Ci sarebbero molti aspetti da approfondire su quello che riguarda la Resistenza Greca. Secondo alcuni storici l’intero esito del secondo conflitto mondiale è in qualche modo collegato a essa e alla disastrosa campagna delle truppe dell’Italia fascista che per uscire da quel pantano ebbero bisogno dell’intervento in forze dei tedeschi che persero alcune settimane rivelatesi decisive quando poi nel bel mezzo dell’Operazione Barbarossa subentrò il “Generale Inverno”, un alleato formidabile per l’Armata Rossa. Anche la successiva guerra civile nel paese ellenico si rivelò indicativa di quali sarebbero stati gli sviluppi successivi del mondo e di come gli angloamericani avrebbero inteso la libertà, una “libertà di” preferita a una “libertà da” per dei popoli “liberi e autodeterminati”… ma non troppo. E fu proprio la differenza di vedute sulla guerra civile greca uno dei principali motivi che portarono alla rottura tra Stalin e Tito.
Sicuramente, uno degli aspetti meno approfonditi è il ruolo dei calciatori nelle file dei partigiani, nonché proprio quello del calcio. Infatti, il primo atto di resistenza di popolo nelle strade di Atene si registrò, nella primavera del 1942, in seguito a una partita amichevole tra il Panathinaikos e l’AEK Atene ad Alexandras Avenue (lo stadio dell’AEK a Nea Filadelfia era stato distrutto e successivamente saccheggiato delle attrezzature restanti da parte dalle truppe italiane) davanti a 15.000 spettatori. Una delegazione di giocatori di entrambe le squadre (per l’AEK Tzanetis e Kleanthis Maropoulos e Tasos Kritikos per il Panathinaikos) si recò dall’allora presidente del club biancoverde Apostolos Nikolaidi per chiedere di devolvere almeno una parte dell’incasso all’ospedale “Sotirios” che curava i molti malati di tubercolosi della città; il presidente informò la delegazione che le autorità tedesche avevano deciso di tenere per loro tutto l’incasso e di nominare inoltre come arbitro un ufficiale austriaco delle forze d’occupazione. Preso atto della situazione le due squadre decisero di non affrontarsi, la notizia venne comunicata attraverso gli altoparlanti e allora le due tifoserie si diressero congiuntamente in corteo verso Piazza Omonia dando vita a quella che fu una delle primissime manifestazioni di aperta ostilità all’occupazione che successivamente venne dispersa dalle autorità occupanti mediante l’uso della violenza.
Due anni dopo, nel 1944, fu il “Leoforos”, lo stadio del Panathinaikos il primo luogo su cui si levò la bandiera greca, simbolo della liberazione dopo la ritirata dei tedeschi. Essa venne innalzata da Antonis Brettos, direttore dell’impianto. Ma il contributo dei verdi di Atene alla lotta di liberazione dal nazi-fascismo non si esaurisce qui, anzi annovera altre storie importanti, come quella di Michailis Papazouglou, dapprima calciatore e poi tesoriere e anche vice-presidente della società, colui che propose il trifoglio come stemma della squadra; egli fu un membro attivo della Resistenza nella banda di sabotatori capeggiata dal calciatore di origini polacche dell’Iraklis Salonicco Jerzy Iwanow-Szajnowicz. Nel 1942 venne addirittura arrestato dal tedeschi e vide trucidati tutti i suoi compagni (tra cui anche Dimitris Giannotis fondatore del compartimento di basket della polisportiva ateniese), si salvò fingendosi pazzo, motivo per cui venne internato nell’ospedale psichiatrico “Aegineteio” e poi nella prigione di Averoff dalla quale riuscì successivamente a fuggire grazie a un aiuto esterno. Purtroppo non tutte queste storie ebbero un lieto fine, come dimostrano le vicende di Mimis “Brak” Pierrakos, uno dei calciatori più estrosi e amati di quel Panathinaikos (per una prestazione superlativa farcita da una doppietta nello storico derby vinto per 8-2 contro l’Olimpiakos) schiacciasassi che nel periodo pre-bellico oltre a vincere sette campionati di Atene, vinse anche una Coppa di Grecia e un campionato nazionale. Dopo la dichiarazione di guerra, il 28 ottobre del 1940 decise di arruolarsi e di andare al fronte contro il parere di tutti; sfruttando le sue competenze di operatore radiofonico riuscì addirittura a catturare un pilota italiano dopo che il suo aereo fu abbattuto nei pressi del villaggio di Dipotamia, ma poche settimane dopo trovò la morte in seguito a un bombardamento aereo, proprio mentre stava scrivendo una lettera alla sua famiglia.
