L’Italia rischia di gareggiare senza inno nazionale, senza tricolore, né squadre e medaglie alle prossime Olimpiadi di Tokyo 2020, come noto rimandate al 2021 a causa della pandemia, e di perdere i contributi, destinati alla realizzazione della 25a edizione dei Giochi Olimpici Invernali di Milano-Cortina 2026 (di cui abbiamo parlato qui). Questo lo scenario verso cui si sta rovinosamente precipitando a seguito di una ormai insanabile spaccatura in seno alle più alte cariche sportive italiane e internazionali.
Il motivo è presto detto: “una grave violazione” dell’articolo 27 della Carta Olimpica (documento ufficiale, approvato dal Comitato Olimpico Internazionale, che contiene l’insieme delle regole e delle linee guida per l’organizzazione dei Giochi Olimpici) da parte dell’Italia in materia di autonomia e indipendenza economica del CONI (art. 27: “i Comitati Olimpici Nazionali devono preservare la propria autonomia e resistere a pressioni di qualsiasi tipo, incluse quelle politiche, giuridiche, religiose o economiche”).
In pratica significa il mancato rispetto dell’autonomia economica dell’Ente, compromessa dalla recente riforma dello sport presentata dal Governo italiano e in particolare dal Ministero a guida 5 Stelle. E siamo ormai giunti, per ironia della sorte, a un altro numero 27: la data del 27 gennaio 2021, giorno in cui a Losanna si riunisce il direttivo del Comitato Olimpico internazionale (CIO) per valutare proprio le contromisure del governo, ovvero se avrà ritirato, o almeno modificato qualcosa, dell’attuale riforma ristabilendo una adeguata indipendenza economica al Comitato Nazionale azzurro. Se così non fosse (e per ora non ci sono notizie rassicuranti) potrebbe scattare una pena severissima: interdizione degli atleti alle prossime Olimpiadi, divieto di partecipare con il tricolore italiano e di poter cantare l’Inno di Mameli in caso di vittoria, indossare divise neutrali senza scritta Italia bensì “IOA” (acronimo di Independent Olympic Athletes - Atleti Olimpici Indipendenti). Inoltre: esclusione delle squadre (niente nazionali di pallavolo, beach volley, basket, pallanuoto, scherma eccetera) ma esclusivamente atleti italiani qualificati a titolo individuale; senza considerare l’interdizione dei terreni di gioco per dirigenti e giornalisti italiani (il CIO non rilascia accrediti ai membri di un Comitato Olimpico sospeso). Provvedimenti disciplinari che fino a oggi erano stati adottati solo in caso di atleti provenienti da Stati sotto dittatura, o in cui vengono violati i principali diritti umani (Kuwait) o, come successo di recente alla Federazione Russa, in caso di scoperta di atleti positivi al cosiddetto “doping di Stato”. E infine, una fortissima perdita di credibilità che andrebbe a minare in modo drammatico il progetto Milano-Cortina 2026, con probabile perdita dei finanziamenti e contributi (ben 925 milioni di dollari), o parte di essi, destinati alla realizzazione delle infrastrutture dei prossimi Giochi Olimpici Invernali.
Ma procediamo con ordine.
