Altissimo, dal look senza dubbio irriverente, maglia numero 33 dei Lakers e occhialoni da vista con le lenti gialle che lo hanno proiettato, insieme al suo immenso talento, nella storia della NBA come icona di stile e gioco. Questo è Kareem Abdul Jabbar. Con 38.387 punti è il primo realizzatore nella storia di questo sport, considerato come uno dei mostri sacri del basket. Classe 1947, proveniente da New York, la sua è stata una vita caratterizzata dalle grandi scosse del movimento per i diritti civili. La sua personalità fu molto influenzata dal movimento del Rinascimento Harlem. Al basket arrivò al tempo del college “Power Memorial Academy” di Harlem, dove diede sfoggio del suo immenso talento e condusse la squadra a vincere per tre anni consecutivi il campionato“New York City Catholic”. Il ragazzo era un talento portentoso: alla titanica altezza (2.18) unì una statuaria struttura fisica e una forza muscolare incredibile. Finito il liceo il giovane scelse la UCLA (University of California, Los Angeles) e nel giro di pochi anni portò l’ateneo ai vertici dello sport studentesco.
Fu in questo suo periodo di militanza universitaria che affinò uno dei classici tiri del basket rendendolo un proprio marchio di fabbrica: il gancio cielo. Sembrava inarrestabile e le difese non reggevano la sua grandi fisicità quando schiacciava a canestro. La NCAA (federazione del basket collegiale) si vide costretta a mettere un freno alle sue doti aeree; infatti, mise una regola che aboliva le schiacciate. Fu in questi anni che il giovane talento della UCLA prese la decisione di convertirsi all’islam. Prima di essere conosciuto come Kareem Abdul Jabbar il suo vero nome era Ferdinand Lewis Alcindor jr. Il giovane Jabbar stava vivendo il fermento degli anni Sessanta e delle rivendicazioni afroamericane. Nel periodo in cui si convertì era lo stesso nel quale Cassius Clay divenne Muhammad Alì. La lotta del movimento per i diritti era grande e immensa, il giovane cestista veniva da Harlem e conosceva bene cosa volesse dire il ghetto. Il suo crescere in un ambiente così vivo, ricco culturalmente e agitato plasmò definitivamente il personaggio di Jabbar. Influì così tanto da portarlo a prendere una scelta spirituale. Nel 1968, anno in cui si svolsero le Olimpiadi in Messico, quelle del podio dei 200 metri piani di Tommie Smith e John Carlos, Jabbar aveva ricevuto la convocazione in nazionale. Il sogno di ogni sportivo: giocare in nazionale e per di più in una Olimpiade. Ma non per lui, perché il giovane Kareem rifiutò la convocazione in segno di protesta per la situazione degli afroamericani e questo gli costò la rinuncia a una medaglia d’oro che la compagine statunitense vinse con estrema facilità.
