Miguel Angel Cotto compie oggi 41 anni: fa il promoter, ogni tanto gioca a golf, ma è difficile non immaginarlo sempre e comunque testa a testa al centro del ring.
Questo perché il pugile portoricano, nonostante gli anni che passano, ha lasciato nei cuori degli appassionati un ricordo indelebile.
Frammenti e immagini mai sfocate – piuttosto nitide e lucenti – di un atleta capace solo di avanzare, accorciare la distanza, lavorare al corpo con geometriche serie gancio-montante ed estenuanti sotto-sopra, ingaggiare battaglie all’arma bianca contro chiunque.
Generoso, coraggioso, maestro del corpo a corpo, nei diciassette anni da professionista Cotto è stato capace di accettare tutti gli incontri proposti, di rifiutare ogni calcolo strategico.
Non si è mai risparmiato, non si è mai “scelto” un avversario di comodo, ha solo voluto, sempre e comunque, combattere i migliori.
Ha affrontato, per esempio, i tre pugili più rappresentativi degli anni Duemila: Floyd Mayweather jr., Manny Pacquiao e Canelo Alvarez; ha perso contro tutti e tre ma è uscito migliorato da ognuno di questi incontri, come solo i grandi sanno fare.
Ha anche incontrato campioni meno iconici ma mastini del quadrato come Zab Judah, Shane Mosley, Antonio Margarito, Paul Malignaggi e Sergio Martinez.
Insomma quando “Junito” – questo il soprannome di Cotto – ha indossato i guantoni, il furore e lo spettacolo sono sempre stati garantiti.
Ed è per questo, forse, che ancora oggi il nome di Miguel Angel Cotto rimbomba come un piacevole ricordo nelle teste di chi ama e ha amato la grande boxe.
Campione in quattro categorie di peso: superleggeri, welter, super welter e medi, ha chiuso la sua carriera con 41 vittorie (33 ko) e 6 sconfitte.
Da amatore la sua carriera è un successo: 125 vittorie e 23 sconfitte, diversi tornei panamericani e una partecipazione alle Olimpiadi di Sydney.
Passa professionista il 23 febbraio 2001, poi un grave incidente automobilistico, dopo appena sei incontri nei pro, rischia di mettere fine alla sua carriera (frattura del braccio scomposta in tre punti).
Un’operazione molto complicata, con i medici che arrivano persino a dubitare di un suo possibile ritorno all’agonismo.
Invece con dedizione e sacrificio il pugile portoricano torna alla grande e comincia a scalare i ranking mondiali.
Il primo titolo mondiale, il WBO (World Boxing Organization) dei superleggeri, lo vince contro l’imbattuto Kelson Pinto nel settembre del 2004 per ko tecnico, titolo che difende sei volte prima di passare nei welter e sfidare Carlos Quintana per la cintura WBA (World Boxing Association), che vince senza appello.
Successivamente alla vittoria mondiale, difende la cintura quattro volte prima di subire la prima sconfitta della carriera, il 26 luglio 2008 contro Antonio Margarito.
Dopo una fase iniziale dominata dal campione, Margarito sale in cattedra e inizia a far veramente male, costringendo l’arbitro a stoppare il campione all’undicesimo round.
Cotto incassa la sconfitta ma uno scandalo travolge Antonio Margarito nell’incontro successivo: il pugile messicano viene sorpreso mentre, con la complicità del suo team, indurisce i bendaggi con una sostanza illecita prima dell’incontro con Mosley.
A quel punto in molti pensano – probabilmente a ragione – vista anche la storia sportiva del match con Cotto, che anche in quell’occasione si sia consumato un illecito.
A quel punto però Cotto decide di non fare ricorso per evitare la squalifica del suo rivale, e attende di poterlo affrontare quanto prima sul ring.
Combatte altri cinque incontri (due sconfitte contro Pacquiao e Trout, tre vittorie contro Jennings, Flottey e Foreman) ma il suo chiodo fisso resta il messicano.
E il 3 dicembre del 2011 va in scena la dura vendetta di Cotto che umilia Margarito, trattato con sufficienza e scherno sia prima, sia dopo l’incontro.
E se si dovesse trovare una data capace di sintetizzare e rappresentare al meglio la carriera di Miguel Angel Cotto, non si potrebbe scegliere altro giorno che questo, uno dei momenti più alti della sua vita pugilistica, incorniciato da un’intervista affilata a fine incontro che si apre con: «Stavolta sono ancora in piedi».
Filippo Petrocelli