L’assalto alla diligenza
C’era una volta il Comitato Olimpico italiano. Aveva una cassa ricca. Aveva un ruolo non solo contabile, vigilava, entrava nel merito delle scelte delle federazioni sportive e non soltanto in vista dei Giochi del quadriennio. Insomma godeva di autorità in materia sportiva (tutta), quattrini (tanti) e totale indipendenza. Tutto questo, sotto il comando sempre di un uomo solo. Prima fu Giulio Onesti, per circa un trentennio (sic): socialista in un mondo di balilla e ben piazzato tra mura e parole d’ordine mussoliniane, fu scalzato dall’avidità più che dall’età e da meschini complotti interni lievitati insieme alle fortune del Totocalcio. La politica all’epoca girava alla larga dal Foro Italico: bastava un biglietto in tribuna d’onore allo stadio, magari un posto fisso per il nipote. Ma gli affari, gli introiti, l’odore dei soldi attirava molti e le vacche grasse finirono per travolgerlo. Fu quindi la volta di Franco Carraro (“il Poltronissimo”), che mentre il sistema sportivo agonizzava sotto i colpi degli scandali (il calcio scommesse, il diffondersi indulgente dei casi di doping), infarcì il Palazzo di dipendenti, lanciò i Mondiali di calcio di Italia ’90, distribuì da ministro dei Beni culturali con delega allo sport quattrini lungo tutta la penisola. Fu poi un uomo venuto dal palazzo stesso, Mario Pescante, a gestire la transizione da Comitato Olimpico a vero e proprio comitato d’affari, come racconta bene Giuliano Cesaratto su Striscia rossa. Riuscì anche ad arginare le pressioni politiche, a ridimensionare il peso del CONI a tutto vantaggio delle Federazioni nazionali che si barricarono nel loro mondo creando dei veri e propri sultanati a prova d’assalto. Un esempio: Paolo Barelli, prima deputato e ora senatore di Forza Italia per la circoscrizione Lazio, è dal 2000 alla guida della FIN (nuoto), al sesto (!) mandato consecutivo, alle ultime elezioni per la poltrona risultava di nuovo l’unico candidato. E, nonostante gli sforzi di Veltroni e Melandri per “rendere democratico” il sistema sport in epoca Petrucci (unico uomo di sinistra a sedere sul trono), ciò non accadde mai, garantendo il mantenimento di questo ormai proverbiale status quo del CONI: indipendenza economica e di potere delle Federazioni sotto il comando dell’uomo forte. Così arriviamo all’inarrivabile Giovanni Malagò, dove mai come con lui il CONI tesse rapporti d’amore col Governo e con la politica di Palazzo: le Olimpiadi e la Ryder cup, il progetto periferie, eccetera. In nome di un’indipendenza di ruoli che però si è tradotta spesso in una medaglia sola con due facce: Ministero e CONI un solo organo di potere. Negli anni 2013-2017 questi due enti hanno lavorato sempre in coppia, al punto che si è potuto considerare Malagò una sorta di “ministro ombra” dello sport (visto che le esperienze di Josefa Idem e Piero Gnudi sono state davvero due brevi, impalpabili parentesi). Certo, pure ai suoi predecessori non erano mancati rapporti politici: saltando il Poltronissimo, anche Mario Pescante, dopo la sua esperienza al Foro Italico, in Parlamento ci è perfino entrato, in quota Forza Italia; Petrucci aveva in Gianni Letta e Franco Marini due ottime sponde bipartisan per risolvere ogni questione. Ma nella prima fase Malagò si arriva a una sovrapposizione di ruoli.
Sovrapposizione che, a chi garantiva di “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno” per scoprire “tutti gli inciuci, gli inciucetti e gli inciucioni” (Beppe Grillo, 10 febbraio 2013) non poteva certo andar bene. E così quella che doveva essere la riforma dello sport si è trasformata in un regolamento di conti e lo sport è diventato un pretesto per dare l’assalto alla diligenza. Ovvero togliere potere e poltrona a Giovanni Malagò, presidente del CONI considerato l’uomo forte vicino all’establishment. Osteggiato dalla Lega (perché ritenuto renziano) e dal M5S - ricordate il braccio di ferro tra Renzi e la sindaca Raggi per la candidatura di Roma alle Olimpiadi? - non potendo spodestarlo diversamente, ecco che il governo gialloverde tenta la spallata varando un’altra riforma dello sport pochi anni dopo quella firmata da Luca Lotti (PD). Togliere di mezzo il tappo per scoperchiare tutto il vaso.