Questi sono gli anni dove il giocatore divenne allievo di Bruce Lee e apprese il Jeet Kune Do. Dopo aver portato la UCLA alla vittoria in diverse competizioni, il 1969 fu l’anno di svolta della sua vita, il draft della NBA lo portò a Milwaukee e qui cominciò la sua leggenda. Nei Milwaukee Bucks rimase dal 1969 al 1975 e insieme a Oscar Robertson scrissero la pagina più importante della storia di questa squadra: infatti nel 1971 trascinarono i Bucks alla vittoria dell'anello. L’unico nella loro storia. In questa squadra Jabbar divenne il perno e trascinatore assoluto. Conquistò nel 1974 il titolo di MVP (Most Valuable Player) il massimo riconoscimento assegnato durante la stagione al miglior giocatore della regular season. La grande occasione arrivò nel 1975, i Los Angeles Lakers si aggiudicarono il centro e gli affiancarono una squadra di tutto rispetto. È qui che insieme a Earvin Magic Johnson costruì il leggendario duo che condusse i Lakers al dominio assoluto della NBA. I due fenomeni si completavano a vicenda, dove non arrivava l’uno c’era quell’altro che tappava i buchi lasciati aperti. Nei suoi anni nei Lakers, Kareem divenne un giocatore completo e diede sfoggio del suo innato talento, e la squadra di Los Angeles fu la dominatrice indiscussa per tutti gli anni Ottanta, in cui vinsero per cinque volte l’NBA. Karim fu MVP della regular season per tre volte: 1976, 1977 e 1980; poi MVP delle finali nel 1971 e 1985. La maglia numero 33 sulle sue spalle divenne leggenda. I due giocatori furono il simbolo di una genialità e raffinatezza messa al servizio di un intero collettivo che sembrava imbattibile. Quando si pensa agli anni Ottanta sportivi del basket USA non si può far altro che pensare a questa coppia magica Johnson-Jabbar, iconici e fenomenali anche fuori dal parquet. Ad opporsi a quella squadra invincibile furono i Boston Celtics di un altro grande mito: Larry Bird. I Celtics erano stati gli unici a spezzare nel 1981, 1984 e 1986 l’egemonia della squadra di Los Angeles. Larry The Legend Bird, simbolo, bandiera e perno di quella squadra passò alla storia come come il miglior tiratore di questo sport. Un personaggio unico che nella sua carriera fu un leader carismatico e fece uso molto spesso del trash-talking, forse ispirato da Muhammad Alì, vale a dire un linguaggio molto pesante, per mettere sotto pressione psicologica l'avversario. Quando Jabbar decise di ritirarsi, a 42 anni, nel 1989, dopo venti stagioni nei Lakers, stava nascendo una stella che avrebbe messo in discussione lo strapotere dei giallo-viola per tutti gli anni novanta: Michael Jordan. In questo sport Jabbar passò alla storia come per il suo tiro particolare, lo Sky Hook (il gancio cielo). Un tiro, grazie alle sue doti fisiche e atletiche, impossibile da stoppare o bloccare.
Jabbar fuori dal parquet era un emblema di stile. Quando giocava il mondo intero lo conobbe per la sua mitici occhialoni da vista con le lenti gialle. Diventò un allievo di Bruce Lee recitando in un film insieme al suo maestro. Nel 1980 ha preso parte al film L’aereo più pazzo del mondo nel ruolo del secondo pilota Roger Murdock e nel 1983 ha preso parte all'episodio Il supplente della sitcom Il mio amico Arnold. Scrittore e attivista politico, scrisse diversi libri, alcuni dei quali diventati best seller, come Brothers In Arms, la storia di un battaglione composto unicamente da afro-americani durante la guerra, oppure On the Shoulders of Giants, Coach Wooden and me. Nel 2008 sostenne la candidatura alla presidenza degli Stati Uniti di Barack Obama. Oggi, dopo l'assassinio di George Floyd a Minneapolis, Kareem ha ripreso la parola sul tema del razzismo negli Stati Uniti e della condizione degli afroamericani in questo paese. Questo è un estratto del suo discorso: “Cinquant'anni fa, in Inner City Blues, Marvin Gaye cantava: 'Il modo in cui manipolano la mia vita mi fa venire voglia di urlare'. E oggi, nonostante i discorsi appassionati di benintenzionati leader politici, bianchi o neri che siano, vogliono toglierci la voce, rubarci il respiro. Dunque, ciò che vedete quando volgete lo sguardo verso i manifestanti neri, dipende da dove vi trovate: se siete in quel palazzo ardente o piuttosto lo guardate dallo schermo della tv con una vaschetta di pop-corn mentre attendete l'inizio del prossimo episodio di NCIS. Non voglio che si arrivi a giudizi affrettati. Ciò che mi interessa è che si vada spediti verso la giustizia”.
Le parole di un uomo prima e di un campione dopo. Kareem Abdul Jabbar è stato tutto questo. Un uomo che ha messo le sue spalle da gigante al servizio dello sport e non.
Marvin Trinca