Pubblichiamo la seconda e ultima parte dell'articolo uscito sul sito 11freunde.de, qui la prima parte.
“Amici della nazione che danno lustro allo Stato”
Non abbiamo notizia di un ordine generale della direzione della DFB di escludere tutti i membri ebrei dai club. Tuttavia, c'erano iniziative regionali. Nel maggio 1933, i giocatori di calcio ebrei furono esclusi dalla lega calcistica della Germania occidentale. Lì il nuovo leader, l'SS Josef Klein, annunciò che da allora in poi “solo le persone di discendenza tedesca” avrebbero potuto prendere parte alle partite di campionato dell'associazione. Il presidente della DFB Felix Linnemann chiarì nel febbraio 1934 cosa si aspettava dai suoi club su questo tema. In un post per il “Giornale sportivo del Reich”, lo definì uno dei compiti più importanti dell’associazione, “addestrare i suoi membri a diventare persone impegnate e convinte sostenitrici dello Stato nazionalsocialista”.
I nazisti definivano chi poteva essere un “amico della nazione” (Volksgenosse) con pregiudiziali razziste e politiche: razziste poiché solo i membri “sani e di razza ariana” potevano essere membri della futura comunità nazionale, quindi niente ebrei, zingari, omosessuali e disabili. Anche gli oppositori politici del regime, soprattutto socialdemocratici e comunisti, non potevano essere ritenuti “amici della nazione”. Qualche mese prima, Linnemann aveva già presentato la bozza di un nuovo modello di statuto per i club DFB, in cui era stata inserita una domanda sull'affiliazione religiosa dei membri completata dal seguente commento: “La questione della religione deve essere ampliata in modo tale che la discendenza razziale possa essere dimostrata”.
L'ultimo rifugio
Oggi non siamo ancora in grado di ricostruire quanti calciatori ebrei furono esclusi dai club in quei mesi. Tuttavia presumiamo che siano stati a migliaia, poiché i club sportivi ebraici avevano visto un grande afflusso di membri dalla primavera del 1933. I pochi club ebraici che esistevano a quel tempo moltiplicarono il numero dei loro membri in pochi mesi e nuovi gruppi emersero in molte città e comunità. Le società sportive ebraiche divennero l'ultimo rifugio per gli ebrei amanti del calcio.
Tuttavia, incontrarono enormi difficoltà. Nella primavera del 1933, quasi tutte le autorità locali avevano inizialmente vietato ai club ebraici di utilizzare i campi sportivi comunali. Per ragioni tattiche, questo divieto fu annullato alla fine dell'anno per non mettere in pericolo i Giochi Olimpici del 1936 a Berlino, che erano stati pianificati come uno spettacolo di propaganda. A causa della politica antisemita dei nazisti, negli Stati Uniti si discusse a lungo di un boicottaggio dei giochi.
Ghetto sportivo
Tuttavia, a molti club ebraici erano stati assegnati solo campi sportivi remoti e squallidi alla periferia delle città, dove erano in gran parte invisibili al pubblico. Un club di Lipsia dovette persino recintare il suo campo sportivo con un grande muro, in modo che “i vicini ariani non fossero infastiditi dalla vista degli atleti ebrei”. Anche le amichevoli tra club ebraici contro le squadre della DFB, che furono ufficialmente nuovamente autorizzate per non mettere a repentaglio le Olimpiadi, furono rese praticamente impossibili da campagne diffamatorie mirate sui giornali nazisti nel corso del 1935. Nei primi anni del dominio nazista, i calciatori ebrei furono spinti in una sorta di ghetto sportivo: in campionati separati, su campi separati e quasi senza punti di contatto con il resto dello sport tedesco.
Nell’ambito interno della popolazione ebraica erano due le associazioni che si contendevano l’adesione degli atleti. Il German Maccabees Circle si rivolgeva a quegli ebrei che sostenevano una precoce emigrazione dalla Germania e volle promuovere la costruzione di uno Stato ebraico nell'area dell'odierno Israele. Coloro che credevano ancora in un futuro in Germania nonostante il regime nazista erano invece riuniti nello Schild Sportbund. Entrambe le federazioni registrarono il maggior afflusso nel 1935 e 1936. In questi anni furono organizzati circa 40.000 atleti, di cui circa 10.000 calciatori, in 213 club.
