A giugno-luglio si giocheranno gli Europei previsti nel 2020 e posticipati di un anno a causa della pandemia. È la prima edizione “itinerante” della storia degli Europei: non uno o due Paesi organizzatori, ma partite disputate in 12 diverse città. A dire il vero, la pandemia non accenna a spegnersi e sta mettendo in dubbio proprio in queste settimane anche il carattere itinerante: per l'inizio di aprile si prevede una decisione definitiva, con alcune città tra cui Londra e Berlino che premono per disputare tutta o quasi la competizione nei propri stadi.
Tra le 12 sedi individuate ce n'è una che fin da subito ha generato proteste: parliamo di Bilbao e del suo stadio San Mamés. Qui la nazionale spagnola dovrebbe giocare, salvo decisione contraria, le 3 partite del girone e l'eventuale ottavo in caso di passaggio turno. I motivi delle proteste sono facilmente intuibili per chi ha un minimo di dimestichezza con la storia dello Stato spagnolo e con i movimenti indipendentisti: Bilbao è una delle più importanti città dei Paesi Baschi, il cui popolo è stato duramente represso nei 40 anni di dittatura franchista e da circa 60 anni lotta, con ogni mezzo necessario, per l'indipendenza e il socialismo. La “roja” ha disputato nella sua storia soltanto 6 partite a Bilbao, di cui l'ultima nel 1967, in piena dittatura fascista. Abbastanza comprensibile il perché per più di 50 anni non abbiano avuto il coraggio di tornare a giocare a San Mamés.
Gli attori protagonisti della decisione di far giocare la nazionale spagnola a Bilbao sono, oltre la Federcalcio, gli stessi che opprimono il popolo lavoratore basco: lo Stato spagnolo, con i suoi interessi nazionalistici, e la borghesia basca. Da un lato, cioè, l'obiettivo è quello di vendere a livello internazionale l'immagine che Bilbao è una città spagnola, e internamente portare un attacco nazionalistico in una città e in una terra che mai si sono piegate alla dominazione spagnola (e francese); dall'altro lato, il giro di soldi che inevitabilmente una competizione internazionale comporta tra sponsor, accoglienza, ristorazione e quant'altro.
Il Movimento di Liberazione Nazionale Basco, guidato fino a 10 anni fa dall'organizzazione armata ETA, ha da sempre indicato nell'alleanza tra oligarchia reazionaria spagnola (esercito, Chiesa, centri del potere economico) e borghesia basca (una delle più sviluppate e importanti a livello europeo nei settori prima industriale e poi terziario e finanziario) il nucleo dell'oppressione sociale, nazionale e culturale che il popolo lavoratore basco subisce. E questo nemico non utilizza soltanto lo sfruttamento economico e la subordinazione culturale, ma anche tante altre armi tra cui lo sport - con buona pace di quanti affermano che la politica deve restare fuori dal calcio - ed è abbastanza facile capire perché: uno sport con milioni di appassionati in tutto il mondo, alle cui partite assiste simultaneamente (tra stadi e tv) un numero elevatissimo di persone, è una delle vetrine più efficaci per trasmettere (e propagandare) i propri messaggi. La domanda che può sorgere spontanea è: perché ora, nel 2020-21, a dieci anni distanza dalla fine del conflitto armato che tanti problemi ha creato al potere spagnolo? Perché, lotta armata o meno, le contraddizioni insanabili su cui è stato costruito e imposto il Regno di Spagna in tutta la Penisola Iberica continuano ad affiorare e generare conflitti: il popolo catalano lo ha ampiamente dimostrato negli ultimi 4 anni, con l'apice del referendum del 1 ottobre 2017 e la dichiarazione unilaterale di indipendenza (mai messa in atto, purtroppo). Non è questo lo spazio per offrire maggiori spunti di riflessione sui movimenti indipendentisti iberici, ma possiamo evidenziare un dato: se il movimento basco può “vantare” radici più storiche, nel senso di almeno mezzo secolo di conflitto armato, quello catalano ha acquisito forza e guadagnato consensi negli ultimi 15 anni. Al di là delle motivazioni storiche, quindi, i movimenti indipendentisti basco e catalano mettono in discussione e in serio pericolo la tenuta dell'ordine spagnolo qui e oggi, lottando nel presente e guardando al futuro. E qui sorge la necessità di utilizzare ogni strumento utile per rilanciare il nazionalismo spagnolo sia all'interno che all'esterno. Nazionalismo spagnolo che è reazionario, escludente e oppressore, a differenza del nazionalismo rivoluzionario basco che, fin dagli anni '60, si è basato su un principio semplice, inclusivo, accogliente: chi vive e lavora nei Paesi Baschi è considerato basco a tutti gli effetti.
