Probabilmente alla maggior parte dei lettori e delle lettrici il nome di Asaléa de Campos Fornero Medina non dirà nulla, eppure il suo contributo alla lotta alle discriminazioni di genere nel mondo del calcio e dello sport in generale è stato fondamentale. Infatti Lea Campos, questo il diminutivo con cui è maggiormente conosciuta, è stata il primo arbitro donna della storia formalmente riconosciuto dalla storia. In un contesto in cui era già di per sé molto problematico giocare a pallone per le donne, figurarsi i pregiudizi nei confronti di quelle che invece che fare le calciatrici avrebbero preferito arbitrare.
E infatti, la vicenda umana di Léa Campos è una vicenda di lotta contro tutte le avversità: dai pregiudizi di genere alla dittatura brasiliana.
Nata nel 1945 nella città di Abaeté, nello Stato di Minas Gerais, si appassionò al calcio ai tempi del liceo giocando da attaccante ma in maniera del tutto clandestina, perché nonostante il Brasile sia da sempre per antonomasia il paese del fútbol, con la firma sul decreto 3199, il dittatore Getulio Vargas aveva vietato alle donne di giocare a calcio (divieto che durò fino al 1979), fattore che se da un lato non fece demordere Léa che puntualmente continuava a organizzare partite clandestine nei meandri dei quartieri popolari di Belo Horizonte (dove si era trasferita con la famiglia), dall’altro le causò diversi fermi di polizia.
Si iscrisse all’università conseguendo una laurea in giornalismo - grazie alla quale entrò nell’ufficio delle relazioni pubbliche del Cruzeiro - trovò ben presto lavoro in una radio di Minas Gerais in cui si occupava di giornalismo sportivo, trovando anche il tempo per gareggiare e vincere diversi concorsi di bellezza come “Rainha do Carnaval”, “Rainha do Futebol Amador” e prendere una seconda laurea in educazione fisica all’Università di Brasilia, specializzandosi sulla formazione degli arbitri. Otto mesi dopo, nel 1967, Léa si diplomò alla Scuola per arbitri del Dipartimento di calcio amatoriale della Federazione calcistica di Minas Gerais. In quel periodo il presidente della Federcalcio brasiliana era João Havelange, futuro dominus della FIFA - colui che di fatto sdoganò il calcio business ponendo le precondizioni per la degenerazione attuale - il quale dichiarò che fino a quando ci sarebbe stato lui alla guida, nel calcio brasiliano non ci sarebbe mai stata nessuna donna arbitro, rifiutandosi così di conferirle quel diploma che la donna aveva conseguito con merito. Havelange poteva dichiarare ciò tranquillamente, perché aveva dalla sua anche un’altra regola, la risoluzione n. 7 del 1965, firmata dal generale Eloy Massey Oliveira de Menezes, presidente del Consiglio nazionale dello sport (CND), che citava le attività sportive vietate alle donne. Questa delibera integrava l'articolo 54 del decreto legge 3199 del 1941 di cui abbiamo parlato prima, che indicava l'incompatibilità della “natura femminile” con alcuni sport e, quindi, ne proibiva la pratica da parte delle donne.
Ormai la questione di Léa Campos aveva assunto i contorni del caso nazionale, a tal punto da impensierire diversi settori conservatori del paese; non è un caso se a Belo Horizonte delle donne manifestarono sulla Avenida Alfonso Pena scandendo slogan ingiuriosi o se delle donne di Sao Paulo inviarono una petizione alla CBF (la federcalcio brasiliana) per chiedere di non darle il diploma da arbitro.
Ma serviva ben altro per fiaccare la tenacia di una donna come Léa - che nel frattempo continuava la sua attività ufficiale da giornalista sportiva, alla quale ne affiancava una clandestina, conducendo una trasmissione su un’emittente di Sao Paulo, “Radio Mujer”, sul femminismo, un’azione rivoluzionaria in tempi di dittatura - a maggior ragione se a fornire l’assist vincente fu addirittura la FIFA.
Infatti nel 1971 il governo centrale del calcio invitò ufficialmente la Campos ad arbitrare in un torneo internazionale di calcio femminile organizzato in Messico la partita tra Italia e Uruguay, ma per farlo aveva bisogno di quel diploma e per prenderlo era disposta ad arrivare fino a dove la sua tenacia non l’aveva ancora portata: al presidente della repubblica Garrastazu Médici (non esattamente un progressista, anzi probabilmente il peggiore, almeno fino al 2018, nella storia del paese), la sua “penultima spiaggia” come affermò Léa in diverse interviste, visto che la donna aveva messo in preventivo di fare un tentativo estremo addirittura col Papa, vista l’intransigenza di Havelange che non la sopportava più. Per farlo colse al volo l’occasione offerta da una visita dello stesso Médici a Belo Horizonte in cui riuscì a ottenere un incontro di trenta secondi, presentandosi nella hall dell’albergo in cui il presidente alloggiava garantendo che non avrebbe preso ulteriore tempo. Ma a Léa ne bastarono ventisei che come afferma la stessa furono impiegati per dire tutto d’un fiato e senza nemmeno sbattere le palpebre: “Ho bisogno che mandi una lettera a João Havelange, perché ho ricevuto un invito ad arbitrare il calcio femminile in Messico, perché qui il calcio femminile non esiste e ho bisogno di autorizzazione per questo invito e rappresentare il Brasile, grazie mille è quello che voglio”.
I quattro restanti furono utilizzati dal presidente per invitarla a pranzo con la sua famiglia il lunedì successivo a Brasilia. Léa si presentò con la lettera da Havelange che avrebbe dovuto tenere una conferenza stampa per l’addio al calcio di Pelé; ciò diede l’opportunità di fare sfoggio di quella faccia di bronzo ipocrita che abbiamo avuto modo di constatare durante il suo lunghissimo regno alla FIFA. Infatti dichiarò: “Oggi provo una felicità incontenibile. Perché ho l'opportunità, nel mio mandato, di poter dare al mondo la prima arbitra professionista di calcio, ed è sotto mia gestione. È con grande orgoglio e felicità che faccio sapere al mondo che il primo arbitro donna di calcio è brasiliano e lascerà il mondo come massimo rappresentante del calcio brasiliano”.
I successivi tre anni furono un crescendo di soddisfazioni e traguardi raggiunti per Léa Campos, che era entrata ormai pienamente nel board della FIFA diventando anche la prima donna arbitro di beach soccer, ma il destino aveva in serbo una beffa per la nostra eroina: nel 1974, l’anno in cui Havelange si insediò alla presidenza della FIFA, Léa fece un incidente a bordo di un pullman appartenente a una società di proprietà dello stesso Havelange che la costrinse per due anni sulla sedia a rotelle facendole rinunciare al calcio giocato, ma non smise di seguirlo da giornalista diventando una pioniera anche in questo ambito, con tanti servizi di qualità e con quella tenacia che l’hanno portata a sconfiggere un tumore al seno nel 2013 e uno sfratto avvenuto proprio di recente a causa delle complicazioni socio-economiche dettate dalla pandemia, grazie anche all’aiuto dei suoi amici e a una colletta organizzata da arbitri e dirigenti federali, perché non si può lasciare indietro chi ha fatto tanti passi in avanti contro le discriminazioni.
Giuseppe Ranieri