Sorriso smagliante, sguardo sveglio e sempre vestito glamour: in poche parole Sugar Ray Robinson. Sugar Ray è stato, dopo Marvin Hagler, uno dei più grandi della categoria dei pesi medi, così grande da ispirare tecnicamente anche lo stesso Muhammad Alì. Prima di approdare in pianta stabile nella categoria di peso che lo consacrerà, Robinson aveva creato scompiglio in quattro categorie diverse: pesi piuma, leggeri e welter prima, e alla fine nei mediomassimi. La sua superiorità fu evidente: fu imbattibile come peso welter, vinse cinque volte il titolo mondiale dei pesi medi e per poco non conquistò anche quello dei mediomassimi. Proprio nella categoria dei pesi medi divenne il re assoluto e pugile simbolo, dove affrontò i migliori della categoria come Carmen Basilio, Jake LaMotta, Gene Fullmer, Carl 'Bobo' Olson, Henry Armstrong, Rocky Graziano e Kid Gavilán.
Nacque in Georgia, il suo vero nome era Walker Smith Jr e la sua famiglia era il classico esempio dello spaccato socio-culturale del mondo afroamericano, con il padre coltivatore di cotone e mais che si spostò a Detroit dove cominciò a lavorare come operaio edile. Robinson cominciò a lavorare contemporaneamente come miscelatore di cemento e manutentore delle fognature. All’età di dodici anni, dopo che i suoi genitori si separarono, decise di trasferirsi con la madre ad Harlem e fu qui che decise di cominciare a fare il pugile dopo che accantonò in fretta il sogno di diventare un medico. Il nome Ray Robinson lo ottenne a quattordici anni quando provò a iscriversi un torneo di pugilato, ma la federazione pugilistica americana lo bloccò perché non aveva sedici anni e quindi aggirò proprio queste norme fingendosi più vecchio e grazie proprio alla tessera di un suo amico che si chiamava Ray Robinson. A dargli il soprannome Sugar (zucchero) fu colui che poi divenne il suo futuro manager George Gainford perché secondo lui il suo stile pugilistico era “dolce come lo zucchero”. Robinson era un pugile perfetto con un'ottima scherma pugilistica e una grandissima velocità di gambe. Uno stile che impressionò e ispirò persino colui che si definì il più grande del XX secolo: Muhammad Alì. All’apice della sua carriera, Robinson veniva considerato come uno dei più grandi pugili mai visti fino a quel momento. Sugar Ray fu uno dei primi pugili che mise insieme la passione per il jazz e il ballo coltivata fuori dal ring nel suo sport. Era un grande appassionato di ballo, infatti ai giornalisti che gli chiedevano sovente come mai il suo movimento di gambe sul ring era simile a una danza, lui rispondeva: «Il ritmo, nel pugilato, è tutto. Qualsiasi movimento tu faccia, nasce dal cuore: o questo ha il ritmo giusto, o sei nei guai».