Contro tutto questo varie organizzazioni sociali e politiche e tutti i gruppi del tifo organizzato basco hanno lanciato una campagna già nel marzo 2019: “Bilbao 2020 Eurocopa Honi Ez”, che significa “Bilbao 2020 No a Quest'Europeo”. Nel lancio della campagna, oltre all'analisi descritta sopra, i promotori denunciavano le solite menzogne che accompagnano i progetti speculativi in ambito sportivo: dalla retorica del “porta lavoro e ricchezza per la gente del posto” allo sfruttamento delle donne attraverso condizioni di lavoro più dure (per esempio, lavoratrici delle pulizie e della ristorazione, la prostituzione, ecc.). Il problema ulteriore era la scontata presenza in massa di gruppi ultrà fascisti spagnoli, che è lecito supporre si sarebbero uniti o quantomeno coordinati per andare a “dare una lezione” agli antifascisti baschi. Se questo problema pare essere ridimensionato (ma sempre possibile) a causa della riduzione degli spettatori al 25% della capienza, proprio l'intestardirsi della UEFA e degli organi direttivi del calcio spagnolo è oggi criticato: in tempi di pandemia che colpisce tutti dal punto di vista sanitario e la classe lavoratrice dal punto di vista economico e sociale, l'apertura degli stadi per gli Europei risulta essere un insulto e una dimostrazione che, quando si tratta di garantire i profitti e riempire San Mamés di bandiere spagnole, le restrizioni possono essere modificate. Il tutto mentre continua a essere negato il riconoscimento della Euskal Selekzioa, la nazionale basca che in più di un secolo di storia ha potuto disputare solo partite amichevoli (tra cui una tournée in Europa e Centro America durante la Guerra Civile spagnola per raccogliere fondi per il fronte repubblicano-socialista). A differenza di Paesi come la Gran Bretagna, che garantiscono alle nazionalità scozzese, gallese e “irlandese” l'ufficialità delle proprie federazioni sportive, la Spagna continua a osteggiare in ogni modo il riconoscimento della nazionale basca: la campagna Eurocopa Honi Ez rivendica invece che le nazionali spagnola e francese potranno giocare negli stadi baschi solo in “trasferta”, come ospiti di una nazionale basca riconosciuta ufficialmente.
Le prossime due settimane saranno cruciali per impedire lo scempio nazionalistico spagnolo a Bilbao: il 10 aprile è convocata una manifestazione nazionale che proverà a fare le giuste pressioni affinché San Mamés non sia più sede degli Europei. E in avvicinamento a questa fase cruciale pochi giorni fa, durante uno dei vari derby baschi della Liga tra Athletic Bilbao ed Eibar, un drone con appesa la bandiera della campagna “Eurocopa Honi Ez” è planato sul terreno di gioco.
A noi realtà sociali, politiche, di sport popolare d'Italia spetta il compito di mostrare solidarietà al popolo lavoratore basco e alle sue organizzazioni: il minimo che si possa fare in tempi di zone rosse e arancioni come scritte, striscioni, foto o video da pubblicare sui social network e da inviare ai promotori della campagna Eurocopa Honi Ez. Perché anche un minimo di solidarietà internazionale può essere utile, può creare un clima di consenso favorevole a chi, come noi anche se in altre terre, lotta per un mondo libero da sfruttamento e oppressione.
ASD Villa Gordiani