Sappiamo bene che lo sport e il calcio rivestono nel mondo contemporaneo un'importanza tale da intrecciarsi a volte con le trame della Storia, anche quelle più tragiche e vergognose. “Pallone desaparecido” di Alec Cordolcini (Bradipo Libri, 2011), giornalista calciofilo italo-argentino, è un bel libro, che contestualizza in modo efficace le vicende sul campo del Mondiale '78 nel quadro di un'Argentina in piena dittatura militare, ma profondamente anestetizzata, così come in realtà il mondo intero.
Il 24 marzo 1976 il paese è scosso dall'ennesimo colpo di Stato militare, ormai una sinistra abitudine: nel momento in cui l'Argentina versa nel caos e nella crisi economica, arrivano i militari, fanno un po' di “pulizia” e dopo qualche anno permettono nuove elezioni; è già successo varie volte nell'arco di pochi decenni. Si viene da un periodo di elevata conflittualità sociale, con vari gruppi rivoluzionari comunisti armati che negli anni precedenti al golpe si scontrano senza esclusione di colpi con le forze di polizia e i gruppi paramilitari di contro-guerriglia, tra cui la più tristemente nota è la Triple A (Alianza Anticomunista Argentina). L'obiettivo fondamentale della nuova Giunta militare di Videla è sradicare totalmente la sovversione rossa dal paese, e ovviamente per fare ciò gode di tutto l'appoggio possibile da parte degli apparati statunitensi. Fin dalle primissime settimane la repressione è spaventosamente determinata, buona parte degli almeno 30mila desaparecidos che si conteranno alla fine spariscono proprio nei primi mesi di dittatura. Ma stavolta la strategia non è quella di reprimere, è quella di sterminare. E di farlo senza dare nell'occhio, dando vita ad uno dei periodi storici più raccapriccianti del '900.
Non si vedono infatti in Argentina le scene plateali che si erano viste qualche anno prima in Cile: niente bombardamenti né scontri in campo aperto, niente stadi trasformati in prigioni, niente fucilazioni sulla pubblica piazza. Le persone, nella fattispecie i militanti di sinistra, dagli studenti fino ai militanti armati, semplicemente spariscono, vittime di un'impressionante ondata di arresti arbitrari, che si tramutano in detenzioni in luoghi segreti, senza che se ne abbiano più notizie. Per almeno due anni, fino appunto ai Mondiali, nelle strade delle città la vita continua a scorrere normalmente, soltanto chi è coinvolto nella repressione, magari perché gli manca qualche parente o amico, sente aleggiare una orribile tensione priva di punti di riferimento.
Ma il regime può negare tutto, tranquillizzando chi prova a chiedere spiegazioni: la persona che cercano magari è fuggita all'estero per timore, in quanto pericolosa sovversiva; oppure si è data alla clandestinità; oppure sì, è stata arrestata, ma non si preoccupassero i suoi cari, prima o poi tornerà. Succede anche che appaiano cadaveri per strada, ma il regime se la cava con la storiella del sovversivo rimasto ucciso mentre compieva chissà quale nefandezza. Le stesse spiegazioni vengono date a livello internazionale, a un mondo in realtà molto poco interessato ad approfondire, che si accontenta delle spiegazioni di comodo. Persino l'emisfero comunista si unisce a questo assordante silenzio: con l'Argentina ci sono rapporti commerciali, e poi fa parte del campo occidentale. Meglio farsi gli affari propri.
E così fino ai Mondiali tutto procede come se nulla fosse. Le grida di denuncia sono ancora poche, anche perché le famiglie degli scomparsi sperano che davvero i loro cari un giorno possano tornare. In realtà migliaia di loro quando iniziano i Mondiali sono già morti da tempo.
Partono in verità alcuni inviti al boicottaggio, specie da personaggi politici e giornalisti nordeuropei, ma sono piuttosto isolati e trattati generalmente come note di colore. Figurarsi se la FIFA di Havelange si faceva scrupoli di questo tipo.
Del resto per il regime il Mondiale è il fiore all'occhiello, l'occasione di fare una gran bella figura con il mondo, il momento in cui tutto deve funzionare alla perfezione. E in buona parte l'operazione riesce: stadi pieni, città piene di gente in giro che si diverte e si gode la vita, in superficie non si direbbe certo di trovarsi in una delle più feroci dittature del secolo scorso. Anche un bel Mondiale dal punto di vista calcistico, con il coronamento del trionfo Albiceleste, ampiamente pilotato da favori organizzativi, arbitrali e da rese volontarie degli avversari, oltre che da una fortuna sfacciata. Un trionfo perfettamente in tono con una dittatura fascista.