Sport e salute: Ministero versus CONI
Sport e salute S.p.A. (già CONI Servizi S.p.A. fino al 2018) è un'azienda pubblica italiana che si occupa dello sviluppo dello sport in Italia. È una Società totalmente pubblica e statale: il suo azionista unico è il Ministero dell'Economia e delle Finanze, ma nonostante questo ha sede nel palazzo H del Foro Italico a Roma. Nasce il 16 settembre 2002, come “CONI Servizi S.p.A.”, costituita in forza dell'articolo 8 del decreto legge 8 luglio 2002 n. 138, voluta fortemente dall’allora ministro per le Finanze Giulio Tremonti (governo Berlusconi II) che ha disposto la costituzione di una società per azioni, a totale partecipazione pubblica, chiamata a supportare l'insieme delle attività del CONI. In virtù di questa legge, la società si avvale della titolarità di tutti i beni del CONI. Parallelamente alla costituzione della società, è stato disposto il passaggio del personale del CONI alle dipendenze della CONI Servizi. Ed arriviamo subito al nocciolo della questione, ciò per cui il CIO si è inalberato prendendo apertamente le difese del CONI e pretendendo un passo indietro da parte del governo italiano: con la legge di bilancio per il 2019 (legge 30 dicembre 2018, n. 145, “riforma Giorgetti”) ne sono state ampliate le competenze ed è stato disposto il suo cambio di denominazione in “Sport e salute S.p.A.”, agendo “quale struttura operativa per conto della autorità di governo, competente in materia di sport”. Primo step: al di là del nome che cambia, cambia anche la finalità dell’ente che “per conto dello Stato” diventa “competente in materia di sport”. Sostanzialmente quel che fa il CONI, da sempre. Nel contempo, sempre la legge di bilancio gli ha affidato la gestione dei beni immobili e dei fondi che annualmente lo Stato versa al Palazzo H del Foro Italico provenienti dal gettito fiscale, sottraendo anche questa funzione al CONI. I soldi son stati così divisi: sui 408 del finanziamento statale, 368 milioni di euro sono andati a Sport e Salute (quasi 90%), i restanti 40 al CONI per lo sport di vertice e la preparazione olimpica. Una riforma che ha previsto dunque la sottrazione sistematica di soldi e poteri del CONI a beneficio della nascente Sport e Salute, al cui timone viene messo il manager molisano Rocco Sabelli (ex amministratore Tim, Piaggio, Alitalia), vicino all’allora sottosegretario con delega allo sport Giancarlo Giorgetti (Lega), eletto dall’assemblea stessa della società il 9 maggio 2019, che però il 19 dicembre dello stesso anno si dimette a causa di contrasti con il ministro dello sport Vincenzo Spadafora. Del resto cambia il colore di governo che diventa giallo-rosso, il verde Lega passa di moda. E al suo posto si siede un altro manager, Vito Cozzoli, che come racconta Fulvio Bianchi in un’inchiesta di Repubblica “non ha certo un passato di ‘amministratore o di dirigente presso aziende aventi attinenza con il settore sportivo’ che è prerequisito obbligatorio per la candidatura. Mentre altri, dei circa 60 che hanno inviato il curriculum, hanno di sicuro un forte passato e presente nel mondo dello sport”. Eppure vince lui. Evidentemente, essere stato Capo di Gabinetto del Mise con Patuanelli e aver lavorato spalla a spalla con Di Maio, oltre che essere ben conosciuto e stimato da Gabriele Gravina, ha avuto il suo peso. Non a caso la sua elezione è stata salutata con giubilo sui social sia dallo stesso Di Maio, sia da Spadafora. Lo stesso trattamento non fu riservato a Sabelli.
Terreno di battaglia: arbitra il CIO
