Un tuffo nel passato. Un salto indietro di 25 anni, ahimé! Semplicemente è quello che mi hanno trasmesso i racconti che Nicolò Rondinelli e Andrea Vecchio han messo nero su bianco nelle pagine del loro ultimo lavoro letterario Con il pallone tra i piedi e la musica a cannone – Racconti contro il calcio moderno, edito da Red Star Press – Hellnation Libri.
Racconti che mi hanno coinvolto sin dalle prime righe, semplicemente perché ho rivissuto quella che con i miei amici è stata la mia adolescenza e tutto quel periodo che a livello “teorico” ci ha portato all’età adulta, ma che nei fatti personalmente mi ha fatto rimanere stretto a quei momenti ed essere ancora molto adolescente dentro la testa.
Noi che aspettavamo, in ogni periodo dell’anno, l’orario per trovarci in uno dei tanti parchi del paese, nella mansarda di uno dei nostri o nei cortili dei palazzi popolari che ci ospitavano, per correre dietro a un pallone da insaccare dentro a porte improvvisate: una volta quattro alberi, una volta semplici magliette o bottigliette, dipendeva dal numero che eravamo e da che tipo di partita volevamo fare; in alternativa ci si sfidava a tedesca o 21 (così venivano chiamati dalle nostre parti), dove bastava un muro e molta immaginazione per urlare al gol.
Il Pallone era il nostro denominatore comune, il parco era il nostro campo di battaglia e divertimento tra un allenamento e una partita ufficiale su un campo vero e proprio (quasi tutta la mia compagnia giocava a calcio), una continuità che poi nel crescere ci ha visto scremarsi, chi tra i calciatori dilettanti facendo un minimo di carriera, chi ha continuato a coltivare la passione tra gli amatori e chi come me ha riversato la sua passione per il calcio nella curva della sua città.
Una passione quella per il calcio e per il tifo che ha dei colpevoli ben precisi: i miei genitori. Sin da piccolo venivo trascinato ai ritiri del Torino (mio padre un grande tifoso dall’età dei 18 anni dopo aver letto la storia del Grande Torino) e fu amore a prima vista per quel mondo. Ovviamente non rimasi fulminato per i colori granata, anche se rimane un minimo di sentimento dentro, e mi riversai sulla squadra che tifa mio zio, l’Inter. La mia prima volta a San Siro da tifoso fu un Inter-Cesena 2-0, coincide con la stessa partita narrata da Nicolò, stesso anello ma dalla parte opposta dello stadio. Crescendo l’amore per i colori gialloblu di casa son stati più forti e casa mia è diventata il Braglia, ma questa è un'altra storia.
Non solo calcio però: come un filo logico che percorre il libro, c’è stato e c’è tuttora un altro denominatore comune: il bar. Il bar per noi è sempre stato come una seconda casa, un posto che nel bene e nel male sapeva accoglierti. Come per le partite nei parchi su un'erbetta discutibile, non importava avere chat, telefoni e tutte queste “diavolerie”, si andava e ci si incontrava tra quelle quattro mura. C'era chi era già lì, chi ritardava e chi era da chiamare, ma su quelle mura ci si poteva contare sempre: le prime bevute, le partite infinite a carte, le prime partite in tv, il ritrovo naturale dopo una trasferta o la fine di una partita casalinga del Modena o semplicemente del San Cesario, la squadra del nostro paese, che da sempre salvo qualche apparizione in Promozione ha navigato tra Prima e Seconda categoria, dove si andava per seguire e sostenere chi di noi aveva continuato a coltivare la passione del calcio giocandolo.
Un libro che nella sua fluidità di scrittura e narrativa è riuscito a scavare nei miei ricordi, facendomelo divorare letteralmente in un sol boccone. Lo consiglio perché fa riemergere la semplicità e genuinità di quel tempo che sembra oramai lontanissimo. Non è mai semplice raccontare di se stessi, della propria vita vissuta; il fatto però è che questo libro non parla solo di Nicolò e Andrea, parla di me e di una buona parte di una generazione cresciuta, ognuno con la propria colonna sonora, correndo dietro a una pallone.
Luca Malmusi