Se c'è una cosa che la pandemia ha portato a galla in maniera dirompente, è la crisi del sistema calcio nostrano e mondiale. Il teatrino chiamato “calcio moderno” non regge più e comincia a scricchiolare e perdere pezzi. I segnali erano già evidenti da anni, a fronte delle numerose squadre di serie C e leghe minori saltate a causa di fallimenti dovuti a gestioni societarie fallimentari o semplicemente a costi sempre più elevati per la gestione di un club. Proprio in questo periodo per salvare questo “giochino” assistiamo ai dirigenti delle diverse società, gli stessi che fino ad oggi hanno monetizzato su calciatori, plusvalenze, tv e chi più ne ha più ne metta, chiedere con forza una “rivoluzione” sul monte ingaggi dei calciatori per evitare il default definitivo del sistema calcio.
Come è stato per I ribelli dello stadio, Pierluigi Spagnolo con il suo nuovo lavoro, Contro il calcio moderno, edito da Odoya, fa un excursus a 360 gradi nel mondo del calcio provandogli la febbre, con il risultato di essere di fronte a un paziente molto, molto malato il quale sarà difficile da salvare o in minima parte recuperare se non attraverso un serio e reale default che riporti questo mondo, ma soprattutto lo sport calcio, a essere il più bello del mondo.
Dando continuità al suo primo lavoro dedicato al mondo degli ultras, Spagnolo apre il suo nuovo lavoro con due capitoli, “Tifa-consuma-crepa” e “La normalizzazione del calcio”, dove oltre a farci fare un salto nel passato si evidenzia come la passione genuina dei tifosi, nonostante la si voglia eliminare, è e rimane centrale per il sistema calcio. Una ricostruzione temporale, logica e perfetta di come uno sport popolare, capace sugli spalti, nelle curve, di annullare distanze sociali, oggi di popolare non abbia più nulla; trasformato da meri interessi economici in uno sport per ricchi e…sedentari. A tv, magnati, speculatori economici, fondi bancari, di chi ha reso bello questo sport con tutto il suo contorno, non frega niente, quello che importa a questi soggetti è fare soldi, eliminando tutto quello che potrebbe creare un problema, per esempio gli ultras.
Da qui, sempre con una logicità spiccante, gli ultimi due capitoli entrano nel merito dei grossi cambiamenti che il mondo del pallone e la politica stanno portando allo sport calcio.
Anno dopo anno, assistiamo alla “Costruzione di un modello”, così si chiama il terzo capitolo del libro, che segue una progettualità ben chiara da parte dell’attuale classe dirigente del calcio. Obiettivo eliminare tutto quello che era il calcio del passato, non solo attraverso eliminazione dei problemi come gli ultras, ma anche attraverso allo stravolgimento di punti che a noi romantici sembravano punti saldi: stemmi, colori sociali, nomi.
La conclusione va sempre in due direzioni opposte: o si accetta tutto questo, compreso che a pochi anni di gloria corrisponda spesso il relativo fallimento della propria squadra, oppure si prendono strade alternative come il calcio popolare. Di esempi rispetto a queste due strade ce ne sono a iosa e nel libro vengono riportati. Bisogna però sottolineare il fatto che anche la classe dirigente attuale, soprattutto dove il calcio moderno è oltre alla sperimentazione, qualche certezza la sta perdendo a fronte della pressione degli appassionati. Per esempio in Inghilterra la discussione sul ritorno delle standing terrace è tornata in voga, oppure in Germania dove il concetto di “popolare” inteso come coinvolgimento dei tifosi è ben saldo (salvo qualche piccola eccezione: Lipsia e Hoffenheim).
Un libro che ancora una volta ci dà le basi per approfondire i diversi argomenti trattati; un libro che come il precedente non manca dei riferimenti musicali e letterari dedicati al calcio e al tifo. Un libro che ho consigliato ai miei amici amanti di questo calcio.
Io questo calcio non lo amo più.
Luca “Liucs” Malmusi