Si chiama Fighters Against Socialism ed è una delle trovate più originali della campagna per la rielezione di Trump. Un tour on the road in autobus per la Florida con tappe a Orlando, Coconut Creek e Miami, che punta a sfruttare la popolarità degli sport da combattimento – e in particolare delle Mixed martial arts (Mma) – per offrire supporto al presidente americano e alla sua rielezione.
Il regista dell’operazione è Donald Trump Jr. – il figlio primogenito di Donald e Ivana Trump – ma l’attore principale sotto ai riflettori è Jorge “Gamebred” Masvidal, atleta di primo piano della promotion Ufc e veterano delle Mma. Le comparse invece sono Maximo Alvarez, businessman cubano-americano, e il senatore Marco Rubio, punto di riferimento repubblicano per i latinos.
Il fine dichiarato di Fighters Against Socialism è conquistare il voto ispanico e spostare l’ago della bilancia in Florida, uno degli stati più contesi nella tradizione elettorale americana. Il mezzo con cui raggiungere l’obiettivo – oltre lo sbandieramento del sempreverde pericolo “rosso” in stile maccartista – è corteggiare gli ispanici attraverso esponenti di successo della comunità che strizzano l’occhio al trumpismo.
Masvidal in questo senso è perfetto. È un’icona delle Mma ma soprattutto è un classico self-made man, perfetto da vendere come esempio cristallino di realizzazione del sogno americano. Figlio di un immigrato cubano e di un’immigrata peruviana, Jorge ha avuto un’infanzia e un’adolescenza sofferte. Ristrettezze economiche, padre in prigione e madre da sola a crescerlo, si è formato per le strade di Miami senza disdegnare scazzottate e risse di ogni genere e tipo. Ha trovato nella palestra un’accademia di vita e lo sport è stato un argine alla rabbia e il catalizzatore per la riscossa. È insomma uno che ce l’ha fatta senza santi in paradiso.
Come in un b-movie di arti marziali anni ’80, il successo di Jorge è partito dai combattimenti a mani nude: ha iniziato nei backyard fights di Kimbo Slice fino a combattere nelle più importanti promotion mondiali, da quelle giapponesi, a Strikeforce, Bellator e fino alla Ufc. Quasi 50 incontri (per la precisione 49 incontri, 34 vittorie e 15 sconfitte) in una carriera cominciata nel 2003 in cui ha affrontato il meglio di questo sport, e che lo ha visto combattere per l’ultima volta l’11 luglio 2020 contro il campione del mondo dei pesi welter Kamaru Usman con soli 6 giorni di preavviso. Quasi vent’anni in cui “Gamebred” si è sempre mantenuto ai livelli più alti, compiendo un percorso marziale caratterizzato da un costante miglioramento in cui da ragazzo rabbioso che sapeva menare le mani è diventato un lottatore completo, ostico per qualunque avversario.
Oltre le qualità strettamente marziali, Masvidal è stato anche capace di creare un personaggio: ha saputo sfruttare estetica, stile gangsta, “lingua lunga”, ed è diventato una calamita in grado di attirare neofiti alle Mma. Con il suo amore per il junk food, per la tequila e per la pizza, è l’opposto del rigorismo marziale predominante nell’ambiente e ha incarnato il classico “duro” tutto genio e sregolatezza che tanto piace a chi guarda questo sport da una certa distanza – “l’occasionale” per sfruttare una terminologia calcistica – ma che spesso è determinante per decretare il successo di un atleta e di uno sport.
Allargando il discorso, le Mma sono oggi a un bivio: hanno una fan base ristretta ma molto solida e hanno bisogno di personaggi come Gamebred o Conor McGregor – capaci appunto di attirare l’attenzione di un pubblico più vasto, non necessariamente esperto e avvezzo alla pratica marziale – per diventare uno sport di massa, alla portata di tutti. Soprattutto negli Stati Uniti questo processo è a un punto cruciale, mentre nel resto del mondo, per esempio in Europa, il tutto è ancora a uno stato primordiale, ma la direzione intrapresa è la stessa ovunque. Tutto questo ha contribuito a fare di Masvidal il promoter perfetto per un’operazione del genere, facendolo diventare un personaggio pubblico a tutti gli effetti (ha anche partecipato a un reality), spendibile insomma oltre il circuito delle Mma, magari anche in politica.
