“Subito dopo, mi innamorai della boxe, e di quel mondo. Se ti entra nel naso l’odore di una palestra di pugilato non te lo togli più”
Così scrive Gianni Minà nel suo ultimo libro, Storia di un boxeur latino, la sua autobiografia. Nulla di più vero, chi in un modo o nell’altro entra nel mondo del pugilato, comincia a ragionare in maniera diversa. Diventa “pugilatocentrico” per così dire. Figuriamoci quindi come potrebbe reagire una persona così, se per caso al mondo dovesse capitare qualcosa che il pugilato glielo porta via. Fantascienza? No. È appena successo, o meglio, sta succedendo. Noi “della boxe” infatti, il picco non l’abbiamo affatto superato.
Procedendo con ordine ci troviamo di fronte a una catena di eventi ben precisa e probabilmente comune a tutti gli sport, calcio professionistico escluso. Le palestre che cominciano a chiudere a cavallo tra febbraio e marzo. E poi un autentico terremoto di informazioni, opinioni, prese di posizione, autoelezioni a virologi della domenica, esperti di politica o esperti di pandemie. Teste dure noi “della boxe”. Teste dure e pure italiani, molto spesso individualisti, altro che “uniti ripartiremo”, siamo sinceri e obiettivi per favore. L’italiano è lo stereotipo della persona alla costante ricerca, al di fuori di se stesso, di qualcuno o qualcosa a cui attribuire una colpa. Sia ben chiaro, voglio sottolineare una opinione personale. Io non sono uno di quelli che crede che il Covid sia stato inventato o non sia mai esistito, e qui mi taccio. Quindi a questo punto, di chi dovrebbe essere la colpa?
Gli adorabili scorbutici che siamo noi “della boxe” non potevano reagire diversamente. Con poca pazienza, con atteggiamenti che a volte, purtroppo, hanno subito una repentina trasformazione dal consueto romantico all’aggressivo. Si è partiti con quelli che si sono messi a fare i ribelli. Comodo fare i ribelli con una pandemia in corso. E prima, scusate, dove eravate? La boxe, come ogni singolo aspetto della nostra vita, è un microcosmo che di fatto riflette la realtà. E quindi la famosa parola “normalità”… Non credo che la vita prima del Covid potesse essere considerata “normale”. E così la boxe. Se poi qualcuno apprezzava quella “normalità”, beh allora non siamo proprio sulla stessa lunghezza d’onda. Infatti il Covid ha messo alla luce del sole parecchie cose. Per esempio, un sistema sportivo nazionale che non prevede l’inquadramento lavorativo di nessuna figura professionale. “Collaboratori sportivi”, così ci chiamano. E poi i professionisti e i dilettanti. Rigorosamente da articolare al maschile. Perché nello sport italiano le donne professioniste non sono previste. Manco nel calcio. Manco alla Juve. Ah! Quanta gente si porterebbe in piazza se si decidesse di aprire delle questioni e delle lotte sindacali sulla situazione degli “sportivi”, chiamiamoli così. Se non ora quando, verrebbe da dire. Il governo, il ministero, dicono che siamo di fronte a una vergogna, che se ne occuperanno, che faranno di tutto per risolvere la situazione. Bene, siamo qui che aspettiamo. È il vostro lavoro quello, non è il nostro, sebbene finora il nostro lavoro, proprio secondo voi, non sarebbe mai esistito, o non sarebbe degno di essere così chiamato. Il vostro lavoro di politici e governanti è invece inquadrato, riconosciuto e profumatamente pagato, anche da noi. Quindi magari svolgetelo.