Viceversa, aveva tentato di trasporre nella danza il suo modo di muoversi sul ring, sciolto ma atletico ed estremamente ritmato. Non solo il ballo, Robinson amava moltissimo anche la musica jazz, al punto di allenarsi con un'orchestrina che suonava per lui in palestra. Tanto che la sera nei locali si metteva a suonare spesso la tromba nelle orchestrine. Nel suo lungo regno da campione del mondo nei pesi medi Sugar Ray, come scritto prima, aveva affrontato i migliori del suo tempo e i più temuti. Però, se dovessimo scegliere il suo rivale per eccellenza, appare subito chiaro che questa scelta non può che ricadere su Il Toro Del Bronx Jake LaMotta. Erano due pugili totalmente differenti: il picchiatore LaMotta contro il tecnico schermidore Robinson. I due pugili si affrontarono per ben sei volte dando vita a una vera e propria esalogia che vede LaMotta vincere una sola volta contro il pugile della Georgia. Il culmine della loro rivalità fu nel match disputato il 14 febbraio 1951, passato alla storia con il nome del massacro di San Valentino, una versione pugilistica della strage di San Valentino del 1929, per dare l’idea della durezza del loro scontro.Questo fu senza troppi fronzoli un match brutale e privo della parola pietà da parte di tutti e due. Tredici round valevoli per il titolo mondiale dei pesi medi. Il Toro Del Bronx venne punito severamente da Sugar, che quella sera fu tutto meno che dolce, riducendo LaMotta a una maschera di sangue. Martin Scorsese nel suo film Toro Scatenato ricostruì magistralmente questo match e la famosa scena accaduta veramente, dove dopo che l’arbitro aveva interrotto il match decretando Robinson vincitore, LaMotta si avvicinò dicendogli che non lo aveva buttato giù neanche questa volta: «Ray, non mi hai buttato giù, non mi hai battuto». Nelle parole di LaMotta c’era un fondo di verità perché nonostante le sue cinque vittorie su sei scontri tra i due, Robinson non riuscì mai a mandare LaMotta al tappeto in carriera. Anni dopo il suo ritiro, alla domanda di un giornalista di come fu la sua rivalità con Robinson, LaMotta rispose: «Ho combattuto così spesso con Sugar Ray, che mi è quasi venuto il diabete» a dimostrare il grande valore e rispetto che il pugile del Bronx provava per il suo avversario. Con la fine di questa rivalità e la dimostrazione della sua superiorità Sugar Ray entrò di diritto nell’Olimpo della boxe. Oltre alla storica rivalità contro LaMotta vale la pena ricordare anche quella che Robinson ebbe contro l’inglese Randy Turpin. Il ragazzo proveniente da Leamington stupì il mondo intero, perché interruppe l’imbattibilità di Sugar Ray soffiandogli il titolo mondiale e infliggendogli la seconda sconfitta in carriera allo statunitense dopo che il primo fu Jake LaMotta. Nel rematch del 12 settembre 1951 Robinson, come fece con LaMotta, inflisse al picchiatore di Leamington una severissima punizione. Nonostante non ci fu un terzo incontro, Turpin si può annoverare tranquillamente tra i rivali più ostici che Ray Robinson dovette affrontare durante la sua carriera agonistica.
Sugar Ray Robinson fu un campione con tutti i tratti tipici degli afroamericani del tempo: proveniva dal profondo Sud, da una famiglia di agricoltori e al pugilato arrivò per vincere la fame. Ma della questione degli afroamericani Sugar Ray non si occupò mai, fuori dal ring i suoi pensieri erano il golf e la vita mondana. Sul ring si distinse per la sua tecnica perfetta, per i suoi riflessi fulminei che lo portavano ad anticipare i colpi dei propri avversari e colpire d’incontro. Era dotato di una scioltezza che gli arrivava probabilmente dalla seconda delle sue passioni, la danza. Al di là del suo fisico esile, Robinson era dotato di un jab velocissimo capace di mettere KO i propri avversari e di una velocità pazzesca. Robinson era quello che vediamo oggi nei pugili delle categorie dei pesi welter e superwelter. La sua altezza (180 cm) unita alla sua grande intelligenza tattica gli consentiva di poter boxare alla distanza e anche nel corpo a corpo contro i picchiatori. Inoltre, la sua visione tattica gli consentiva di dominare i pugili aggressori-in fighter, quanto i picchiatori, quanto gli stessi schermidori come lui. Robinson fu completo in tutto, non ebbe rivali, forse tecnicamente fu anche più grande di Muhammad Alì, che è già una cosa pazzesca da immaginare. Ma nelle parole dello stesso pugile che rivoluzionò il pugilato nel XX secolo, colui che si definiva il più grande, forse si può trovare il sunto perfetto per descrivere il pugile dolce come lo zucchero: «Ray è stato il miglior pugile di sempre. Anch’io ho imitato il suo gioco di gambe». Non fu un caso che Alì classificò Robinson come il più grande pugile al mondo nel “Pound by Pound” ovvero il migliore attraverso tutte le categorie di peso.
Marvin Trinca