Secondo alcune teorie, ancora da comprovare empiricamente, una dei presupposti affinché l’universo resti in una sorta di equilibrio sostenibile, non bisognerebbe mai sguinzagliare un esemplare di Dopone in giro per la penisola e col senno del poi – sfogliando i risultati elettorali, ma non solo – potremmo dire che siamo sempre più vicini all’accettazione di questo assunto anche da parte di quella parte di comunità scientifica più scettica.
Noncurante ciò, dopo neanche settantadue ore dalla fine del primo mini-tour di presentazioni di Curve Pericolose, mi rimetto in viaggio destinazione Milano, in quello che – a proposito di equilibrio cosmico – non so se è un unicum assoluto, ma quanto meno abbastanza raro, è un weekend che vede entrambe le squadre meneghine giocare in trasferta, non certo un colpo di fortuna per i calciofili, ma quello è il weekend designato per la prima edizione di “Campo Aperto”, l’evento che avrebbe riaperto la stagione dei festival calcistici in presenza; ironia della sorte abbastanza vicino a San Siro.
Sicuramente, dai viaggi interminabili in Flixbus del pre-CoVid ai voli, rigorosamente low-cost, l’upgrade c’è stato, o per lo meno dal punto di vista della mobilità, ma da qualche parte bisognerà pur partire. Soprattutto in questo periodo in cui “ripartenza” è un mantra comune a tutti e non più appannaggio esclusivamente degli integralisti del catenaccio, oltre che il migliore degli auspici che si possa fare vicendevolmente.
Così, nel bel mezzo del turno di Europa League, prendo un aereo destinazione Malpensa che mi scaraventa nel cuore della metropoli in un orario in cui le metro sono già chiuse, costringendomi a raggiungere il posto in cui avrei dormito facendo sfoggio della più italica delle arti, quella dell’arrangiarsi e da cui avrei attinto anche nelle serate successive.
Il giorno dopo, inizia ufficialmente la mia “missione festival” e devo dire che mi sono trovato in una realtà che ha superato – e di gran lunga – le mie aspettative e, suppongo, quelle della stragrande maggioranza dei presenti.
Da un lato un programma che lasciava davvero poco spazio all’improvvisazione (almeno fino a quando non ci siamo messi davvero di impegno con una specie di nazionale di cialtroni…) in cui in cinque giornate, il calcio veniva declinato in ogni sua sfaccettatura (nell’ordine delle tematiche giornaliere: futuro, cultura, società, emancipazione e identità) con una quantità di ospiti e di panel che già solo la metà sarebbe stata molto più che semplicemente esaustiva e che ha potuto annoverare ospiti di tutti i tipi e livelli: dirigenti, calciatori, studiosi, scrittori, illustratori, cantanti, blogger, tifosi e molto altro ancora, creando una miscellanea unica nel suo genere, tant’è che ci si sentiva quasi in colpa nel soffermarsi un attimo di troppo per fare due chiacchiere o uno spuntino (o bersi una birra…), perché avrebbe voluto dire perdersi qualche minuto delle molteplici e interessantissime discussioni che rappresentavano la spina dorsale del festival, insieme alla splendida mostra di maglie di club “simbolici” e nazionali CONIFA.
E infatti qui, si innesta il secondo aspetto del festival, quello più sociale ed emotivo: c’era praticamente tutta la galassia che ruota intorno al calcio e alla sua narrazione, a tutti i livelli, da quelli che finora avevo letto con ammirazione agli amici di sempre, una vera e propria comunità che, anche a causa della pandemia, finora si era conosciuta quasi esclusivamente in maniera virtuale ed ha colto la palla al balzo per dare un volto e una consistenza materiale a quei profili social con cui spesso ci si confrontava da dietro lo schermo di un pc.
Addirittura, giusto per rendere meglio l’idea, c’è stata la prima mini-reunion di Linea Mediana, aspettando i tempi in cui riusciremo a farne una con la redazione al gran completo; ma in ogni caso è stata l’occasione per confrontarsi su tanti temi e con persone dagli orientamenti più svariati – compresi i ragazzi degli stand dei libri, con cui dopo pochissimo ci siamo ritrovati a parlare di politica e di movimento – da chi si cimenta in questo campo come mestiere vero e proprio a chi lo fa per passione, passando per le persone eccessivamente seriose e competenti e quelli che di contro sono degli irredimibili guasconi o anche semplici curiosi e appassionati, che poi rappresentano la vera quintessenza della nostra tribù. E non vi nego che sentire tutti quegli apprezzamenti per sport popolare, oltre a riempire da orgoglio, ha costituito un vero e propria toccasana, carburante da mettere nel nostro motore per una nuova stagione da vivere insieme.
Sembrava una sorta di puntata di Black Mirror, ma in cui le implicazioni negative insite in ogni puntata venivano ribaltate: con molti è stato come se ci conoscesse da una vita, vista l’intesa che si è formata nell’immediato, soprattutto durante le nostre “incursioni” per la cena nella vicina Chinatown del capoluogo lombardo o davanti all’angolo delle birre e delle proiezioni delle partite di calcio.
Ecco, volendo a tutti i costi vestire gli abiti del guastafeste, verrebbe da dire che se proprio c’è stato un difetto in questa kermesse, paradossalmente è stato quello di aver fatto un programma troppo ricco, difficilmente migliorabile nelle successive edizioni, che di contro lasciava poco spazio alla socializzazione spontanea, se non davanti al concerto in acustico di Oskar degli Statuto e di Maurizio degli RFC, o alla proiezione di “CAP 20100”… almeno fino a quando l’ultima sera si è materializzato il drink-team che dopo aver creato dei “panel paralleli” riusciva a far vincere a una delle sue punte di diamante il titolo di “mastro birraio della kermesse”, in attesa che arrivasse la mezzanotte, il momento X che avrebbe sancito la fine ufficiale del festival e l’inizio del compleanno di uno degli organizzatori.
Sono stati cinque giorni belli e intensi che ci hanno riappacificato e rinfrancato, perché hanno dimostrato che in un periodo in cui il calcio è sempre meno quello che noi abbiamo imparato ad amare e sempre più entertainment, è ancora possibile viverlo e raccontarlo con quella passione ancestrale trasmessa di padre in figlio, nonostante tutto lasci presagire il contrario e il merito va (quasi) esclusivamente agli organizzatori di quest’evento, davvero bravi, cordiali e lungimiranti. Non è un caso se scambiando le impressioni a caldo con gli altri partecipanti, tutti avremmo voluto che questo festival fosse durato il più a lungo possibile.
Non ci resta che attendere con trepidazione la prossima edizione, con il già preannunciato dopo(ne)-festival e sperare che nel frattempo iniziative simili si moltiplichino su tutto il territorio, perché ce n’è davvero bisogno.
P.S. Un’ultima menzione, la merita il ragazzo allo stand del birrificio che mentre ci diceva che era sorpreso da quanto bevevamo e come reggessimo, incredulo si sentiva rispondere che in verità ci stavamo contenendo, perché si trattava pur sempre di un evento serio ed importante: ci manchi… Torna da noi con la Ganassa!
Giuseppe Ranieri