È il 6 marzo 1984 quando Billy Collins jr., talento della boxe nordamericana di origine irlandese, muore in un incidente stradale ad Antioch, Tennessee. L’autopsia rivela che la morte è sopraggiunta di colpo fra i vetri in frantumi, senza farsi annunciare. Ma oltre i rilievi autoptici e le sottigliezze del medico legale, è l’ultimo periodo della vita di Billy a raccontare la verità su quel terribile schianto.
A ucciderlo non è stata tanto l’alta velocità, né l’alcool presente nel suo sangue. Piuttosto qualcos’altro. Di più oscuro e profondo che ha preso il sopravvento. Da un po’ il pugile del Tennessee non è più lo stesso. Sembra un morto che cammina. Un reduce che insegue i suoi fantasmi, segnato da qualcosa che non si vede ma che somiglia a un’ossessione. Chi gli sta vicino se ne accorge. Lo vede perso.
Appena nove mesi prima, il 16 giugno 1983, al Madison Square Garden – nel sottoclou dell’incontro valevole per il mondiale Roberto Durán vs. Davey Moore – si è consumata la tragedia che ha spezzato la sua vita, aprendogli quella voragine interna che è l’unica vera responsabile di quel triste epilogo.
Prima di quella notte newyorkese e per buona parte di quella serata, Billy è ancora all’apice della carriera. 14 vittorie (11 ko) e zero sconfitte. È più di un prospect. È un pugile in rapida ascesa che giovanissimo sta conquistando la scena dei pesi superwelter e si affaccia per la prima volta sul palcoscenico che conta. Potrebbe diventare un campione. Dopo diversi incontri in giro per gli States – Tennessee e New Jersey – combatte per la prima volta durante una riunione mondiale nel tempio della boxe americano. È un sogno che si avvera. D’accordo non è lì per la cintura, ma assapora l’idea di “avercela fatta” e gode dei riflettori. Niente più fiere di paese, puzza di hot dog e ring montati in fretta, piuttosto il pugilato che conta, fatto di sponsorizzazioni, interviste e mazzette di dollari. Niente più guantoni puzzolenti, pugili che ti guardano in cagnesco e attese estenuanti, ma palazzetti splendenti e hotel di lusso.
A essere sinceri è da tutta la vita che Billy lavora per questo. E il padre, ex pugile anche lui, gli è sempre stato accanto. Facendogli da maestro fin da piccolo e insegnandogli tutti i trucchi del mestiere. La loro è una dinastia. Per cui Billy Collins jr. non si trova lì per caso, è stato “costruito” per questo, si è allenato duramente e ora raccoglie i frutti. Pugilisticamente è un osso duro. Ha ritmo, cuore e fiato da vendere. Non si sottrae alla lotta, picchia forte ma sa anche lavorare di scherma. Con la stessa naturalezza boxa alla media o testa a testa. Ha ottime combinazioni, ha il suo stile, fa male. Insomma sa il fatto suo sul quadrato.
Di fronte a lui, al Madison Square Garden, c’è un pugile portoricano che da amatore ha raccolto qualche soddisfazione vincendo anche due Golden Gloves, ma che ormai è a un bivio. È uno che sa cos’è il pugilato, ma ha capito che ormai non sarà più un campione. Ha un record di 20 vittorie (8 ko), 8 sconfitte e due pareggi. Ed è a un passo dal diventare solo un mestierante. Uno di quei pugili pagati per far fare bella figura agli altri. Ce ne sono tanti così, servono anche loro nel grande circo del ring. Lui si chiama Luis Resto e rischia appunto di diventare un journeyman, uno pagato alla giornata per incassare.
Quella sera, ovviamente, Resto non è il favorito. Secondo pronostico sarà la vittima sacrificale del verace pugile del Tennessee col padre all’angolo che aspetta di diventare campione. E quando suona il gong il copione che va in scena sembra in linea con le aspettative. Il primo round è di Billy. Ma già nelle riprese successive – nella seconda ma ancor di più nella terza e nella quarta – succede qualcosa che sposta l’equilibrio e sconvolge i piani. I pugni di Luis Resto lasciano il segno. Fanno incredibilmente più male di quelli di Collins.
Al giro di boa, si combatte sulle dieci riprese, il portoricano è ormai avanti. Collins jr. risponde ancora colpo su colpo ma inizia a essere veramente segnato in volto, perde di intensità e ai cartellini è indietro. Seduto all’angolo, mentre cerca conforto guardando il padre, ammette più volte: «È più forte di quanto mi aspettassi». È sorpreso e anche un po’ demoralizzato. Sembra non capire. Ma Billy Collins jr. è addestrato per questo. Non fa domande. Si rialza dopo il lavoro preciso del cutman che gli sgonfia gli zigomi, si mette al centro del ring e continua la battaglia.