Al di là di queste considerazioni, questi nervi scoperti e stuzzicati proprio grazie alla situazione che stiamo passando, va constatato che di fatto questa è la normalità. Lo era prima del Covid e ho paura che alla fine… Guarda un po’… Non andrà tutto bene. Chi l’avrebbe mai detto. Siamo sempre molto bravi noi, come popolo, a metterci a cantare fuori dalla finestra quando ce la facciamo sotto (magari rompendo le palle a tutto il quartiere, nda). Poi però, quando tutto comincia a prendere la piega positiva… Tutti fenomeni! Di nuovo. Una volta avevo scritto che il pugile è una persona nobile e buona (oltre che un po’ fijo de na… come direbbero affettuosamente a Roma) perché conosce la paura e convive con essa sul ring, sapendola gestire. Mi pare che fosse un qualcosa del tipo: “il mondo vive nella costante menzogna che ci racconta che l’uomo è buono, invece l’uomo si riscopre buono solo quando ha la coda tra le gambe”. Situazione che capita spesso o è capitata tante volte, a noi “della boxe”. È da li che nasce la nostra nobiltà, la nostra dignità, il rispetto per il nostro sport e per il nostro avversario. L’incarnazione del carattere del pugile. Ecco, questo mi ha deluso di questo periodo. Noi “della boxe”, in Italia, abbiamo reagito poco “da pugili”. All’estero non è andata così. Ci sarebbero stati tanti spunti interessanti per aprire delle discussioni e provare a trovare delle soluzioni alla nostra triste normalità, e invece. Meglio abbandonarsi alla polemica sterile e alla ormai trita e ritrita guerra tra poveri (pugili). E questa volta sto parlando del movimento, della “pancia”, e non della testa, non della Federazione. Ma del popolo della boxe. Quello abituato a sudare e soffrire “per un sogno che nessuno vede” come si diceva in un bel film. L’esercito dei ribelli dormienti a cui accennavo prima. Quelli che in questa situazione non hanno resistito a lasciarsi andare a grezze esplosioni di testosterone, condite alle volte da massime di un certo livello: “non si può chiedere ai nostri ragazzi di tirare fuori le palle sul ring se poi non abbiamo le palle di tenere aperta la palestra”. E da qui le accuse, quasi tutte infondate, alla Federazione soprattutto. Certo mi va di spezzare una lancia in favore della FPI. Come avrebbero dovuto reagire? Di quali superpoteri avrebbero dovuto disporre? “È perché ci sono le elezioni di fine quadriennio olimpico”… che la Federazione si è comportata così bene? E allora? Sarebbe stato meglio se si fosse comportata male? Per la stragrande maggioranza del popolo della boxe esiste solo la boxe. E quindi il potere forte è solo la Federazione. Un atteggiamento di una miopia e un provincialismo totali. Ma cosa dovrebbe entrarci la Federazione col Covid 19?
Il punto è che a noi “della boxe” interessava qualcos’altro, anche se di questi tempi, pure gli spiccioli sono oro che cola. A noi interessava tornare al più presto a respirare quel “tanfo” di cui parla Gianni Minà. A noi interessava tornare in palestra. È come ci si è tornati che ha fatto storcere il naso a tanti. Perché dapprima si è messo in croce chi per merito o per fortuna ha avuto in squadra atleti di interesse nazionale, e quindi ha avuto la possibilità di ricominciare ad allenarli dal famoso 4 maggio. La cosa, infatti, non è andata giù a tanti di noi “della boxe”, e lì è cominciata un’altra bufera nella bufera. Gli insulti, le prese per il culo, gli atleti di interesse nazionale sono stati immediatamente messi sulla forca. Perché? Che colpe avrebbero avuto? E così la Federazione. Ma tale decisione arrivava dal governo e dal CTS, non dalla Federazione. Al massimo si potevano imputare alla FPI i parametri con cui tali atleti erano stai individuati o non individuati, sebbene pure in quel caso il regolamento parla chiaro.
Ma lasciamo perdere le esternazioni aggressive e le telenovele interne. In un mondo come quello in piena pandemia, in cui la situazione cambiava anche più volte al giorno, quanto accaduto mesi fa è meglio considerarlo acqua passata.