Sui social Masvidal ha più volte strizzato l’occhio a Trump, sostenendo in più casi il presidente. Finché alla fine di settembre in un comizio in Florida Trump ha salutato pubblicamente Masvidal – presente fra il pubblico – elogiandone le qualità sportive, umane e dicendo di essere fiero di lui e del suo supporto.
Non è il primo sportivo a tifare Trump, anche se diverse sono anche state le prese di posizione ostili alla Casa Bianca, come per esempio quelle di intere squadre Nba e Major League. Al solito lo sport non è né una “camera bianca” né un terreno neutro, ma semplicemente un segmento vivo della società, con tutte le sue sfaccettature, contraddizioni e polarizzazioni, come per esempio il cinema, altro scontato terreno di scontro della politica statunitense.
Nel circuito delle Mma comunque esistono diversi atleti cultori del Maga (Make America Great Again): il più famoso è Colby Covington, più volte ricevuto alla Casa Bianca e assiduo frequentatore di rally repubblicani, onnipresente con il suo cappellino rosso da repubblicano irriducibile. Anche Dana White, patron Ufc, è stato più volte presente a incontri pubblici e ha anche svolto un ruolo simbolico in una task force di imprenditori per la ripresa durante la pandemia di Covid-19. A metà settembre poi sono stati ricevuti alla Casa Bianca in delegazione proprio Dana White, Colby Covington, Justin Gaethje (prossimo sfidante di Khabib Nurmagomedov, il 27 ottobre), Henry Cejudo e Ali Abdelaziz (il più importante manager di Mma del mondo). Tutti atleti, campioni e personalità di primissimo piano della promotion Ufc in fila per omaggiare il presidente.
Ma oltre Ali Abdelaziz e Cejudo, il trio portante della cordata – White, Covington e Gaethje – rappresenta perfettamente la cultura Wasp (White Anglo-Saxon Protestant) e incarna l’elettorato tradizionale repubblicano e quindi non è molto spendibile in una fase di emergenza da rimonta per la campagna presidenziale.
L’operazione di Fighters Against Socialism è in questo senso molto più audace. Da un lato perché mira, come ricordato all’inizio, all’elettorato ispanico – tradizionalmente avverso ai repubblicani – dall’altro perché il perno attorno a cui ruota l’operazione è Masvidal, una persona di origini proletarie, se non addirittura sottoproletarie. Un “marginale” come lo chiamerebbe la sociologia anglosassone, o ancora meglio un esponente di quelle “classi pericolose” che terrorizzano l’elettorato repubblicano. In altre parole l’operazione di Fighters Against Socialism nasconde una smaccata natura di classe ed è più di un semplice endorsement: Masvidal è perfetto per andare a caccia di voti working class perché “viene” dal ghetto, ha dormito in macchina, si è spaccato la schiena e alla fine ce l’ha fatta. E ora sostiene Trump. Insomma è un testimone perfetto di quell’idea trumpiana – e più in generale del pensiero neo-con statunitense – del popolo contro le élite progressiste, della borghesia liberale, degli yankee contro la gente comune. Tutto questo ha un valore propagandistico enorme. Nei fatti insomma è molto più rilevante del sostengo di un Covington qualunque o persino di una personalità dirompente e spendibile come Dana White.
Non a caso, proprio ieri, quando Trump è arrivato a Miami ad attenderlo ai piedi dell’Air Force One c’era un elettrizzato Masvidal che dopo un siparietto con il presidente ha scritto sui social una frase emblematica che riassume alla perfezione lo spirito di Fighters Against Socialism: «Chi avrebbe mai pensato 17 anni fa che un ragazzino ispanico che combatteva nei cortili di Miami avrebbe accolto il presidente degli Stati Uniti nella sua città?». Non a caso l’hashtag a chiudere il messaggio è un grande classico: American Dream.
Filippo Petrocelli