Ci sono certe storie che per quanto siano sorprendenti si ritrovano scaraventate fuori (o nel migliore dei casi, relegate all’angolo) dalla storiografia ufficiale.
Prima del crollo di Wall Street e dell’innalzamento a dogma del consumismo mediante lo shopping compulsivo di noi comuni mortali che ormai possiamo fare acquisti solo quando gli sconti superano la nostra fantasia, per “Black Friday” si intendeva una delle giornate più aspre dell’Inghilterra di inizio Novecento. Infatti il venerdì 18 novembre del 1910 fu segnato da scontri anche abbastanza cruenti tra le forze dell’ordine e 300 militanti della Women’s Social and Political Union (WSPU) che, una volta appreso che per l’ennesima volta il parlamento inglese non avrebbe discusso dell’allargamento del suffragio alle donne, decisero di dirigersi verso di esso, in piccoli gruppi, per far sentire la loro protesta.
Ma lì non ci arrivarono mai: vennero infatti bloccate dalla polizia che represse la protesta. Dai verbali consultabili emerge un quadro squallido con diversi abusi da parte degli agenti che, non contenti di diffondere manganellate a profusione, insultavano e palpeggiavano le manifestanti per poi – ovviamente – arrestarle; furono infatti 115 le suffragette incarcerate, due delle quali morirono nei mesi successivi in detenzione, si pensa per via delle percosse ricevute proprio quel giorno.
Ma al di là del pathos (comunque necessario per coltivare sogni che sembrano irrealizzabili) quello che contraddistingue i movimenti destinati a essere vittoriosi da quelli velleitari è la capacità di saper analizzare le motivazioni della (momentanea) sconfitta. E ciò valse anche per le suffragette che proprio negli anni che precedettero la Grande Guerra intensificarono i loro sforzi per ottenere il tanto agognato diritto di voto, ricorrendo anche all’azione diretta e – dopo il venerdì nero londinese – all’autodifesa organizzata.
Merito di questa svolta va, in gran parte, a una delle donne meno ricordate all’interno del WSPU, Edith Garrud, che insieme al marito William aveva una scuola di arti marziali e che durante una riunione dell’organizzazione tenne una lezione dimostrativa di jiu-jitsu, l’arte marziale ideale per le donne dell’età vittoriana.
Infatti, da un lato si trattava di una disciplina antichissima praticata già dalla casta dei guerrieri giapponesi nel Medioevo (ma ci sarebbero testimonianze che lascerebbero pensare che venisse praticato addirittura nel 700 a.C) che attraverso un repertorio di leve consentiva non solo di attutire i colpi ricevuti, ma soprattutto di utilizzare la forza del proprio avversario contro esso stesso.
Inoltre, in seguito alle conseguenze della rivoluzione industriale e alla nascita delle grandi città, essendo aumentato anche il tasso di violenza, soprattutto ai danni delle donne, queste erano obbligate a difendersi, ma in un’epoca come quella basata sulla morale e sulla rispettabilità, le forme di autodifesa violenta venivano biasimate e proprio per questo il jiu-jitsu che aveva molte tecniche basate sull’immobilizzazione dell’avversario e che non richiedeva l’impiego di una forza immane, sembrava proprio essere fatto per le donne, sia quelle che dovevano evitare di subire violenza dai malintenzionati nelle strade delle città inglesi, che per le suffragette che non erano più disposte a subire passivamente le cariche della polizia durante le loro manifestazioni. Infatti, nel 1909 nel quartiere londinese di Kensington venne aperto il primo Suffragettes Self-Defense Club in cui si veniva dispensate dai corsi di pittura, scultura e canto per concentrarsi sull’autodifesa: furono sempre di più le donne che, impressionate dai risultati immediati e allettate dal poter mostrare il proprio valore nel combattimento, abbracciarono questa disciplina a tal punto da far diventare di dominio pubblico il termine suffrajitsu, ma soprattutto da rendere possibile la formazione di un servizio d’ordine composto da almeno una trentina di militanti addestrate che unirono le tecniche “ufficiali” con altri stratagemmi basati sui pregiudizi di genere dell’epoca per dare vita a una strategia elaborata di guerriglia urbana.
E indubbiamente tra il 1910 e il 1913 le suffragette e il loro servizio d’ordine diedero molto filo da torcere alla polizia. Probabilmente l’episodio più significativo fu la Battaglia di Glasgow del 9 marzo 1914 quando nella città scozzese era previsto un comizio della leader carismatica delle WSPU, Emmeline Pankhurst, attesa da centinaia di sostenitrici… e da altrettanti poliziotti che non vedevano l’ora di (ri)arrestarla.
Infatti il “Prisoners Act” prevedeva una temporanea dimissione per cattiva salute a tutti quei detenuti che facevano lo sciopero della fame (come appunto le suffragette), per poi effettuare un nuovo arresto non appena si fosse rimesso in forze, non a caso le stesse soprannominarono questo provvedimento “the cat and mouse act” (il provvedimento del gatto col topo). Pertanto la polizia aspettava la Pankhurst per arrestarla, ma lei eluse lo schieramento comprando un biglietto ordinario per la platea per poi uscire allo scoperto, ma in mezzo al pubblico di 4000 persone accorso per ascoltarla c’era - mimetizzato - anche il servizio d’ordine, per l’occasione tutto armato di bastoni nascosti sotto le vesti che non appena la leader suffragista prese la parola si dispose di fronte a lei in semicerchio e per non lasciare nulla al caso, nascose anche del filo spinato tra i fiori. Non appena la Pankhurst prese la parola, partì l’attacco di una cinquantina di poliziotti e la reazione del servizio d’ordine che inizialmente poté contare sul fattore sorpresa, ma poi complice anche l’inferiorità numerica nonostante una strenua difesa non riuscì a evitare l’arresto. L’evento comunque suscitò molto clamore, a tal punto che la stampa le ribattezzò “Amazons”.
Pochi mesi dopo, le sirene della Grande Guerra sedussero anche le suffragiste britanniche che si dissero disponibili a mettere da parte le proprie rivendicazioni per sostenere la patria nello sforzo bellico ottenendo in cambio una seppur minima apertura nel 1919 quando il diritto di voto venne esteso alle donne dei capifamiglia. Parallelamente, la storia di Edith Hurst che aveva costruito un servizio d’ordine composto di sole donne in grado di creare apprensione alla polizia, ma soprattutto di salvare l’incolumità di chissà quante donne, cadde ben presto nel dimenticatoio, ma ciò non toglie che il movimento delle suffragiste inglesi e la loro commistione col jiu-jitsu dei primi anni dello scorso secolo, rappresentano un punto di riferimento nella storia dell’autodifesa moderna.
Giuseppe Ranieri