Alla fine, con un paese quasi interamente in zona rossa e una campagna vaccinale in cui al momento sono maggiori i punti interrogativi rispetto ai successi, si è deciso che il campionato di Eccellenza ripartirà. Perché di interesse nazionale, in quanto le squadre da essa promosse andranno a sostituire le retrocesse dalla serie D, che si sta disputando “regolarmente”, anche se minata da rinvii dovuti ai contagi che falsano in modo pesante l'andamento dei vari gironi, e ovviamente a porte chiuse, cosa che nel calcio dilettantistico è ancora più surreale in quanto non c'è nemmeno un pubblico televisivo (ok, c'è il diritto per le società di trasmettere dalle proprie pagine social, ma insomma poco cambia), e quindi non si capisce davvero “per chi” si giochi. Ma tant'è.
Se già la decisione di ripartire lascia grandi perplessità, il “come” lascia piuttosto sbigottiti. I protocolli da seguire saranno gli stessi della serie D, con enormi difficoltà nel farli rispettare viste le condizioni in cui versano molti impianti, e con i tamponi settimanali, sui quali al momento c'è solo una vaga promessa di rimborso da parte delle autorità sportive, che addirittura rimandano a eventuali decisioni governative. In un paese dove non arrivano la cassa integrazione e molti altri sostegni, c'è poco da ben sperare a riguardo. Ovviamente, e non poteva essere diversamente, sono state escluse le retrocessioni dall'Eccellenza, ed è stata data la possibilità alle squadre che “non se la sentono” di non partecipare mantenendo la categoria nel momento dell'auspicabile ripresa di settembre. Il risultato finale è un pastrocchio grottesco, in cui ogni Comitato regionale avrà facoltà di fare come vuole, di fronte all'ovvia rinuncia da parte di molte società. Per non farla troppo lunga, prendiamo il caso esemplificativo della Campania: si è optato per quattro gironi, tre dei quali composti da 6 squadre, e un altro da 5. L'unico commento possibile è: bella schifezza. E questo sarebbe un campionato? E questa sarebbe “una vittoria dello sport”, un “grande segnale di ripartenza”, come dicono le società fautrici di questa sorta di accanimento terapeutico?
Un'obiezione che potrebbe essere fatta è: ma quale sarebbe una controproposta? Che si fa, si “rimane chiusi” fino a dopo l'estate e amen? La risposta, volendo, potrebbe anche essere un semplice “sì”. Certo, è atroce essere fermi ormai da più di un anno, salvo la piccola e martoriata parentesi di settembre-ottobre. Ma così, che senso ha? Senza pubblico, e con una situazione per cui le squadre che perderanno le prime due partite di questi gironi, e quindi non avranno ormai speranze di salire, smobiliteranno, ad esempio congedando i giocatori con i rimborsi più alti, andando a falsare ulteriormente una cosa che già nasce falsa. Quindi sì, si potevano bloccare le retrocessioni dalla D e tanti saluti. Si falsava un po' il campionato di D, certo. Ma così si falsa solo un altro campionato in più. Per provare a garantire un po' di speranza agli atleti e alle atlete, si poteva pensare, tra tarda primavera e inizio estate in cui si spera che i contagi rallentino, a dei tornei più o meno “amichevoli”, dei trofei “una tantum” in cui riprendere confidenza col campo. E invece no, perché in Eccellenza il peso delle squadre “che spendono” si fa sentire. E la tentazione di scalare una categoria, addirittura con uno sforzo molto minore del solito, è troppo forte, specie per chi a inizio stagione aveva speso “pesante”, scommettendo sullo svolgimento dei campionati. Avremo squadre che retrocedono dalla D dopo un'intera stagione a lottare, e altre che saliranno dall'Eccellenza dopo una manciata di partite, alcune delle quali verosimilmente giocate contro le Juniores delle squadre ormai tagliate fuori dalla corsa promozione. Uno spettacolo che mette i brividi solo a pensarci. Una cosa che fa invidia alle peggiori nefandezze di cui spesso si accusa il calcio professionistico.
Per concludere, un cenno al fatto che queste decisioni hanno riguardato anche alcune delle squadre che seguivamo con la nostra Schedina dei risultati. Il Castel di Sangro e il Centro Storico Lebowski (quest'ultimo per quanto riguarda l'Eccellenza femminile) si sono prima espressi contro queste soluzioni, e poi hanno rifiutato la partecipazione, cosa che, sia chiaro, è sempre dolorosa per chi fa sport. Ma il rispetto per i tifosi e per la regolarità dei campionati ha prevalso senza ombra di dubbio, cosa inevitabile per squadre che si basano sull'azionariato popolare e il protagonismo della propria comunità. Caso molto diverso invece quello del Napoli United, erede dell'Afro Napoli United, che come spesso abbiamo sottolineato era già da prima una realtà un po' differente, in quanto più che sull'azionariato popolare si basava sulle associazioni che si occupano di immigrazione e solidarietà. Non sappiamo sinceramente se e quanto il cambio di nome della scorsa estate abbia anche comportato un qualche tipo di cambiamento nella gestione societaria, non siamo sufficientemente informati a riguardo. Il fatto è che la società partenopea è stata in primissima fila nella battaglia per ricominciare a qualsiasi costo il campionato di Eccellenza. Dai vari comunicati, non è che si riescano a evincere grandi motivazioni: si parla sempre di una generica “passione che non si può fermare”, di “voglia di giocare”, si attaccano le società contrarie tacciandole di immobilismo e, appunto, di “poca passione”. Dietro queste parole di facciata, in realtà, l'impressione è che la logica sia esattamente quella imprenditoriale di voler a tutti i costi scalare le categorie, fosse pure dopo aver disputato un gironcino ridicolo e senza pubblico. Colpisce tutto questo da parte di chi comunque negli anni, pur con le sue caratteristiche specifiche, si diceva alfiere di un “calcio diverso”. Anche perché in tutta Italia sono state moltissime le società “normali” che si sono invece espresse, anche duramente, contro la ripresa senza pubblico, che tra l'altro nel dilettantismo fa anche abbastanza la differenza a livello economico. Ma evidentemente, non a tutti il pubblico interessa, c'è anche chi è disposto a giocare “solo per sé”. Vabbè.
Un'altra pagina triste, che conferma il fatto che è inutile fare retorica sul fatto che “il dilettantismo è il vero calcio, quello dei valori, contrapposto alla serie A dei miliardi”. Il dilettantismo potrebbe sì essere migliore, se i suoi stessi protagonisti ne avessero voglia.
Matthias Moretti