torneo ha un tema che possa rendere i partecipanti impegnati in azioni concrete sul territorio. Giocando a calcio è stata studiata la Costituzione, legando ogni squadra a un articolo e dando la possibilità di difendersi attraverso la conoscenza e la cultura. Se il tema è la legalità, le squadre si chiameranno come gli uomini e le donne uccise dalle mafie il cui ricordo deve continuare attraverso le gambe dei giocatori. Ogni membro delle squadre deve riflettere su quali insegnamenti portare nella propria vita e conoscere cosa hanno fatto queste persone il cui nome è scritto sulla loro maglia, ad esempio quest’anno si ricorda chi ha dato la vita per la difesa dell’ambiente come il comandante De Grazia che si batté per le ecomafie o il poliziotto Mancini, uno dei primi a scoprire la Terra dei fuochi. Chi vince queste partite fuori dal campo fa quattro punti proprio per sottolineare l’importanza dell’impegno civile e di come le regole partite dal terreno di gioco possano entrare nella società e dentro la vita delle persone.

Con occhi colmi di orgoglio Vallati parla del calcio sociale come un’esperienza esportata in Germania, in Inghilterra, in Bulgaria e in Ungheria e racconta di un futuro progetto di costruzione di un campo a undici abilitato per la nazionale femminile, un’impresa difficile che possa far crescere l’Accademia e possa ridare magia a un posto dimenticato dalle istituzioni.

Calciosociale ha riscattato un’intera comunità e insegna quotidianamente che non vince chi segna di più, ma chi si prende cura delle cose e degli altri. Ha imparato le regole ed è pronta a trasmetterle la piccola Shazia, una talentuosa e sensibile giocatrice che sogna di diventare calciatrice professionista. A Shazia e ai tanti protagonisti di questa storia auguriamo di realizzare tutto ciò che hanno raccontato e di continuare a guardare Corviale con gli stessi occhi sognanti e malinconici di chi vede un paradiso dietro un blocco di cemento.

Viola Mancuso

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Scritto da Super User
Categoria: Prima pagina
Pubblicato: 16 Giugno 2020
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