Ricapitolando: la patata diventa bollente quando il governo giallo-verde Conte I decide di intervenire sulla CONI Servizi S.p.A di epoca tremontiana trasformandola in Sport & Salute S.p.A. e dotandola di maggiore potere sul controllo dei finanziamenti statali pubblici; con questa riforma (nota come “riforma Giorgetti”), il Ministero dell’Economia prende in carico alcune funzioni svolte dal CONI, privandolo della sua autonomia: CONI Servizi, il braccio operativo del CONI, viene sostituito da un nuovo ente controllato dal MEF, che ha la facoltà di nominarne i vertici. Le nuove norme comportano anche una riduzione dei finanziamenti alle federazioni sportive nazionali. “Riteniamo necessaria una revisione delle competenze del Comitato Olimpico, il governo deve assumere il controllo delle modalità di assegnazione e spesa delle risorse”. Lo avevano scritto nel contratto di governo: M5S e Lega sono stati di parola. Per il sottosegretario Giorgetti, questo nuovo assetto è un “modello d’eccellenza in vigore in molti Paesi europei e nel mondo”, mentre il presidente del CONI Malagò lo classifica usando parole durissime: “Lo stesso fascismo, pur non essendo estremamente elastico nell’acconsentire a tutti di esprimere le proprie opinioni, aveva rispettato quella che era stata la storia del CONI”. Dal primo momento Malagò ha provato a fermare questo stravolgimento, ma per mesi ha dovuto abbozzare. Visto che incontri e appelli non portano a niente, è a questo punto che Malagò fa ricorso all’artiglieria pesante: chiama in soccorso il Comitato Olimpico Internazionale di Thomas Bach, suo grande amico, dove il Nostro è molto stimato e apprezzato. A inizio agosto 2019, a ridosso dell’approvazione in Parlamento della legge di bilancio, arriva minacciosa la risposta del CIO. Nella sua lettera, il CIO ricorda a Malagò che per far parte del Comitato Internazionale bisogna sposarne le regole. Sembra un errore, dovrebbe essere il governo italiano il destinatario del richiamo, non il numero uno del Foro Italico. E invece il CIO è perfettamente in regola con la sua morale: non ha scritto al governo, ma al CONI, proprio in virtù di quell’autonomia dello sport rivendicata dal presidente Malagò e storicamente accettata da almeno 70 anni, per cui non esistono ingerenze e pressioni tra governi e CIO né viceversa. I punti contenuti nella lettera per il duo CONI-governo sono sostanzialmente tre: 1. Le organizzazioni sportive hanno il diritto e il dovere di essere autonome e devono essere libere di stabilire e controllare le regole dello sport, decidere la struttura e la governance delle loro organizzazioni privandole di influenze esterne; 2. I comitati nazionali possono cooperare con le istituzioni e instaurare con loro relazioni armoniose che, però, non devono contrastare con la Carta Olimpica; 3. I comitati olimpici nazionali devono preservare loro autonomia e resistere a tutte le pressioni di qualsiasi tipo: politiche, legali, religiose ed economiche. Nella missiva il CIO spiegava infatti che il CONI “non dovrebbe essere riorganizzato mediante decisioni unilaterali da parte del governo. La sua governance interna e le sue attività devono essere stabilite e decise nell’ambito del proprio statuto, e la legge non dovrebbe avere per obiettivo un micromanaging della sua organizzazione interna e delle sue attività. Le entità che compongono il CONI dovrebbero rimanere vincolate agli statuti del comitato, della Carta Olimpica e agli statuti delle organizzazioni sportive internazionali”. Nel frattempo cambia il governo e nel settembre 2019 sale a Palazzo Chigi il governo Conte II, che piazza sulla poltrona del Ministero dello Sport Vincenzo Spadafora. Si scopre inoltre, grazie a inchieste condotte principalmente dai giornali vicino ai 5 Stelle “il Fatto Quotidiano” e al Partito Democratico “la Repubblica”, che fu proprio Malagò, con diverse e-mail, a invocare l’intervento del CIO come spauracchio per far accelerare il processo di ridefinizione dei rapporti tra il governo e il suo CONI (effettivamente la perdita di prestigio che deriverebbe da una sanzione come quella che si sta profilando, spaventerebbe qualunque governo) ed è sempre sulla base dell’inchiesta del “Fatto quotidiano” che la richiesta di sanzioni così pesanti per l’Italia fu fatta, sempre via e-mail in data 30 luglio, sempre da Malagò. Per finire, “la Repubblica” rivela l’esistenza di un’altra e-mail, mai resa nota, destinatario il funzionario CIO MacLeod, in cui Malagò si spinge forse oltre il suo ruolo, parlando di “intromissione politica” ed evocando la necessità di un richiamo proprio secondo l’articolo 27 della Carta Olimpica, invocando la sospensione del Comitato da lui stesso presieduto. Per alcuni è un atto “gravissimo”. Alessandro