A dispetto dell’allarmismo a orologeria dell’Occidente, qualsiasi osservatore attento sa bene che la guerra al confine russo-ucraino non è iniziata la scorsa settimana, bensì nel 2014 con l’invasione del Donbass da parte delle truppe di Kiev, e ha già causato circa 14.000 morti e oltre un milione di sfollati, immortalati da tutto quel corollario di immagini drammatiche, ma quasi totalmente ignorate dai nostri media che nel frattempo si focalizzavano sulle proteste di Piazza Maidan restandone ammaliati.
Proprio EuroMaidan si rivelava un network eterogeneo – almeno inizialmente – in cui convivevano fianco a fianco le istanze liberali tanto care alle cancellerie europee e quelle rivendicazioni nazionalistiche sfociate ben presto in veri e propri conati di nazismo con tanto di riesumazione dei più truci personaggi del collaborazionismo filo-hitleriano, tra cui spicca Stepan Bandera – fondatore nel 1942 dell’UPA, l’esercito ribelle ucraino – che, com’era facilmente immaginabile, hanno avuto vita facile nell’attecchire anche all’interno delle curve ucraine, come dimostrano le sanzioni della UEFA dopo l’esposizione di bandiere e striscioni inneggianti proprio a Bandera (fu il network Football Against Racism in Europe a denunciare il fatto) durante una partita di qualificazione ai mondiali del 2014 contro San Marino a Lviv. Sulle successive rimostranze della federcalcio ucraina che alla fine ottenne la revoca delle stesse sanzioni, bisognerebbe aprire un discorso a parte che necessiterebbe di molto più spazio per documentare come il mondo del calcio e dello sport in generale abbiano soffiato sui venti di guerra; del resto anche la divisa adottata negli scorsi Europei su cui era raffigurata un cartina del paese unito (con Donbass e Crimea) è un chiaro segnale.
Si potrebbe addirittura trovare un momento preciso in cui esse sono prepotentemente entrate nel conflitto, vale a dire durante gli scontri del 21 gennaio 2014 che dalla vicina Piazza Maidan, attraversarono via Hrushevsky per proseguire fino al vicino stadio “Lobanowsky”, quello della Dinamo Kiev, intorno al quale si asserragliarono centinaia di hools che ingaggiarono duri scontri contro i “Berkut”, i reparti antisommossa della polizia (che all’epoca rispondeva ancora agli ordini del premier legittimamente eletto, Yanukovich) e ai titouchky, squadre speciali pronte a infiltrarsi nelle file dei manifestanti.
I protagonisti erano da ricercare tra le fila di White Boys Club e Rodychi, i principali gruppi al seguito della Dynamo, probabilmente i più rispettati nel panorama ucraino – anche per essere stati vettore del nazionalismo ucraino anche sotto l’URSS, quando seguivano anche altri sport perché non avevano gli stessi controlli asfissianti delle partite di calcio – nonché i più anziani, poiché le prime avvisaglie di gruppi ultras risalgono alla fine degli anni Settanta e i primi scontri epici tra capitali (Kiev-Mosca) avvennero nel 1982, e addirittura nel 1987 coinvolsero anche i giocatori in campo. Essi, nel frattempo avevano creato le prime unità di autodifesa dei manifestanti e lanciato un appello sul social russo Vkontakte per unirsi alla loro causa.
Furono molte le tifoserie che accolsero l’invito, fino ad arrivare a stilare una vera e propria tregua che presupponeva il divieto di scontri tra chi vi avesse aderito seppellendo temporaneamente le storiche rivalità e al contempo ribaltando vecchie amicizie (come ad esempio quelle tra il Metalist e lo Spartak Mosca) oltre che quello di rubarsi striscioni o materiale vario e di dedicarsi cori offensivi. Il 26 gennaio 2014 venne redatto un documento congiunto da parte di trentotto tifoserie.
Di fatto si trattava di un’estensione del Braty po Zbroyi (“patto tra commilitoni”) stretto in chiave russofoba negli anni Ottanta tra i gruppi di Karparty Lviv, Dnipro e Dynamo Kiev per fronteggiare insieme le tifoserie di Mosca (originariamente vi aderivano anche i lituani dello Zalgris Vilnius), in primis gli hooligans dello Spartak, e che da quel momento avrebbe abbracciato quasi ogni tifoseria del paese – con l’ eccezione dell’Arsenal Kiev che ha una tifoseria che prima di appassionarsi al mondo delle curve era già attiva nei circuiti dell’antifascismo militante, ma che comunque in seguito alla bancarotta dichiarata dalla società nel 2013 ha visto ridurre notevolmente i propri ranghi – che non solo si sarebbero supportati a vicenda, ma che ha consentito ai suoi “contraenti” di usare le curve come palcoscenico per la retorica sciovinista del nazionalismo ucraino e quale piattaforma di reclutamento per nuove leve da sbattere sul fronte. Adesso il nemico non era più l’ultras avversario, ma tutto ciò che sapesse di russo.
