Un colpo al cuore, l'ennesimo. Lo è stato nel rivedere le immagini del G8 di Genova, come per il film su Stefano Cucchi ed è quello che ho provato durante la lettura di Federico Ovunque, scritto da Daniele Vecchi, edito da Red Star Press - Hellnation Libri.
Un colpo al cuore e successivamente rabbia per una storia che tutti noi non vorremmo fosse mai successa e invece è successa. Una storia che doveva essere raccontata, anche se per molti fa male, doveva essere messa nero su bianco per far sì che chiunque leggendola possa capire l'assurdità di tutta questa vicenda, perché al posto di Federico potevamo e potremmo esserci noi.
L'importanza di questo libro sta tutta qua.
Perché come lo è stato per il film su Stefano Cucchi, narrare gli abusi da parte della polizia, troppo spesso tenuti nascosti dallo Stato e dall'opinione pubblica, è fondamentale per rompere questi meccanismi, scoperchiati solo grazie alla tenacia, alla forza d’animo e allo spirito dei famigliari e amici colpiti, capaci sin dai primi momenti di non credere alle “verità” messe in campo dallo Stato.
Vecchi ricostruisce la dura battaglia e gli avvenimenti che hanno portato alla verità sull'assassinio di Federico Aldrovandi, sottolineando da una parte il forte ruolo avuto dalla famiglia, in mezzo a un ambiente ostile, sordo, difficile come quello della città di Ferrara, silente all’indomani dell’uscita della notizia dell'omicidio e accondiscendente con le tesi messe in campo da media e questura locali; dall’altra sottolinea il ruolo fondamentale che hanno avuto sin dai primi giorni gli ultras nel mettere in discussione le versioni “ufficiali”, sostenendo senza se e senza ma la battaglia della famiglia per raggiungere giorno dopo giorno la verità sulla assassinio di Federico.
Verità alla quale processualmente si è anche arrivati, dopo anni duri e difficili, con la condanna dei quattro poliziotti che hanno ucciso Federico. Un processo estenuante per la famiglia, lasciata troppo spesso da sola e sbeffeggiata da uno Stato che ha sempre provato ad assolversi, attraverso individui loschi della politica italiana, segretari di sindacati di polizia e la figura stessa degli assassini di Federico, capaci di sentirsi parte lesa in questa vicenda e forti del sostegno di un ambiente omertoso e troppo spesso impunito.
Daniele nel suo libro fa due operazioni molto forti: da una parte intervalla la narrazione sulla morte di Federico con capitoli dedicati ad altre storie di violenza gratuita da parte della polizia verso ragazzi e persone, ad alcuni dei quali è toccato lo stesso destino nefasto di Federico, sottolineando come questa sia una “pratica” costante e impunita messa in atto della forza pubblica; dall’altra, negli ultimi due capitoli del libro sottolinea il ruolo fondamentale del mondo ultras nell’arrivare alla verità sulla morte di Federico.
Denigrati, mal visti, oggetto di sperimentazione sociale da parte di chi fomenta il moral panic, per citare Valerio Marchi, sono stati i primi e gli unici a capire sin da subito che qualcosa non tornava, e già dai giorni successivi alla morte di Federico gli ultras della Spal e del Basket Ferrara, dalle proprie curve, han cominciato a stendere striscioni per chiedere “verità per Federico”. Da qui è stata un’unione di intenti da parte di questo mondo nella lotta contro gli abusi della polizia, lasciando da parte rivalità e odi: attraverso striscioni e la pezza con la faccia di Federico, su ogni campo o palazzetto si grida la voglia di giustizia e la rabbia contro Stato e polizia, facendo sì che all’oggi Federico sia diventato un simbolo di questa lotta, diventando scomodo per le autorità a tal punto da arrivare a vietare l’esposizione della pezza con la sua faccia. Non solo però sui campi, come abbiamo detto, perché la capacità degli ultras è stata anche quella di uscire dai gradoni che gli appartengono trovando nella società una comunione d’intenti nella lotta quotidiana per far sì che “non ci siano più Federico Aldrovandi”.
Chiudo con una frase riferita agli ultras, tratta dalla prefazione del libro scritta del padre di Federico.
“Chi era Federico? Uno di voi.
E con voi, e come voi, tutti gli altri ragazzi in giro per l’Italia e per il mondo che hanno adottato Federico come tributo alla vita e all’amore per essa”.
Luca Malmusi