Compie dieci anni una delle realtà più longeve del calcio popolare italiano, e abbiamo avuto il piacere di intervistare uno dei membri storici del progetto.
Quando siete nati, avreste mai pensato di raggiungere i dieci anni di attività? Come vi sentite in merito?
Dieci anni sono tanti, non è facile riassumere in poche parole quello che per noi è stato un percorso importante. Quando è stata fondata la Brutium Cosenza credo che nessuno avesse in mente un traguardo tanto lontano ma l’entusiasmo e la voglia di spenderci per questi colori non sono mai venuti meno e siamo arrivati a questo decimo compleanno. Siamo fieri di essere riusciti, nonostante le difficoltà, a portare avanti il nostro progetto per tanto tempo sempre a testa alta e senza scendere a compromessi ma l’orgoglio più grande è quello di essere riusciti a creare negli anni un gruppo coeso che per molti di noi, dirigenti, tesserati e tifosi, rappresenta una seconda famiglia.
Com’è nata la vostra avventura?
Quando abbiamo deciso di dar vita alla Brutium venivamo da un’esperienza prettamente di curva. La costituzione dell’Associazione era il nostro modo per protestare contro l’inasprimento delle leggi contro gli ultras e il conseguente restringimento delle libertà personali. Non avevamo idea di cosa volesse dire gestire una squadra di calcio, nonostante questo il progetto ha sempre avuto grandi ambizioni. Il simbolo del lupo che azzanna il pallone moderno è una fotografia perfetta della nostra protesta: un progetto nato dal basso con la speranza di riuscire a scardinare il moderno “sistema calcio” da cui non ci sentivamo più rappresentati. Volevamo un calcio senza padroni e senza restrizioni, lontano dai giochi di potere e basato sui valori sani dello sport, dell’integrazione e dell’aggregazione sociale ed è quello che cerchiamo di portare avanti ancora oggi dopo dieci anni.
Siete tra i veterani dello sport popolare, cos’è cambiato da quando avete iniziato?
Nel 2011 si parlava poco di sport popolare e intraprendere questa avventura è stato veramente un salto nel buio. In questi dieci anni però abbiamo assistito alla nascita di numerose realtà che, con modalità e finalità diverse, si impegnano per riportare lo sport in generale, e il calcio in particolare, a una dimensione più umana, spostando il baricentro dal guadagno alla sana passione. Tutto questo non può che farci felici e aumentare la nostra convinzione che stiamo percorrendo la strada giusta.
Quali pensate possano essere gli scenari futuri per questo movimento?
Sinceramente credo che, soprattutto in ambito calcistico, lo sport popolare sia l’unica alternativa possibile per evitare che il tutto si trasformi in uno “spettacolo” fruibile solo a un pubblico di élite. In un momento storico in cui il calcio è più che mai divisivo e concentrato sul business (l’esempio della fallita Superlega ne è un esempio lampante), in cui ci vogliono muti e lontani spettatori, lo sport popolare ribalta la prospettiva e mette al centro di tutto la gente, la partecipazione, l’aggregazione e quei valori che il calcio professionistico sembra aver smarrito ormai da troppo tempo.
Avviare un percorso simile in una terra come la Calabria ha un sapore del tutto particolare. Quali sono le principali specifiche?
In Calabria, e nel meridione in generale, è difficile portare avanti un progetto come il nostro senza scontrarsi con quelle che sono alcune delle “peculiarità” del nostro territorio. L’esistenza però di tante realtà di sport popolare nel Sud Italia è la dimostrazione che si può sognare uno sport e una società diversi.
Spesso avete partecipato a incontri/tornei con altre squadre popolari del Sud Italia, quanto è importante fare rete nel nostro circuito?
Abbiamo partecipato a diverse iniziative proprio perché crediamo che fare rete sia fondamentale. Il mondo dello sport popolare è estremamente variegato e sfaccettato, al suo interno vi sono realtà assai diverse tra loro che nascono e compiono il loro percorso con finalità, obiettivi e presupposti molto differenti. Proprio per questo il confronto con altre associazioni è sempre un momento di profondo arricchimento. Se però si vogliono portare avanti iniziative concrete è fondamentale interfacciarsi con realtà che condividono una base e un progetto simili.