Di Battista (M5S) chiede le dimissioni. “Il problema è tutto interno al governo”, attacca Matteo Salvini (Lega) ormai all’opposizione, al quale risponde Goffredo Bettini, del Partito Democratico, ricordando come “prima della riforma Giorgetti esisteva la CONI Servizi, che rispettava i principi della Carta Olimpica. Ora Sport e Salute non entra in questa casistica, e dobbiamo correggere questo errore in modo drastico”. Una bella gatta da pelare per il neo eletto Spadafora (M5S) che, per giunta, non resiste alla tentazione di un’altra mini riforma a suo gusto e piacere. Originariamente viene inserito il limite di mandato: due per il presidente del CONI e tre per quelli di federazione in modo tale che Malagò non si possa ricandidare (è pur sempre un 5 stelle). In più altre norme: calciatori dipendenti, scomparsa del vincolo sportivo e l’incompatibilità tra gli incarichi di presidente di federazione e parlamentare. Spadafora mette insieme una bozza che per limitare CONI e Sport e Salute (nel frattempo passato a Vito Cozzoli, vicino al M5S) prevede anche la creazione di un Dipartimento dello Sport al Ministero con 45 dipendenti a stabilire la ripartizione delle risorse perché se è lo Stato a finanziare con oltre quattrocento milioni lo sport deve poter dire la sua sulla formazione della catena di comando. Quello che ne consegue è che lo sport diventa un campo di battaglia. Perché la bozza della riforma Spadafora passa all’esame delle forze di maggioranza. Ognuna propone dei correttivi. E così il testo - da 124 a 136 pagine - viene stravolto e il CONI riacquista potere. Limite di mandato saltato e così via. Tanto che Malagò lo giudica quasi condivisibile. Spadafora accetta i vari compromessi e interventi pur di arrivare presto al traguardo. Ma alla vigilia dell’approdo al Consiglio dei Ministri ecco la doccia gelata. È una parte del suo M5S la serpe in seno che stoppa la riforma, proprio perché eccessivamente stravolta nel suo iter. “Troppe concessioni al PD e Italia Viva”, sostengono nel Movimento. Infatti Italia Viva e PD sono partiti chiedendo l'azzeramento di Sport e Salute e Spadafora ha mediato, scontentando alla fine proprio il suo partito. Il numero uno del CONI è un avversario storico di Alessandro Di Battista e dell'ala ortodossa del Movimento. A questo punto (agosto 2020) Spadafora minaccia le dimissioni, ma non le formalizza e rimangono sulla scrivania del premier Conte. A innescare la reazione scomposta del Ministro, proprio una lettera formale del direttivo Cinque Stelle nella quale gli si chiedeva di rinviare la riunione di maggioranza sul decreto attuativo della legge e rivedere il testo del decreto insieme al capo politico Vito Crimi e al capodelegazione Alfonso Bonafede. Il mondo dello sport fiuta la crisi e si muove svelto: i presidenti di federazione accelerano per il rinnovo delle cariche in modo tale da dribblare l’eventuale riforma e ottenere un altro mandato, delegando l’incarico di trattare col Ministero interamente a Malagò. E Malagò, al termine del consiglio nazionale del CONI va giù duro. “Se dovesse cadere la legge delega sulla riforma dello sport, le conseguenze con il CIO in termini di sanzioni saranno sicure e immediate. C’è un pezzo dello Stato contro un altro pezzo dello Stato. Noi siamo finiti in mezzo a una diatriba tutta politica e istituzionale e non ci vogliamo più stare”. Nel frattempo, la legge di riforma Spadafora, in base alle anticipazioni emerse, viene respinta all’unanimità dal CONI “da ogni sua componente (FSN, DSA, EPS, AB, Rappresentanti territoriali, Atleti, Tecnici e membri CIO) nelle forme e nei contenuti. La situazione di grande incertezza generale - si legge ancora nel documento - mette a serio rischio gli impegni internazionali assunti dal governo e dai suoi ministri nei confronti del CIO, relativamente all'adeguamento temporale dell'impianto normativo ai dettami della Carta Olimpica” (“il Sole 24ore”, 5 agosto 2020). Entro agosto infatti, il ministro Spadafora aveva promesso nella riforma le delucidazioni richieste che avrebbero garantito l’autonomia dello sport: come la riforma, non sono mai arrivate.
