Il nuovo campione italiano dei supergallo si chiama Jonathan Sannino, ha 28 anni e “T-34” è il suo soprannome sul ring. Un omaggio all’invincibile mezzo corazzato dell’Armata Rossa ma anche una dichiarazione di intenti esplicita, vista la determinazione con cui avanza sul quadrato.
Questo T-34 labronico ha conquistato con i suoi cingolati – a testa bassa e senza fretta – il suo giorno di gloria, grazie al passo incessante di chi crede fermamente nelle proprie risorse. Venerdì 12 febbraio nella cornice del Pala Cosmelli ha finalmente alzato le braccia al cielo con rabbia e orgoglio, dopo aver sconfitto per ko tecnico alla sesta ripresa il romano Giovanni Tagliola, in un incontro caparbio affrontato con il piglio del pugile maturo.
Ma questo carrarmato – appena 55 chili rispetto all’originale di 30 tonnellate – non è “temprato nell’acciaio”, bensì nel sudore e nel sacrificio di un figlio orgoglioso di quella terra di “banditi e marinai” che è appunto la sua Livorno. Sannino, va chiarito, non è uscito come il suo illustre “progenitore” sovietico dalla catena di montaggio della fabbrica di trattori di Stalingrado (STZ), né dalla fabbrica di locomotive di Char’kov (KhPZ), né dalla Uralvagonzavod a Nižnij Tagil – i maggiori punti di produzione del carrarmato che contribuì a sconfiggere la Wehrmacht. Questo T-34, amaranto come la sua città, è invece stato forgiato dal tornio della Spes Fortitude (Centro sportivo popolare), dalla fucina del Team Mangusta e dal lavoro sapiente di Lenny Bottai che lo segue da sempre, dagli esordi nel dilettantismo fino al passaggio professionista.
Nonostante l’età Sannino ha già 15 incontri [13 vittore (3 ko) - 1 sconfitta - 1 pareggio] e in questo venerdì di febbraio ha ottenuto una vittoria che può cambiare una carriera e che apre la possibilità per un ulteriore salto di qualità. Un successo preparato scrupolosamente con sudore, dedizione e una tenuta mentale che ha fatto la differenza. Perché è bene ricordarlo: non si diventa campioni per caso. Non è un destino. È lavoro metodico fatto di sacrificio, privazioni e rinunce. Allenamenti fisici massacranti, sessioni di guanti estenuanti. Regime alimentare ferreo. Questo è uno sport meraviglioso, travolgente, epico, ma che non fa sconti, non è affatto indulgente. Non perdona neanche una minima distrazione.
Nell’incontro Sannino ha mostrato di essere il pugile migliore: abile sia col calibro, regolando al millimetro ogni traiettoria, sia col martello, colpendo forte sull’incudine. Ha accettato lo scambio con furore ma ha anche aspettato, con intelligenza, di aver il vento in poppa. Ha minato con martellanti colpi alla figura l’avversario, ha tenuto con caparbietà il centro del ring, si è trincerato in una guardia solidissima lasciando anche sfogare il suo rivale. Insomma non ha sbagliato niente. Ha saputo attendere il momento migliore per spegnere la luce al suo avversario.
Parafrasando Majakovskij insomma, il suo cuore incessante ha sempre battuto la battaglia, senza smettere un secondo. Non si è risparmiato. Forse perché Jonathan Sannino, oltre a essere il campione italiano, è abituato alla fatica. Fa l’operaio, lavora otto ore in cantiere, si sfianca e poi corre in palestra ad allenarsi. Un campione nazionale, in un qualsiasi altro paese, farebbe solo un lavoro, il campione. In Italia questo non è praticamente possibile. Perché di professionismo, neanche a un livello così alto, si riesce a vivere.
Si dice da circa trent’anni che il pugilato italiano vive una profonda crisi. Non il pugilato in senso stretto, ma piuttosto il pugilato come sistema. Non è un problema di palestre, né di maestri, né di chi con tanta generosità aiuta a sostenere uno sport che ha colonizzato i sogni di molte generazioni e che oggi riesce a stento a sopravvivere. Sono trent’anni che si sente ripetere fino alla noia che si deve cambiare. Sono trent’anni che i vertici federali propongono in continuazione facili soluzioni per risollevare qualcosa che loro stessi hanno contribuito ad affossare. Loro sono il problema e pugili come Sannino la soluzione. Serate e incontri come quelli di ieri, sono l’unica vera possibilità di riscatto per tutto il mondo pugilistico. Rimettere i pugili al centro, onorare e ripagare il loro sacrificio. Non c’è un’altra soluzione. Non esiste un’altra via da percorrere. Il pugilato prima di tutto.
Filippo Petrocelli