Le ultime riprese sono durissime. Resto ha preso coraggio e ogni colpo scuote l’avversario. Collins sembra a un passo dall’andare al tappeto ma ha un cuore grande. Stoicamente resta in piedi, nonostante sia una maschera di sangue.
Quando suona l’ultima campana il volto del pugile di origini irlandesi è ormai tumefatto. Il padre all’angolo lo rassicura, lui è affranto. Sa di aver perso. Il verdetto lo conferma. Luis Resto alza le braccia e il suo angolo festeggia. Hanno compiuto un’impresa quasi impossibile.
Poi succede qualcosa. Il portoricano si avvicina all’avversario, lo abbraccia e arriva persino a baciarlo. Fa i complimenti allo sconfitto, come pretendono le divinità del pugilato. Si comporta sportivamente, come sempre si dovrebbe sempre fare, ed è radioso. Ha ottenuto la vittoria più importante della sua carriera. Ma il padre di Billy, Billy Collins senior – uno che mastica cazzotti dagli anni ’50 – sa che è successo qualcosa. Così afferra il guantone di Resto e lo stringe. Poi comincia a gridare. Chiama l’arbitro e la commissione. Dice che il guantone è svuotato dell’imbottitura. Che di sicuro c’è qualcosa di irregolare. L’angolo di Resto cerca di portare via frettolosamente il suo pugile, ma Collins sr. è un cagnaccio. Non molla la presa. Hanno fatto qualcosa a suo figlio e lui ora è pronto a farsi ammazzare purché venga fuori la verità. Non si fa intimorire. A quel punto il polverone è sollevato e i guantoni vengono requisiti dagli organi competenti.
Pochi giorni dopo il match, il verdetto è cambiato in un no contest. È ufficiale: qualcuno ha manomesso i guantoni, privandoli di buona parte dell’imbottitura. Un lavoro di fino che evidenzia però gli errori di chi doveva controllare. Aveva ragione il padre di Billy. Ecco perché i pugni di Resto facevano così male.
Scoppia il putiferio, anche perché i danni riportati da Billy Collins sono terribili: strappo dell’iride dell’occhio destro e pesanti danneggiamenti al sinistro. Capacità visive compromesse e carriera pugilistica finita. A questo punto la questione diventa penale: Luis Resto e Panama Lewis – il suo manager e allenatore – finiscono in carcere e sono esclusi a vita dalla boxe (questo sarà vero per Resto, mentre Lewis, scontata la pena, continuerà a lavorare senza però seguire più nessun pugile all’angolo).
Nei nove mesi successivi a quell’incontro, Billy Collins sceglie scientificamente la via dell’autodistruzione. Ora che il suo sogno di diventare campione si è infranto, ora che è stato privato dell’unica cosa che lo faceva sentire vivo, boxare, nulla ha più senso. Anche a casa le cose collassano. Il rapporto con la moglie naufraga. Persino con la madre e il padre emergono delle crepe, nonostante prima di quella maledetta sera fossero incorniciati come la famiglia perfetta. I Collins denunciano tutti: la commissione, gli avversari, l’ente pugilistico. Ma ormai è tardi. A Billy non interessa più nulla. Ora il ragazzino del profondo sud che sognava la cintura, cura le sue ferite con l’alcool e si tiene a galla bevendo. È disperato. Non vede futuro.
Il padre di Billy non si dà pace. Si porta dentro un rimorso enorme e si sente colpevole. Luis Resto dopo il carcere resta ai margini. Il pugilato è una cosa seria e non accetta chi bara. Mette alla porta chi usa scorciatoie. Il portoricano sprofonda. Diventa tossicodipendente, alcolista e la sua vita naufraga in un sottoscala di neanche 10 metri quadri. Non sarà più lo stesso neanche lui, deve fare i conti con il suo fallimento e con chi lo addita. Nel 2008 in Assault in the Ring, bellissimo documentario prodotto da Hbo su questa storia, confessa un altro terribile particolare di quella serata. Oltre ad aver modificato i suoi guantoni, il suo angolo ha cosparso i bendaggi di polvere di gesso. Rendendo ogni pugno una mattonata. È così che Luis ha sopraffatto Collins, barando due volte.
La famiglia di Billy ha cercato la verità per anni. Spendendosi affinché la dignità dei sogni del figlio non fosse dimenticata. Lo dovevano a Billy, il ragazzino che sognava di diventare campione. Eppure qualsiasi battaglia legale ovviamente non ha riempito il vuoto. I Collins sono sempre stati convinti di una cosa: quella notte dell’incidente, il 6 marzo 1984, Billy si è suicidato. Si è ucciso perché la sua vita senza ring non aveva più senso. Un pugile che non può combattere rimane solo un fallito.
Filippo Petrocelli