Provengo da una famiglia integralmente milanista, a tal punto che mio fratello, nato nel passaggio di consegne dal Milan di Sacchi a quello di Capello, si chiama Marco e non per caso. Uno dei più nitidi ricordi che ho della mia infanzia è la delusione dei miei parenti all’epilogo del campionato 1989-90, quello della “Fatal Verona bis”, per intenderci quella in cui l’arbitro Lo Bello fece il bello e il cattivo tempo determinando le sorti dell’intero campionato. Se a ciò si aggiunge che alle elementari il mio principale antagonista era Carlo, un ragazzino originario di Salerno tifosissimo del Napoli, forse si può comprendere come fino a un’età adolescenziale il mio sentimento nei confronti di Maradona fosse di ostilità e ben sintetizzabile nel coro ripetevo istintivamente quando lo vedevo in Tv; lo stesso che accompagnò gli ultras milanisti, all’epoca nel loro periodo ruggente, al seguito della squadra nella vittoria che consegnò a Sacchi lo scudetto del 1988 e al mondo una squadra che sarebbe entrata nella storia: “Guarda le bandiere, Maradona sono rossonere”, che faceva il verso alla famosa frase di Diego che per quel match non voleva vedere bandiere del Milan al San Paolo.
Certo, poi col raggiungimento della piena adolescenza ho avuto modo di ravvedermi: pur preferendo i rossoneri a un buon 80% delle formazioni di Serie A, sono legato indissolubilmente alla squadra della mia città (anche perché vivevo male il tifare una squadra che vinceva sempre e per giunta con quel presidente), ma probabilmente questa è la prima occasione in cui faccio outing calcistico, al di fuori della cerchia dei miei amici più stretti. D’altro canto non poteva esserci occasione più meritevole di questa: la prima domenica fuori dalla zona rossa, in cui posso andare a pranzare dai parenti e mentre nel soggiorno principale tutti i pasdaran di casa osservano compiaciuti un Milan tornato (almeno per il momento) grande, in un angolo ci sono io che per non autoescludermi da questo rito sociale collettivo, me ne sto attaccato al telefonino per vedere il “mio” Catanzaro inanellare l’ennesimo risultato negativo, ridimensionando precocemente le proprie ambizioni per questa stagione, calato in un silenzio a metà strada tra la rassegnazione e l’incazzatura inespressa per via della presenza di bambini che forse non capirebbero il perché assocerei certi animali alle figure divine; fino a quando uno di loro, un mio cuginetto di dieci anni, non so ancora il perché, mi chiede perché si fermano tutti al decimo minuto e poi mi chiede chi fosse Maradona.
Una domanda che all’apparenza potrà sembrare innocente o forse anche banale e noiosa, ma che forse raccoglie il nocciolo del discorso, rimasto pressoché inesplorato poiché tutti erano presi dallo spolpare le parti più succulente dello stesso. Non a caso in questi giorni, per quanto almeno il sottoscritto si sia sforzato di evitarlo accuratamente, è stato quasi impossibile non imbatterci in opinionisti di ogni risma che si sentivano in dovere di dirci la loro su Diego Armando Maradona. Evidentemente si saranno fatti suggestionare dal “Black Friday” svendendo per un tot al chilo perle di qualunquismo disarmante, in cui spesso e volentieri il target dei discorsi non era nemmeno il “Pibe de Oro”, ma il giudizio di questi soloni o, peggio ancora, il loro (presunto) rapporto con Diego, ma non ci si può nemmeno sorprendere più di tanto: siamo nell’era in cui è quasi impossibile tenere per sé un pensiero e anche i social fungono come una sorta di lassativo per la mente, che si sente sollecitata se non costretta a fare evacuare le proprie idee.
Intendiamoci, penso che abbiano avuto un effetto ugualmente negativo ai fini della comprensione tanto quei denigratori che hanno dovuto necessariamente indossare i panni di “bastian contrari” per attirare l’attenzione su se stessi, perché se prima o poi si dovesse scavare a fondo sulle loro reali competenze giornalistiche sarebbero costretti a trovarsi un lavoro vero; tanto chi – sicuramente più affine al mio pensiero – abbia sventolato le insegne del diez, senza conoscere nulla di calcio, ma solo per un mero fine propagandistico.
Entrambe le fazioni si comportavano come se fossero le uniche detentrici della verità, come se un personaggio simile, capace di sfuggire alle marcature più asfissianti, possa essere rinchiuso in una definizione o all’interno di concezioni mentali univoche.
È vero, Maradona era (o era stato) un cocainomane, un evasore fiscale, un fedifrago talvolta violento con le proprie compagne; ed è altrettante vero che era schierato dalla parte degli ultimi, amico di molti giganti della politica che dedicarono la propria vita al riscatto di un continente e dei suoi popoli, che si è sempre speso per aiutare i poveri e i bisognosi. Già, ma come faccio a spiegare tutte queste cose a un bambino di dieci anni? Da dove devo partire, dalle cose belle o dalle cose brutte?
Forse, la principale cosa da fare era quella di partire dalle ovvietà: caro cuginetto, ci sarà tempo per parlarti della grandezza di Fidel Castro e di Hugo Chavez e del perché entrambi condividessero un rapporto di amicizia fraterna, nonché di una visione globale comune; inoltre temo che se ti raccontassi adesso di quanto fu bello segnare un gol di mano in una partita importante del mondiale, tu non mi capiresti e cominceresti a prenderlo in antipatia come feci io e non credo che recupererei parlandoti dell’influenza che ebbe su una porzione non esattamente trascurabile della letteratura, da Soriano a Galeano passando per Gabriel Garcia Marquez.
