All'estremo ovest del grande deserto del Sahara vi è uno stato non indipendente conosciuto con il nome di Sahara Occidentale. Qui, il 28 febbraio 1976, venne fondata la RASD: Repubblica Araba Saharawi Democratica.
La RASD è uno Stato di religione islamica organizzato secondo un sistema democratico e progressista. È stata riconosciuta dalle Nazioni Unite come l'entità politica ufficiale del popolo che abita il Sahara Occidentale, i saharawi.
La terra di questa popolazione, dal 1975, è occupata dal Marocco. Il perché di questa occupazione è di chiara natura economica: il Sahara Occidentale è una zona ricca di fosfati, risorse pregiate. Le sue coste che si affacciano sull'Oceano Atlantico sono, inoltre, una zona molto ricca dal punto di vista ittico.
Il popolo saharawi nella sua lotta non è da solo. Il 10 maggio 1973 è stata fondata l'organizzazione politica del Fronte Polisario per supportare la resistenza.
Il Fronte, poco dopo l'invasione iniziata con quella che è conosciuta come Marcia Verde, diede inizio a una vera e propria guerriglia. Nel 1991 si arrivò a un cessate il fuoco tra il Marocco e l'organizzazione: questo accordo prevedeva anche lo svolgimento di un referendum per l'autodeterminazione dei saharawi. Ad oggi, però, tutto è rimasto fermo e la consultazione non si è ancora svolta.
Molto forte è stata l'opposizione del governo di Rabat che, con il parere favorevole dell'Occidente, ha continuato a sfruttare le immense risorse di quelle terre. Durante l'occupazione, nel 1982, il Marocco ha dato il via alla costruzione di un vero e proprio muro divisorio, conosciuto come “Muro della Vergogna”.
La struttura è lunga 2720 km, seconda a livello mondiale solamente alla muraglia cinese per lunghezza. Ai suoi due lati è presente quello che è stato riconosciuto come il più vasto campo minato del globo.
Negli ultimi anni ci sono stati numerosi rinvii della questione e i momenti di tensione non sono affatto diminuiti. Nel novembre 2020 è scoppiato un nuovo conflitto dopo quasi 30 anni di pace.
L'ONU non ha saputo fare molto per risolvere la vicenda.
La sola decisione presa è stata quella di nominare un inviato speciale delle Nazioni Unite per il Sahara Occidentale, e da ottobre 2021 questa carica è ricoperta dall'italo-svedese Staffan de Mistura.
In questi 47 anni anni di occupazione marocchina sono sorte numerose organizzazioni che cercano di dar voce alla questione Saharawi in diversi ambiti, tra i quali uno dei più attivi è quello sportivo, grazie alla creazione della Sahara Marathon. Essa è una vera e propria gara che attraversa la zona dell'Algeria occidentale, vicino alla città di Tindouf.
Qui, pochi mesi dopo l'occupazione marocchina, si stabilirono i saharawi in dei veri e propri campi profughi: ad oggi si contano circa 200.000 persone in queste strutture.
La maratona, sul proprio sito, si descrive come una “manifestazione sportiva internazionale di solidarietà con il popolo saharawi. La sua prima edizione è stata nel 2001, da una idea di Jeb Carney”.
L'organizzazione è affidata alla Segreteria di Stato della RASD con l'aiuto di numerosi volontari internazionali. Esistono tre percorsi possibili (42, 21, 10 chilometri), che toccano i tre campi profughi saharawi di Smara, Aoserd e ElyAyoun. Vi è anche il percorso da 5 km totali che è riservato ai più giovani.
Sono due gli obiettivi principali della Sahara Marathon. Il primo è favorire lo sviluppo dell'attività sportiva tra i giovani saharawi, il secondo è promuovere e sviluppare progetti umanitari in loco.
Fatima Mahfud è rappresentante in Italia del Fronte Polisario. Caterina Lusuardi è la presidente della Rete Saharawi, un'organizzazione che rappresenta l’Italia al Coordinamento Europeo di Solidarietà con il popolo saharawi (EUCOCO).
A loro due abbiamo chiesto altre informazioni sulla maratona, che quest'anno si è svolta lunedì 28 febbraio, e sulla questione del Sahara Occidentale.
Le due intervistate partono con una premessa, spiegando che “in Italia, già dagli anni Settanta, esisteva un solido e ampio movimento di solidarietà con la questione saharawi”. Si è deciso di puntare sull'ambito sportivo, organizzando un evento come la Sahara Marathon, perché lo sport ha da sempre unito i popoli del mondo.
Partecipando alla maratona, si ha la possibilità di attraversare a piedi le province dei campi profughi saharawi. Una vera e propria ricerca sul campo che avviene nei giorni in cui si ricorda la fondazione della RASD nel 1976.
