Se dovessi scegliere una colonna sonora per rappresentare questa partita, sceglierei l’Estasi dell’oro del maestro Ennio Morricone. Una canzone ricca di epica per una partita che ebbe tutti i sapori dell’epicità della mitologia antica. La nazionale italiana che il ct Ferruccio Valcareggi, allenatore di lungo corso, aveva costruito era pressoché completa in ogni reparto. Una cosa che per quel mondiale dava tanta fiducia agli italiani era che in attacco c’era l’uomo simbolo del primo scudetto della storia del Cagliari: Rombo di tuono Gigi Riva. Insieme a Riva c’erano anche leggende come Tarcisio Burgnich, Enrico Albertosi, Domeneghini, Picchio De Sisti, Bonimba Boninsegna, il Golden Boy Gianni Rivera, Sandro Mazzola e Giacinto Facchetti. Proprio Rivera e Mazzola, giocatori simbolo rispettivamente uno del Milan e l’altro dell’Inter, furono quelli che vissero le polemiche più accese verso la nazionale. Per loro quello fu il mondiale della staffetta.
La convinzione era che Sandro Mazzola e Gianni Rivera fossero “gemelli di ruolo” e non potessero giocare assieme ma alternandosi. Convinzione oggi smentita perché se guardiamo alla composizione tattica degli ultimi quindici anni, squadre come il Barcellona, Real Madrid, Manchester City e il Milan hanno schierato in campo giocatori simili di ruolo ma riadattati a poter giocare insieme. La mentalità tecnico-tattica italiana forse non era ancora pronta per questa rivoluzione. Detto questo, l’Italia dimostrò un grande gioco accompagnato da una notevole concretezza a chiudere le partite e arrivò in semifinale. Sulla strada azzurra c’erano gli invincibili tedeschi del Kaiser Franz Beckenbauer, Schultz, Grabowski, Seeler, Schnellinger e del bomber Gerd Müller. I tedeschi dal punto di vista calcistico erano la compagine più temuta e la più ostica da poter affrontare in quel momento.
Intorno alla partita ci fu un grande fermento mediatico che alimentò l’atmosfera già tesa del match. Italia-Germania è un confronto che di per sé non è mai facile. Figuriamoci una sfida sportiva. Non era un partita di pallone. Era una sfida culturale, era una sfida dal sapore storico e fu una guerra all’ultimo sangue. L’Italia intera quel giorno si fermò, erano tutti collegati a seguire questo evento storico e niente al mondo gli avrebbe distratti. La partita cominciò alle 16 del 17 giugno. L’Italia nei primi minuti aveva provato subito a imporre il suo gioco fatto da una fitta rete di passaggi per sfiancare il proprio avversario. All’8 minuto toccò a Boninsegna sbloccare il risultato, al termine di una bella combinazione con Gigi Riva, Bonimba col sinistro superò il portiere Sepp Maier dal limite dell’area. A quel punto l’Italia strinse le maglie e cominciò col catenaccio.