Il campo sportivo come rifugio
Dal punto di vista odierno può sorprendere il motivo per cui lo sport in particolare è diventato così importante nella vita della popolazione ebraica in un momento di estrema persecuzione. I ricordi di testimoni contemporanei consentono due principali conclusioni: da un lato, il campo sportivo era diventato una sorta di rifugio, dove le persone attive e gli spettatori potevano dimenticare le loro preoccupazioni quotidiane per alcune ore. D'altra parte, lo sport offriva agli ebrei dell'era nazista un'opportunità quasi unica per rafforzare la loro autostima e, contrariamente alla propaganda nazionalsocialista, per dimostrare a se stessi e al loro ambiente di quali risultati fossero capaci. Dopo le Olimpiadi del 1936, i nazisti non avevano più motivo di tener fuori lo sport dalle loro rappresaglie antisemite. Dalla fine dell'anno, sempre più eventi sportivi ebraici furono banditi dalla Gestapo che inoltre privò le società dei loro campi sportivi. Allo stesso tempo, molti club persero i loro membri perché sempre più ebrei nel frattempo fuggirono all'estero. Anche i pogrom del 9 novembre 1938, in cui i criminali nazisti distrussero le sinagoghe in tutta la Germania e dove furono arrestati più di diecimila ebrei, segnarono infine il destino del movimento sportivo ebraico. I pochi campi sportivi rimasti che i club ebraici avevano acquistato utilizzando le loro ultime risorse finanziarie furono saccheggiati e confiscati dai nazisti. Nel corso del 1939, a tutte le società sportive ebraiche fu definitivamente vietato di essere attive e dovettero sciogliersi.
Deportazioni e rimborsi
Dall'ottobre 1941 iniziarono le deportazioni degli ebrei tedeschi nei ghetti e nei campi di sterminio dell'Europa orientale, e la repressione e l'espulsione che avevano subito sino ad allora si trasformarono nel loro sistematico assassinio. Le vittime della macchina di sterminio nazista includevano molti fondatori, giocatori e sostenitori del calcio in Germania. Uno di loro era il giocatore della nazionale tedesca Julius Hirsch, assassinato ad Auschwitz nel 1943. Durante i dodici anni di dominio nazista, i club fecero in modo che il ricordo degli ebrei fosse cancellato dalla memoria del calcio tedesco.
Anche i soci precedentemente meritevoli e altamente decorati vennero pressoché ignorati dai giornali ufficiali del loro club dopo la loro esclusione. Stessa sorta toccò ai club: fino alla primavera del 1933, la Berlin Football Week riportava regolarmente le partite del Bar Kochba Hakoah Berlin, che allora giocava nel campionato regionale.
Dopo che il club fu escluso dalla Federcalcio di Berlino, esso venne semplicemente rimosso dalla classifiche ufficiali a partire dal numero di giugno, senza ulteriori commenti come se non fosse mai esistito.
In che modo “Kicker” ha dimenticato due squadre nazionali
Anche la falsificazione della storia dei club è stata particolarmente diabolica. In questo modo, anche gli ebrei morti molto prima del 1933 furono successivamente cancellati dalle cronache dei club e quindi vittime postume della politica di arianizzazione, poiché i club volevano presentare la loro storia ai nuovi governanti “presentandola senza ebrei".
A quest’operazione partecipò anche quel “Kicker” fondato dall'ebreo Walther Bensemann. Nel 1939 la rivista pubblicò una sorta di album dei calciatori che divenne molto popolare in patria. C'erano le foto di tutti i giocatori che avevano giocato almeno una volta per la nazionale tedesca. Mancavano solo i ritratti dei due giocatori nazionali ebrei Julius Hirsch e Gottfried Fuchs. Anche dopo la fine della seconda guerra mondiale, la memoria degli ex calciatori ebrei fu quasi completamente dimenticata per molto tempo. Nelle pubblicazioni e nelle cronache commemorative dei club e della DFB, il periodo nazionalsocialista era ormai quasi del tutto taciuto o veniva semplicemente presentato come se il calcio fosse stato una vittima dei nazisti. A tal riguardo fu molto indicativo il fatto che “Kicker” nella nuova edizione della sua raccolta di album nel 1988 dimenticò nuovamente di raffigurare i due calciatori ebrei della nazionale.