Anche l’altra squadra di Atene, l’Olympiakos, ha versato il suo tributo di sangue per la Resistenza: Andreas Mouratis era uno di quelli che adesso definiremmo un “tuttocampista”, avendo giocato praticamente in tutti i ruoli ad eccezione di quello del portiere, ed era un uomo fortemente orientato a sinistra e allo scoppio della guerra si arruolò nell’EPON, l’Organizzazione Giovanile Unita Pan-Ellenica, per cui derubava i camion dei soldati tedeschi distribuendo poi i viveri tra la gente del Pireo. Ma probabilmente il calciatore dei rossi del Pireo più famoso per le sue azioni nella Resistenza è stato Nikos Godas, una sorta di Bruno Neri ellenico, membro del KKE e combattente nel 5° battaglione dell’ELAS a Kokkinia. Combatté i tedeschi al Pireo nel 1944, come capitano dell'ELAS, e prese parte alla cosiddetta “Battaglia della Compagnia Elettrica” a Perama, Kokkinia e Keratsini, per il controllo della “Power”; i tedeschi avevano ufficialmente abbandonato Atene il giorno precedente, ma avevano comunque lasciato truppe nella zona che vennero soverchiate dall’ELAS, riuscì ad accaparrarsi molte attrezzature militari importanti. A dicembre, nel 1944, combatté gli inglesi nel “Cimitero della Resurrezione”, al Pireo. Dopo l'accordo di Varkiza, fu arrestato e condannato a morte dal regime monarchico nel 1948. Nelle prigioni di Egina dove fu portato, nella sua cella c'era sempre la maglia dell’Olympiakos attaccata al muro. Non firmò una dichiarazione di pentimento quando gli fu chiesto in modo da poter aver la grazia ed espresse il suo ultimo desiderio: “Lanciatemi e uccidetemi con la maglia dell'Olympiakos e non bendatemi, in modo che io possa vedere i colori della mia squadra, prima del colpo finale”. E sempre l’Olympiakos si trovò a essere testimone di come la cacciata delle truppe nazi-fasciste non coincise con la fine delle atrocità nella penisola ellenica che doveva ancora vivere la sciagura della guerra civile. Il 26 gennaio 1949 ad Alexandra Avenue, con la scusa della beneficenza, si disputò un’amichevole particolare tra i rossi del Pireo e la selezione mista di Makronissos, l’isola-confino in cui i militanti dell’ELAS venivano rinchiusi e uccisi. Vinsero per 2-1 “i confinati” (tra i quali c’erano anche quattro giocatori dell’Olympiakos) davanti a 12.000 spettatori tra cui diversi parenti dei prigionieri e comunisti “in incognito”, e non a caso dopo questa partita la selezione mista fu sciolta. Tuttavia, a distanza di anni permane il monito delle sue atrocità e del tributo pagato sull’altare degli interessi geopolitici da parte del popolo ellenico tra cui anche diversi calciatori che è doveroso ricordare per non disperdere il loro sacrificio e, pur senza lasciarci tentare da improponibili paragoni con l’attualità, non arrenderci all’idea che questi non possano prendere posizione anche nei momenti più duri e proibitivi.
Giuseppe Ranieri