E troveremo anche il tempo per parlare dell’abbraccio mortale che possono esercitare certe situazioni e certe sostanze su un giovane, perché sai, come canta adesso Marracash che sicuramente conoscerai meglio di Diego, “è facile non fare certe scelte, se nessuno te le ha mai offerte” così com’è facile parlare dei difetti e delle debolezze di un ragazzo che arriva a Napoli a ventiquattro anni e con “tutte le porte aperte” da parte di chi… aveva tutte le chiavi per aprirgliele e non lo faceva con la prepotenza, ma con l’adulazione e proprio per questo più difficile, molto più difficile, da respingere. Tipo le sue punizioni.
D’altronde il vero problema non è se Diego fosse o meno un esempio, ma il fatto che forse sbagliamo noi alla radice, nell’ostinarci nel cercare esempi nei calciatori e nei personaggi dello spettacolo invece di farlo altrove, che Maradona aveva da sempre abdicato alla prospettiva di diventarlo, perché conosceva meglio dei suoi cronisti postumi i suoi limiti e probabilmente questa “divinizzazione” gli ha dato più effetti nefasti che benefici finendo per schiacciarlo, come spesso succede quando il personaggio sopravanza in maniera irrimediabile la persona, e che c’è bisogno proprio di esempi brutalmente efficaci come questo per dissuadere tante altre persone, a prescindere da quello che fanno oggi tanti calciatori che non hanno nemmeno un millesimo della sua abilità. Ed è anche per questo che, nonostante sia tentato mi asterrò da usare i cliché del ribelle anticonformista, visto che viviamo in un’epoca di ribaltamento dei valori in cui è l’immagine che conta e i peggiori zerbini si sanno trasformare alla perfezione in ribelli.
In fin dei conti Maradona voleva solo far divertire le persone, farle svagare per novanta minuti a settimana e giocare a pallone.
Ecco, forse allora potrei cominciare a parlarti del Maradona calciatore, ma in fin dei conti anche io l’ho vissuto parzialmente di riflesso e come potrei riuscire a farti provare empatia per quello che è stato il principale impedimento alla vittoria del mondiale di casa da parte della nostra nazionale, oltre che l’unico antagonista degno di nota del Milan più forte e bello di sempre? D’altronde ogni epoca ha avuto i propri calciatori più rappresentativi e, con tutto il bene che ti posso volere, non sopporterei mai quell’inevitabile domanda che mi faresti subito dopo “ma secondo te chi è meglio Maradona o CR7/Messi?”, sei pur sempre il mio cuginetto e non ti potrei scagliare dalla Rupe Tarpea per quest’eresia.
Pertanto decido di prenderti d’anticipo e lasciarti sul posto per poi aggirare gli ostacoli successivi, proprio come faceva lui e allora ti dico che Maradona aveva un dono nei piedi, che non era il risultato di ore e ore di allenamenti maniacali, ma la rappresentazione più calzante del concetto di estro e fantasia applicati al calcio, ma che probabilmente avrebbe vita dura nel calcio attuale che è stato concepito proprio affinché anomalie come la parabola calcistica di Diego non possano ripetersi più e tutto divenga controllabile e senza la possibilità che qualcuno possa scalfire i progetti prestabiliti. Perché vedi, Maradona non è stato l’incarnazione del calcio soltanto perché è il più forte di sempre, ma perché ne rappresentava tutti i paradossi, i pregi e i difetti: era l’allegria e la spensieratezza del giocare in un qualsiasi campo, di palleggiare a ritmo di musica nel riscaldamento di una semifinale di Coppa UEFA creando un video-culto; ma su di lui anche quando era in vita sono stati scritti libri, incise canzoni e girati film, proprio a dimostrare come il calcio possa anche essere studiato in maniera scientifica e accademica per comprendere al meglio la nostra società, per dimostrare, parafrasando Sacchi, come il calcio sia la cosa più importante tra le cose meno importanti. Certo poi, vallo a dire a quei napoletani trattati come cittadini di serie C e mortificati in ogni stadio, o agli argentini reduci da un dittatura militare che il calcio è solo un gioco… D’altronde guarda quanta gente si dispera per la sua morte, quanta gente c’era ai funerali e quanta (ma soprattutto quale) lo sta omaggiando senza sosta.
Ma soprattutto ti dirò che con la morte di Maradona, probabilmente muore definitivamente un’idea di calcio più libera e scanzonata che ha accompagnato di padre in figlio generazioni di appassionati al calcio del popolo, quello di chi andava a giocare nei campetti fangosi per beneficenza e si presentava coi jeans e una felpa nei salotti televisivi senza dire mai ovvietà. Muore proprio un’idea di calcio che non esisteva più ma che almeno ti rinfrancava quando ti capitava di vedere Maradona in TV, rivendicando l’appartenenza a quei tempi e a quei modelli (un po’ come in Romanzo Criminale il Bufalo a distanza di anni rivendicava di essere stato col Libanese) e che probabilmente caro cuginetto, le domeniche saranno un po’ meno domeniche, anche il rosso con cui sono segnate sul calendario sarà un po’ più tenue, forse sarebbe più corretto colorarle di azzurro. Intanto guarda il posticipo della domenica sera, in quello che a breve si chiamerà “Stadio Diego Armando Maradona” e guarda quanto è determinante per la sua squadra anche dall’aldilà.
Giuseppe Ranieri