Parliamo invece del lato pratico. Chi ha avuto la possibilità di “riaprire” quel famoso 4 maggio ha di fatto avuto un solo vantaggio. Quello di avere tre settimane di tempo per imparare a districarsi nella consueta giungla burocratica che il DPCM di allora prevedeva, e poi, nelle regolamentazioni che prevedeva il protocollo FPI che puntualmente era uscito. Già, puntualmente.
Poi il 25 di maggio si sono potuti riaprire gli allenamenti collettivi. E lì la situazione, all’interno del movimento pugilistico, è diventata ancora più critica e polemica. Perché dipendendo dalle norme da seguire, in particolare sul distanziamento, che fossero queste dettate da Roma, o dalle regioni, o dai comuni, di fatto, chi in palestra aveva poco spazio, ha dovuto rendersi conto che di riaprire non ne valeva la pena.
Io credo che sia nel rispetto di costoro, coloro i quali, per davvero, non hanno avuto la possibilità di riaprire, che il mondo pugilistico dovrebbe invece unirsi e mettere insieme tutte le proprie forze per il rilancio della boxe. Lasciando perdere individualismi vari. Lo ribadisco, non è questione di complottismo, ma non caschiamoci, non facciamoci fregare. Perché sono discorsi assolutamente plausibili quelli del “o tutti o nessuno”. Sono opinioni nobili, ma sono controproducenti. Chi può riaprire deve riaprire. Per il bene di tutti. Perché se non riapre nessuno va a finire che si lascia morire la boxe. Per questo è fuori luogo, a mio avviso, nei casi in cui la possibilità di riaprire esiste, esternare sdegno e ripicca verso la regolamentazione (sicuramente eccessiva, non dico di no), sbattendo i piedi per terra e dicendo che la prassi da seguire è insostenibile.
Stendere il nastro isolante per terra per delimitare le postazioni è qualcosa di insostenibile? Sanificare la palestra è insostenibile? Mantenere l’igiene in palestra è insostenibile? Tenere un registro con le presenze è forse una gogna? Far firmare un foglio alla gente che entra in palestra è troppo umiliante? Far portare un ricambio perché magari la struttura non permette l’utilizzo degli spogliatoi e delle docce è tanto pericoloso? Suvvia, siamo seri, non facciamo i bambini viziati, non ci vantiamo sempre in giro di essere dei combattenti? È estate, e fuori ci sono quaranta gradi, almeno per ora ce la possiamo fare!
Ecco, trovo che questo comportamento sia stato poco nobile. Poco da pugili. Poco rispettoso nei confronti di chi effettivamente la possibilità di riaprire non l’ha avuta. Un comportamento presuntuoso, perché è inutile girarci attorno. La situazione è questa, o ci si rimbocca le maniche oppure si manda tutto alle ortiche.
Non si possono fare i guanti? Presto li faremo. Non si possono fare gli eventi? E invece ce ne sono già parecchi in programma. Gli eventi a porte chiuse non hanno senso? Allora è forse meglio stare fermi? Chi ha i mezzi per organizzare eventi deve farlo, assolutamente, e fa bene. Per le ragioni di cui sopra. Perché in questo modo, anche chi non ha ancora riaperto, magari un giorno potrà farlo.