Le prime dimostrazioni si ebbero alla fine della stagione 2013-2014 quando ultras di tutto il Paese si diedero appuntamento su uno dei ponti della capitale per uno spettacolo pirotecnico a favore dell'unità del Paese, erano presenti gli ultras di Dynamo, Poltava, Chernigov, Lugansk, Karpaty Lviv, Metalist Kharkiv, Nafkom, Obolon Kyiv, Chernomorets Odessa, Dnipropetrovsk e Tavria Simferopol. Sempre nella stessa stagione i tifosi del Metalist Kharkiv forgiarono un coro che divenne la nuova hit delle curve ucraine, dal titolo “Putin Huïlo” [Putin stronzo], adottato anche dalla gente comune; per lo stesso motivo dopo l’annessione della Crimea alla Russia, nelle partite delle coppe europee venivano esposti striscioni contro l’UEFA e la Gazprom. Il tutto mentre ormai ogni curva esponeva stendardi a favore della “junta”, il governo filo-occidentale e ultranazionalista.
Galvanizzati dall’evoluzione delle proteste che portarono all’esautorazione del presidente legittimamente eletto, molte altre curve seguirono l’esempio arruolandosi, come quelle di Dnipro, Shakhtar, Karpaty Lviv, Vorskla Poltava, Metalist Kharkiv, Metallurg Zaporizhya, Tavriya Simferopol, Chernomorets Odessa e PFC Sebastopoli.
Gli ultras si sono arruolati nei battaglioni Aidar, Dnipro-1 e Donbass, così come nel battaglione OUN, 1° e 2° battaglione di riserva operativa della Guardia Nazionale Ucraina (successivamente riorganizzati e rinominati in battaglione Serhii Kulchytskyi), nelle tristemente note milizie di Pravy Sektor, ma soprattutto nel famigerato battaglione Azov (successivamente diventato reggimento) – in cui sembra molto forte l’influenza e la presenza dei “Sect 82” del Metalist Kharkiv. Vale la pena ricordare che questa organizzazione è finanziata dall'imprenditore ucraino-israeliano Igor Kolomoisky, figura importante nel mondo ebraico-ucraino e presidente del Dnipro.
Anche in questo caso, come accadeva pochi mesi prima nel Nordafrica, la concezione che aveva il popolo dei propri ultras mutò radicalmente, sentendosi difeso da essi, ma probabilmente le analogie con Piazza Tahrir e la Tunisia si esaurivano qui.
Ben presto, anche le forze politiche – ovviamente le più smaccatamente nazionaliste e guerrafondaie – cominciarono a “coccolare” i gruppi: il leader del partito di estrema destra Svoboda ha salutato “gli eroici sostenitori di Dnipro Cherkasy, Karpaty Lviv [la vera roccaforte del partito, la cui curva fa spesso sfoggio del volto di Bandera, non a caso si chiamano “Banderstadt”] e Vorskla Poltava”, gli ha fatto eco il presidente filo-europeo Poroshenko – subentrato a Yanukovich – elogiando quelli di Shakhtar, Metalist, Dnipro, per il loro impegno “al fianco del popolo ucraino”. Tuttavia erano gli stessi ultras della Dinamo Kiev a interrompere il circolo vizioso affermando tramite un comunicato la loro sostanziale indipendenza da ogni tipo di partito, il che ovviamente non impediva loro di professarsi ultranazionalisti se non nazisti.
Si sa che a farsi prendere la mano non ci vuole nulla, così, con queste premesse era facilmente immaginabile che le “milizie di difesa” si sarebbero potute trasformare in corpi speciali d’invasione, come realmente accadde nel Donbass dove sin dalle prime battute si unirono anche una quarantina di ultras della Dynamo che, a quanto pare, parteciparono anche alla cattura dell’autoproclamato ministro del Donbass Igor Kakidzianov, del sindaco di Mariupol e della requisizione della seconda casa di Yanukovich a Uzruf.
L’altra faccia della medaglia di questo attivismo è rappresentata dall’attenzione spasmodica che all’ombra del Cremlino hanno iniziato a dedicare agli hooligans ucraini, tant’è che secondo l’Equipe è in atto una sorta di resa dei conti in cui i soldati russi si siano datti alla loro caccia e il FSB – i servizi segreti russi – abbia una lista di soggetti da eliminare com’è già successo ad alcuni di essi nel corso di questi otto anni. Ovviamente, il tutto è da verificare con attenzione anche perché in questo periodo i cambiamenti avvengono in modo frenetico e serrato a seconda dell’evoluzione sia della diplomazia che del dispiegamento di forze in campo; ma quello che è certo è che dopo la scorsa settimana, nulla sarà più come prima.
Giuseppe Ranieri