Soltanto a partire dalla metà degli anni Novanta è iniziato un graduale cambiamento di consapevolezza nel calcio tedesco. Questo percorso, cominciato grazie all'iniziativa dei singoli dirigenti dei vari club e di alcuni gruppi organizzati di fan, nonché dalla ricerca di autori e giornalisti, ha fatto in modo che sempre più club e anche la DFB abbiano riconosciuto la loro responsabilità storico-sociale e abbiano iniziato a esaminare criticamente i loro ruoli tra il 1933 e il 1945.
Dopo che la DFB ha commissionato uno studio indipendente sulla sua storia nel 2001, il Borussia Dortmund è stato il primo club a presentare una revisione della sua storia sotto il nazionalsocialismo. Ulteriori studi su Schalke 04, FC Kaiserslautern, Eintracht Francoforte e Amburgo sono proseguiti fino al 2007. Nel frattempo, sono stati pubblicati anche libri sulla storia di Monaco 1860, Hertha Berlino, St. Pauli e Bayern Monaco durante il medesimo periodo. In particolare il “Göttinger Verlag”, ha realizzato un workshop con una serie di libri sullo sviluppo storico e giornalistico di questo capitolo della storia del calcio tedesco, a lungo rimasto escluso dalla ricerca storica accademica.
Segnali di memoria
È stato invece soprattutto l'impegno di numerosi gruppi di tifosi, ovvero il classico impegno civico “dal basso” che ha contribuito a ricostituire la memoria storica dei club includendovi gli ex membri ebrei prima repressi e poi cancellati.
Nel 2010 l’Amburgo ha ufficialmente ritirato l'esclusione dei suoi membri ebrei con una risoluzione della sua assemblea generale. All'inizio del 2013, il Norimberga ha nominato postumo il suo ex allenatore Jenö Konrad membro onorario dopo che i suoi tifosi lo omaggiarono con un'impressionante coreografia allo stadio. L'iniziativa dell'organizzazione “Tifosi del Magonza” ha fatto in modo che la strada che conduceva allo stadio venisse intitolata a Eugen Solomon, presidente ebreo del club fino al 1933, assassinato nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.
Anche la DFB sta dando un segno importante in questa direzione poiché dal 2005 assegna ogni anno il Premio Julius Hirsch a iniziative per la tolleranza e l'umanità nel calcio in memoria del giocatore nazionale ebreo e dal 2007 attua e promuove misure appropriate con la sua fondazione culturale. Ciò include, ad esempio, il viaggio annuale della squadra nazionale Under 18 al memoriale dell'Olocausto di Yad Vashem in Israele dal 2008.
"Mai più"
Ma ci sono altri segnali incoraggianti di una nuova cultura della memoria nel calcio tedesco ed europeo. Una delegazione del Manchester United guidata dall'allenatore Alex Ferguson ha visitato il memoriale del campo di concentramento di Dachau nell'estate del 2009. Prima e durante gli Europei del 2012, le squadre nazionali di Italia, Germania, Inghilterra e Olanda hanno commemorato le vittime del nazismo al memoriale di Auschwitz-Birkenau. Molti fan e club in Germania hanno celebrato la “Giornata della Memoria del calcio tedesco” su iniziativa del network di volontari “Nie Wieder” (“Mai più”) in concomitanza con la Giornata internazionale della memoria dell'Olocausto il 27 gennaio.
Oltre settant'anni dopo la fine del governo nazionalsocialista in Germania, questi sono tutti esempi incoraggianti di un cambiamento nella consapevolezza nel calcio. Nonostante questi sviluppi positivi, c'è ancora molto da fare sulla strada per riscoprire le radici ebraiche del calcio tedesco.
Lorenz Pfeiffer, Henry Wahlig da 11freunde.de