Le ultime dai campi
Vista la delicatezza di una questione internazionale, non è da escludersi che la soluzione al problema possa passare direttamente dalle mani del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e del suo consigliere diplomatico Piero Benassi. Come ricordato da Gabriele Turco in un articolo online, lo scorso 24 Giugno 2020, infatti, nel giorno in cui a Losanna veniva celebrata la conquista da parte dell’Italia dell’organizzazione delle Olimpiadi Invernali 2026, Conte aveva assicurato al presidente Bach l’impegno da parte del governo italiano per superare le obiezioni del CIO sulla mancata autonomia del CONI. Tuttavia, l’anno si è chiuso male ed è iniziato peggio. Il 3 dicembre 2020 ha avuto luogo la riunione della Giunta del CONI. Al Palazzo H si sono ritrovati i principali protagonisti dello sport italiano e il Ministro dello Sport. Il tema è sempre quello: la riforma. A margine della riunione e parlando alla stampa, il presidente del CONI che ha ribadito i dubbi sulle decisioni politiche riguardo alla gestione e all’amministrazione sportiva: “Non possiamo che restare perplessi”. A metà dicembre, ai microfoni di Rai Radio 1, intervenendo nel corso della trasmissione Sabato Sport, proprio il presidente del CONI ha detto: “Quanto è grande il rischio di andare a Tokyo senza inno e bandiera? È molto elevato: è abbastanza imbarazzante essere arrivati a questo punto, tutto sanno il rischio che corriamo, ci auguriamo che chi ha l'onere e la responsabilità di trovare la soluzione quantomeno mantenga la parola. Tutto è surreale, stiamo lavorando in un contesto emergenziale”. Egli stesso ad anno nuovo ricorre a ogni strumento, più o meno lecito, come chiamare direttamente il premier Conte il quale, riferisce Goffredo Bettini, ha assicurato che questo impegno sarà mantenuto. “Serve un decreto che possa trovare il massimo del consenso. Sarebbe una tragedia non poter partecipare alle Olimpiadi con la bandiera e le squadre italiane. Conte si è impegnato a risolvere la questione a stretto giro. Siamo certi che questa situazione si risolverà”. La realtà sembra però andare diversamente dalle dichiarazioni. Si era perfino ipotizzato (come raccontato dalla “Gazzetta dello Sport” il 30 dicembre) l’inserimento del tema nella legge di Bilancio dagli uffici del MEF: più soldi (65 milioni e non 40) al CONI, nascita della società CONI S.p.A con presidente e a.d. coincidenti con le cariche di vertice del CONI, a cui sarebbero stati inoltre trasferiti 250 dipendenti (nella riforma Spadafora se ne prevedevano 119) attualmente a Sport e Salute nonché i beni, mobili e immobili, strumentali al funzionamento del CONI. Un testo con paternità non del tutto chiara, forse più tecnica che politica, che però non ha fatto strada. A conferma che le parti non si trovano proprio, anche l'audizione in Commissione in Senato del presidente dell'azienda Cozzoli, avvenuta in piena emergenza Covid-19 il 12 gennaio di quest’anno, a seguito della quale il CONI si è definito addirittura “irritato fortemente da tale proposta”. Oggetto della diatriba la volontà di siglare un nuovo contratto di servizio tra Sport e Salute S.p.A e il CONI “prevedendo la gestione diretta e autonoma da parte del CONI dei dipendenti e dei presidi organizzativi oggi in avvalimento”. Ha infatti esordito Cozzoli: “La palla, è al legislatore e al Governo ma ci sarebbe anche una terza via: siamo oggi pronti per un nuovo contratto di servizio tra Sport e Salute e il CONI che prevede la gestione diretta e autonoma da parte del CONI dei dipendenti e dei presidi organizzativi oggi in avvalimento” (AGI, 12 gennaio 2021). La proposta lanciata da Cozzoli viene bocciata con forza dal CONI che “manifesta la sua pesante irritazione verso queste improvvide e ingiustificabili dichiarazioni che minano il lavoro dei propri rappresentanti che da mesi stanno lavorando per una soluzione” (“la Repubblica”, 12 gennaio 2021). “Che posso dire? Prendo atto che il CONI un anno e mezzo fa aveva fatto questa proposta. Però mi chiedo: il CIO vuole l’autonomia del nostro Comitato Olimpico oppure vuole una nuova legge?” chiosa il manager intervistato il 23 gennaio.
Cosa succederà adesso? Difficile dirlo. Oltre alla sostanza c’è pure la forma: il testo salva-autonomia in quale contenitore finirebbe? Perso il treno della legge di Bilancio, sfumata anche l’ipotesi del Mille-proroghe, resta il decreto “Ristori”. Ma nelle ultime ore si sta facendo strada anche la possibilità di un vero e proprio decreto legge sullo sport. Lo scenario più probabile è che, giustificandola con la gestione dell’emergenza pandemica dovuta al corona-virus, il CIO concederà al governo italiano una proroga alla scadenza del 27 gennaio che farà slittare l’ultimatum (probabilmente a marzo) garantendo altri due mesi per trovare una soluzione. Staremo a vedere. Del resto Malagò è uomo fidato del CIO, e 925 milioni di dollari non sono certo briciole. Soldi e potere, torniamo sempre lì…
Andre Ardecore