Ma il Mondiale del '78 segna anche uno spartiacque che genererà conseguenze nefaste per il regime: una folla di giornalisti internazionali “invade” il paese, e per forza di cose ne arriva anche qualcuno che ha la curiosità di indagare il contesto politico e sociale. E per quanto la Giunta si sforzi di mostrare normalità, è impossibile nascondere a un occhio attento e minimamente sincero che sotto al tappeto c'è una quantità terrificante di sporcizia. Ad esempio alcuni cominceranno a conoscere e intervistare le Madri di Plaza de Mayo e ad indagare sulle dinamiche repressive, anche solo per il fatto di aver notato dispiegamenti sproporzionati e soffocanti di militari nelle strade. Insomma a partire dall'estate '78 cresce l'attenzione internazionale verso gli orrori che avvengono in Argentina, e ciò contribuirà negli anni successivi al progressivo indebolimento dei militari e infine al ritorno della democrazia.
Leggendo il libro episodi e aneddoti si susseguono e danno sostanza alle riflessioni dell'autore, oltre a contribuire al rendere la lettura avvincente. Qualche flash in ordine sparso, giusto per dare l'idea. La luccicante cerimonia di apertura, con tanto di messaggio di papa Paolo VI. Il capitano dell'Argentina Carrascosa che a qualche mese dall'inizio rifiuta di vestire la maglia della dittatura; avrà salva la vita ma sarà condannato all'oblio. L'enorme spesa pubblica per garantire sfarzo, che costerà caro in termini economici al regime; e la “misteriosa” morte dei dirigenti che invitavano alla moderazione finanziaria. Il fatto che l'unico giornale italiano che si dedicò seriamente all'inchiesta sulla dittatura fu “Tuttosport”. La Scozia auto-candidatasi favorita per il titolo che esce ingloriosamente al girone, ma con all'attivo il gol più bello del Mondiale, lo slalom di Archie Gemmill reso immortale da una scena di “Trainspotting”. Un'Italia partita a fari spenti che giocherà il miglior calcio del torneo per poi farsi beffare in semifinale dall'Olanda. Cruijff che non partecipa per boicottare la dittatura, ma c'è chi dice che il suo ciclo con la nazionale fosse finito in ogni caso. E, ovviamente, il cammino dell'Argentina, squadra non bellissima, dura, arcigna, ma comunque forte. Le prime due vittorie ottenute con grossi favori arbitrali. La sconfitta con l'Italia che la costringe a non giocare il girone di semifinale a Buenos Aires. E poi la grande vergogna dell'ultimo turno del girone di semifinale, con Brasile e Polonia costrette ad affrontarsi prima di Perù e Argentina, con la squadra di casa che quindi sa già che per andare in finale dovrà vincere almeno 4-0. Il Perù, dopo un buon inizio di gara, a un certo punto smette di giocare, e per sicurezza ne prende 6. Per arrivare alla finale, bellissima e durissima, una vera battaglia, e a quel palo colpito all'ultimo secondo dei tempi regolamentari da Rensenbrink, ad ennesima dimostrazione che ci sono cose che nemmeno la dittatura più spietata può controllare. Quella volta, la aiutò la fortuna.
E, per concludere amaramente, i caroselli del popolo che festeggia il primo Mondiale vinto mentre dietro l'angolo la sua parte migliore viene sepolta viva. E i giocatori, quasi tutti, che negli anni chiederanno a modo loro scusa, chi per opportunismo chi perché realmente lacerato dall'aver regalato il proprio più bel trionfo a un simile mostro, senza opporvisi, un po' per ignavia e un po' per reale mancanza di conoscenza della situazione.
Il libro di Cordolcini ha il grande merito di narrare in sincrono le vicende calcistiche, dettagliatamente descritte, e il dramma della dittatura, dipingendo un quadro in cui emerge l'assurdità della situazione in cui a poche decine di metri da tribune festanti le grida di dolore dei torturati vengono insonorizzate dai garage in cui sono rinchiusi, mentre il mondo prende coscienza molto lentamente, e il popolo argentino festeggia la coppa così fortemente voluta dai suoi stessi carcerieri. Un racconto dalle emozioni forti, che a tratti chiude lo stomaco. E mostra come il calcio sia molto più che un gioco, arrivando anche ad intrecciarsi ai livelli più alti con la Storia che leggiamo sui manuali e con le più grandi sofferenze che gli esseri umani possano provare.
Matthias Moretti