Anche per chi come noi rifugge il lato consumistico e commerciale dello scambio dei regali, ciò non toglie che quando ti si regala un libro non si può nascondere un moto di gioia e mostrare una certa benevolenza con l’autore dell’apprezzato gesto.
E un libro regalato è un libro che non scegli, un libro del quale probabilmente chi te lo regala vuole regalarti anche il messaggio che sottende. E se il sodale non ha avuto queste intenzioni, beh, comunque a te piace pensare di sì.
Tra i tanti libri ricevuti da me, molti riguardano lo sport, molti parlano di Russia o meglio quasi sempre di Unione Sovietica, e alcuni parlano allo stesso tempo di calcio e URSS. Se qualcuno mi conosce sa che mi sono da subito tuffato su questi ultimi con molta foga!
Questo libro sullo Spartak Mosca, datato 2015, è stato il primo a capitarmi tra le mani, ed è edito dalla casa editrice Fila37 di cui qualche tempo addietro abbiamo recensito anche l’ottimo libro su Rinat Dasaev, Il portiere di Astrachan (qui).
Libro agevole, scorrevole, con un autore, Mario Alessandro Curletto, che da slavista e professore di lingua russa sa bene di cosa si parla. Sebbene il libro s’intitoli Spartak Mosca, sono le vicende e le vicissitudini legate ai suoi protagonisti, fondatori e icone della squadra di Mosca, ossia i fratelli Starostin, Nikolaj, Aleksander, Andrej e Petr, a farla da padrone.
È indubbio che l’era sovietica delle grandi purghe segni l’immaginario collettivo mondiale, un periodo nefasto per molti russi, ma nella letteratura ad uso occidentale a volte c’è un ostentata e forzata ricerca di un legame a tutti costi con quel periodo, un po’ per rafforzare il racconto, un po’ per fidelizzare il lettore, un po’ per suscitare una naturale compassione ed empatia con i protagonisti dei racconti.
Detto ciò la storia degli Starostin ci insegna che i pionieri del calcio sovietico hanno avuto un periodo di detenzione presso i gulag (accusati di appropriazione indebita), dove però hanno continuato a praticare calcio e lavorare col calcio, ed è grazie ad esso (ecco il messaggio) che sono riusciti sia a salvarsi che ad avere delle carriere brillantissime nell’Unione Sovietica post Stalin.
Ci dice che il più acerrimo nemico dello Spartak fu il commissario del popolo Laurentij Berija, quale presidente onorario della Dinamo Mosca, la grande rivale dello Spartak, e ci delizia con l’aneddoto per cui lo stesso Berija, a dispetto del fisico tondo da commissario del popolo, in gioventù fu un mediocre calciatore mediano di sinistra che nei primi anni della sua carriera incontrò lo stesso Nikolaj, che invece date le sue caratteristiche fisiche da vero corridore e giocando dirimpetto a quello che più tardi ribattezzeranno “Laurentji il terribile” gliene fece passare di tutti i colori sulla quella fascia!
Bellissimo il racconto anche della costruzione della finta partita al centro della Piazza Rossa, in cui allenatori, scenografi, maestri di ballo, tutt’insieme realizzarono uno spettacolo in cui le azioni di gioco fossero le scene dello stesso, cosi da educare al nuovo gioco del calcio gli spettatori e il popolo ma anche il piccolo padre Stalin (che ne rimase comunque affascinato).
Un libro che nella sua brevità riesce a regalare vari spunti a un lettore attento e curioso, ad esempio personalmente la parte che mi ha più colpito è sicuramente quella legata alla fondazione, creazione e consolidamento della società negli anni precedenti alla Rivoluzione e appena dopo di essa.
La storia ha dell’incredibile perché nonostante questi eventi abbiano poco più di 100 anni le modalità con cui venne affrontata la questione riportano non solo vagamente, ma con delle somiglianze veramente evidenti, alla nascita di alcune squadre di calcio popolare odierne.
Ne riporto qui alcuni spunti: la fondazione della squadra in primis, avvenne per un esigenza del quartiere di avere una propria squadra e una propria identità che rappresentasse il quartiere stesso con la sua forte vocazione operaia, infatti la Presnja che dopo la rivoluzione diverrà la Krasnaja Presnja (ossia la Presnja Rossa) era il quartiere operaio per eccellenza.
Inoltre l’ardore di un manipolo di appassionati (i 4 fratelli Starostin) che col loro attivismo crearono un moto virtuoso di passione contagiosa nel quartiere tra operai e artigiani che sottoscrissero il progetto.
La riappropriazione di uno spazio che sarebbe diventato il proprio campo, sottraendolo alla malavita organizzata del posto e a ubriaconi incalliti e loschi.
La ricerca di materiali di fortuna casa per casa per dare l’inizio ai lavori, o l’esenzione dei 5 rubli per chi volesse giocare nella squadra (pratica classista costante nella Russia zarista). La decisione collettiva del nome e delle maglie da gioco.
Per questi e per altri motivi nacque la leggenda popolare della squadra di Mosca che prese il nome dal libro di un italiano (in Italia semi sconosciuto), Raffaello Giovagnoli, che narra della ribellione degli schiavi guidati da Spartaco, che tenne testa all’esercito imperiale di Roma.
Buona lettura!
Daniele Poma