Se doveste dirci le partite a cui nel bene e nel male associate ricordi indelebili, quali sarebbero?
Sono tante le partite che ci hanno regalato emozioni intense e alcuni momenti resteranno indelebili nella nostra memoria. Per citarne solo alcuni: la vittoria dei playoff arrivata dopo una prima stagione fantastica e conquistata contro il Bianchi sul campo di Soveria Mannelli dove centinaia di tifosi hanno seguito e incitato la squadra, la vittoria dei playoff di Prima Categoria contro il Marina di Schiavonea in cui la nostra vera forza è stata la compattezza e l’identità del gruppo o anche la vittoria dei playout contro il Botricello, quando nessuno credeva nella nostra permanenza in Promozione e invece con l’immancabile supporto dei nostri tifosi abbiamo raggiunto la salvezza.
Da oltre un anno di calcio giocato nelle categorie dilettantistiche se n’è visto col contagocce. Siete d’accordo con lo stop generalizzato?
L’emergenza Covid ci ha tenuto per troppo tempo lontani dai campi di gioco, sono venuti meno tutti quei rapporti sociali che costituiscono il collante del calcio popolare. Per chi come noi da tanti anni è abituato ad avere la vita scandita dalle domeniche di campionato è stato un periodo lungo e difficile. Se ami lo sport non puoi essere felice di questo stop prolungato ma, allo stato attuale delle cose, ci rendiamo perfettamente conto che tutto questo era purtroppo inevitabile. La grandissima maggioranza delle società dilettantistiche non avrebbe avuto comunque le risorse necessarie per garantire la sicurezza dei propri tesserati. Se il sistema calcio fosse basato sul principio di solidarietà le leghe professionistiche, che ogni anno muovono milioni di euro, avrebbero potuto offrire un contributo economico alle federazioni dilettantistiche ma questo è “l’altro calcio” che vorremmo e non quello reale.
Cosa pensate dell’immagine del “facente funzioni” governatore della Calabria Spirlì dentro uno stadio ad assistere a un incontro della Reggina mentre per tutti gli altri gli impianti restano off limits?
L’immagine di Spirlì nello stadio della Reggina è a dir poco vergognosa. È un insulto a tutti coloro che vivono i gradoni di un settore come un tempio, che spendono soldi, anni ed energie a sostenere la propria squadra e che adesso sono costretti a rinunciare alla propria passione. È l’ennesimo spudorato esempio di esibizionismo di un privilegio a cui la nostra classe politica ci ha ormai abituati da anni. Stiamo ancora aspettando che la Lega Serie B chiarisca l’accaduto ma siamo anche convinti che la nostra attesa sarà vana.
Che rapporto vi lega ancora ai gruppi organizzati della tifoseria cosentina?
Nonostante gli anni di lontananza dalle gradinate del San Vito – Marulla, nei gruppi organizzati della tifoseria cosentina abbiamo ancora molti amici, persone con cui abbiamo condiviso tante esperienze e a cui siamo legati da stima reciproca.
Quali sono i vostri progetti futuri?
La pandemia ci ha insegnato a non fare progetti a lungo termine, stiamo semplicemente cercando di programmare al meglio il prossimo campionato. Le priorità, al momento, sono quelle di tornare in campo più grintosi e uniti di prima e ritrovarci di nuovo tutti insieme per incitare i ragazzi dagli spalti.
Volete salutare qualcuno?
Vogliamo salutare tutti i nostri tifosi, le realtà operanti nell’ambito dello sport popolare e tutti quelli che portano avanti i propri ideali e si spendono perché lo sport ritorni alla gente. Infine salutiamo voi di Sport Popolare e vi ringraziamo per averci dato lo spazio e l’opportunità di parlare dei dieci anni della Brutium Cosenza.
Giuseppe Ranieri