Per quanto riguarda la situazione di questi ultimi giorni sullo sport in generale, che si voglia rapportarla al pugilato o meno, ogni nervosismo è invece più che giustificato. La situazione attuale è infatti paradossale, sì, è un qualcosa di surreale, difficile non spazientirsi. La ripresa della serie A... E il resto dello sport a singhiozzo. Prima, per noi “della boxe”, il contatto doveva riprendere il 15 giugno. Poi il 25. Infine si sta ripartendo ora, ribadisco, a singhiozzo. E qui, però, il Comitato Tecnico Scientifico in primis deve dare delle spiegazioni. Perché la superficialità e il distacco dalla realtà con cui si sono prese alcune decisioni è sconcertante. Anzi. È ben poco scientifico. Secondo quanto dichiarato dal CTS il famoso 25 di giugno “le Associazioni Sportive Dilettantistiche non sono in grado di far rispettare le norme di sicurezza come le squadre di serie A”. E grazie, noi i soldi per fare tamponi a raffica mica ce li abbiamo. Ma signore e signori del Comitato, voi dovete fare una valutazione a 360 gradi della situazione, sennò sembra davvero che si voglia ragionare per far star calmo l’italiano medio davanti a Sky o Dazn, e poi diventa troppo facile dichiarare che si pensa allo sport solo quando fa girare il denaro. Piove governo ladro! Ci sta alla grande, eccome se ci sta alla grande. Anche se in questo caso il ministro stesso se ne tira fuori e il governo tutto scarica il barile su CTS e Regioni. Eh già, signore e signori del Comitato, voi in questo caso fate i conti senza l’oste. Non si vuole mica urlare alla premeditazione, al complotto, ma magari alla negligenza e a un’eccessiva leggerezza, come minimo. Perché se il Napoli vince la Coppa Italia migliaia di persone si riverseranno e si ammucchieranno per le strade di Napoli. Se il Liverpool vince la Premier League, migliaia di tifosi, ugualmente, si ammucchieranno sotto la Kop (giusto per non sembrare ostinatamente anti italiano). Non ci avevate pensato a tutto questo? Peccato perché è già successo. Non lo sapevate che il calcio è uno sport di massa? Il tifo e l’amore per la propria maglia e per i propri colori è qualcosa che non avevate messo in conto per caso? Vi pare un errore da poco?
Beh, noi “della boxe”, per lo meno in Italia, siamo quattro gatti. E non abbiamo le tifoserie a seguirci. Purtroppo pare che negli ultimi decenni si sia fatto di tutto per fare allontanare la gente dalla boxe.
Quindi siamo innocui.
Quindi lasciateci menare tra di noi nelle nostre palestre.
Lasciateci riprendere l’attività agonistica, un protocollo rigido è in lavorazione in FPI. Quello per l’allenamento con contatto è già uscito.
Noi combattiamo con delle regole e con nobiltà d’animo, non ci prendiamo a bottigliate in mezzo alla strada come succede nelle notti sfrenate della covida.
Noi siamo meno della gente che affolla i bar e le piazze.
Noi sul ring siamo in due, e non in ventidue più cinque riserve per squadra.
Noi siamo meno della gente ammucchiata nelle manifestazioni complottiste regolarmente autorizzate dal governo.
Siamo meno di quelli che: “mi ha dato una pizza”.
Insomma lo ribadisco, siamo innocui, noi “della boxe”.
E soprattutto siamo gente rispettosa. Siamo gente che di fronte a un altro lockdown sarebbe costretta a chiudere per sempre. È per questo che alle norme noi stiamo così attenti. Siamo gente che crede ancora che lo sport sia salute, sia un diritto di tutte e di tutti, di ogni cittadino, e non solo di Cristiano Ronaldo.
Il pezzo di Minà con cui si è aperto questo articolo continua così:
“Mi ha sempre commosso la disperata scommessa di quegli atleti, gente che ha avuto a che fare più con le sconfitte che con le vittorie, e che alla sconfitta è destinata, in un tanfo di sudore e asciugamani bagnati. Danzatori tristi con la sella del naso curva e gli zigomi sporgenti. Creature che si trovano a loro agio solo sul quadrato di un ring perché fuori da lì in molti si perdono”.
Insomma.
Fateci mantenere l’entusiasmo emotivo che ci ha riportato ad allenarci, nonostante queste condizioni severe.
Fateci stare nella puzza delle nostre palestre. Tra l’altro ora come ora sono più profumate della Virgin. Con tutto quel disinfettante…
Giuni Ligabue