Fino agli ultimi minuti della partita l’Italia resistette agli attacchi tedeschi e Albertosi sventò molte minacce alla porta azzurra. Ironia della sorte fu una conoscenza del calcio italiano, Karl Heinz Schnellinger del Milan, al suo primo e unico gol in quarantasette partite con la nazionale, a portare la gara in parità. Ci furono un po di polemiche perché il terzino tedesco aveva segnato un gol due minuti e mezzo dopo i tempi regolamentari. I tempi supplementari erano inevitabili. Fu in questo contesto che la partita acquisii la sua aura leggendaria. Divenne una vera e propria battaglia all’ultimo sangue. La forte densità di emozioni contribuì a darle questa spinta decisiva. Al 94’ il temibile bomber tedesco Gerd Müller riuscì a segnare sfruttando un errore di una nostra difesa. Al gol di Müller rispose Tarcisio Burgnich, al suo secondo gol in nazionale, che come per il gol fatto dai tedeschi in precedenza, sfruttò un errore della difesa tedesca. A un minuto dalla fine del primo tempo supplementare Rombo di Tuono Riva portò in vantaggio gli azzurri. Tegola in casa tedesca: il KaiserBeckenbauer si lussò una spalla. Il fuoriclasse tedesco si fece fasciare la spalla e torno eroicamente in campo. Non era tempo per arrendersi e i tedeschi avevano finito le sostituzioni. Ma il buon Franz aveva capito che quello era il giorno giusto per morire. Giocò con un braccio fasciato lungo il corpo, fino alla fine dei supplementari. Di uno stoicismo unico. Nel frattempo nell’Italia si era ripetuta la staffetta Mazzola-Rivera. Proprio il fuoriclasse del Milan sarà il dolore e la gioia al tempo stesso di questa partita. Al quinto minuto del secondo tempo supplementare la Germania Ovest trovò il pareggio. Era ancora lui, Gerd Müller, che aveva trovato uno spiraglio tra Rivera e il palo. Albertosi non nascose affatto il suo rincrescimento nei confronti di Rivera, conscio che quell’errore poteva rivelarsi fondamentale per le sorti della gara. A quel punto Rivera doveva porre rimedio al suo errore perché non solo i suoi compagni di squadra ma tutta l’Italia intera, che in quel momento stava seguendo la partita col fiato sospeso, non glielo avrebbero mai perdonato. L’Italia raccolse le forze. Una splendida azione corale dopo appena sessanta secondi riporta l’Italia in vantaggio: palla rimessa in gioco dal centrocampo e pronta rivincita dell’Abatino (soprannome datogli da Gianni Brera) Rivera che di piatto superò Maier e mise a segno il gol della vittoria. Finì 4-3, un risultato incredibile. Con quella vittoria, l’Italia arrivò in finale del mondiale a 32 anni di distanza e per tutta la notte nelle piazze italiane venne fatta festa come se avessimo vinto il mondiale. In finale c’era il Brasile di Pelé e tutti sappiamo come finì. La reazione in Germania Ovest fu l’esatto contrario: i tifosi inferociti per la sconfitta diedero fuoco alle macchine di molti italiani residenti in Germania.
Venne rinominata la partita del secolo e tutti torti non gli avevano. La partita entrò di diritto come fenomeno culturale e diventò una delle partite più emozionanti ed influenti nella storia del calcio professionistico. Nel cuore degli italiani che seguirono quella partita col fiato sospeso, ancor oggi quando viene nominata ci scappa un sorriso e una vena di commozione nel ricordarla. Ma fu una partita che non suscitò solo gioia ma anche disapprovazione. Il leggendario Gianni Brera fu critico nel vedere l’annullamento della tattica in favore dell’agonismo più puro, ma al tempo stesso non negò la sua epicità con le seguenti parole: «Le troiane Porte Scee e la porta di Maier si confondono nel cervello stranito di tutti».Antonio Ghirelli, al di là delle critiche di Brera, riassunse a pieno lo spirito e l’impatto di quella partita: «L’eco dell’avvenimento fu enorme. I tifosi messicani decisero su due piedi di murare una lapide all’esterno dello Stadio Azteca per eternare una partita che aveva esaltato il gusto latino-americano per lo spettacolo e la battaglia. Un banchiere italiano, che seguiva la partita per televisione a Montevideo, cadde fulminato da un infarto. In Italia oltre trenta milioni di appassionati (...) rimasero incollati davanti al video, sebbene fosse mezzanotte passata. Molti andarono a coricarsi, sconsolati, quando Schnellinger aprì il fuoco nei tempi supplementari, ma alla rete di Burgnich un urlo lanciato in centinaia di case (...) e l’esito finale della pugna spinsero migliaia di appassionati nelle strade e nelle piazze...».
Marvin Trinca