La chiave di lettura della questione saharawi è però cambiata nel corso del tempo. Negli anni Settanta e Ottanta si è dato precedenza a una visione politica della vicenda. Di seguito, grazie ai progetti di cooperazione internazionale e con l'arrivo di Internet che ha permesso una comunicazione più ampia, hanno preso il via dei veri e propri “viaggi di conoscenza”.
Con la Sahara Marathon sono nati “legami non necessariamente politicizzati”, affermano Mahfud e Lusuardi. Con questa manifestazione sono partiti progetti che coprono ambiti molto diversi tra loro: dal sostegno all'educazione allo sport, passando per la formazione del personale sportivo e la creazione di cooperative di lavoro locale.
La formazione sportiva riguarda discipline diverse: dal calcio alla boxe fino all'atletica leggera. Fondamentale è la formazione del personale femminile e l'insegnamento del rapporto che il corpo ha con la salute.
Quando chiediamo quali siano le maggiori difficoltà che, ad oggi, il popolo saharawi è costretto ad affrontare, le rappresentanti di Rete Saharawi e del Fronte Polisario dicono che si deve parlare di due fronti. Il primo, spiegano le due intervistate, è “quello della gestione della vita quotidiana nel campo profughi. I saharawi sono riusciti a piegare a loro favore la vita nel deserto diventando in buona parte sedentari, costretti in molti a rinunciare al nomadismo”.
Nonostante le numerose difficoltà i saharawi non hanno mai perso la dignità cercando di garantire sanità, cultura ed educazione per tutti. Il secondo aspetto, invece, è di natura prettamente politica visto che Mahfud e Lusuardi si chiedono quanto ancora i saharawi dovranno aspettare prima che possa essere attuato il loro diritto di autodeterminazione.
Durante le spiegazioni sportive sul sito della Sahara Marathon si usa molte volte l'aggettivo “popolare”. Come mai una scelta linguistica del genere? La risposta di Fatima e Caterina è parecchio chiara al riguardo: “Popolare perché possono partecipare tutti. Sono previsti percorsi anche brevi come quello da 5 km che puoi fare semplicemente camminando e salutando i saharawi che incontri lungo il percorso. È una festa che si vive camminando e che ti permette di conoscere il deserto e percorrere gli stessi sentieri tracciati dai primi saharawi arrivati lì e che non avevano mezzi di trasporto. Chi farà i percorsi lunghi assaporerà il silenzio di quello spazio, apparentemente senza barriere, e con lo sguardo verso un orizzonte ampio e lontano come fosse il confine del mondo”.
Purtroppo lo sport viene anche usato come vetrina di eventi sportivi mondiali che non spendono una parola al riguardo del popolo saharawi. A Dahkla, importante località costiera sull'Oceano Atlantico, si tiene da alcuni anni una tappa importante del mondiale di kitesurf. Il perché è presto detto: qui vi è spiaggia di Foum Labouir che, coi suoi venti, è considerata un luogo perfetto per la pratica di questa disciplina.
L'evento è organizzato dalla Global Kitesports Association, uno dei più importanti organismi di kitesurf a livello mondiale, sotto l’egida della World Sailing Federation, la federazione mondiale che si occupa degli sport a vela. Nonostante la presentazione che viene fatta sul loro sito, in questi anni gli organizzatori non hanno messo in discussione di annullare la tappa di Dahkla che si tiene su un territorio occupato dal Marocco.
La rappresentante del Fronte Polisario in Italia è molto dura quando le viene chiesto di spendere due parole su questo evento. Fatima infatti afferma che a Dakhla si svolge qualcosa di illegale.
Questa presa di posizione deriva dal fatto che il Sahara Occidentale è “secondo il diritto internazionale un territorio non autonomo e il Marocco è una potenza occupante che non ha il diritto di autorizzare alcunché su quel territorio. Il problema è che da anni si impedisce di entrare nel Sahara Occidentale ai vari osservatori e si continua a spogliare quel terreno delle risorse naturali che porterebbero beneficio economico ai saharawi. Su questo ci sono sentenze a favore dei saharawi che si stanno cercando di applicare attraverso denunce e processi. Pertanto non si possono includere quei territori negli accordi commerciali e di pesca tra l'Unione Europea e il Marocco. Prima o poi questa sentenza sarà applicata”. Inoltre, continua la rappresentante del Fronte Polisario, “attualmente il Sahara Occidentale si sta trasformando una prigione a cielo aperto perché si impedisce ai saharawi di uscire dalla loro case, come nel caso di Sultana Kaya, prigioniera nella propria abitazione”.
Una situazione parecchio travagliata quella del popolo saharawi. Questo ha fatto dire all'ex segretario generale dell'Onu Kofi Annan che la questione del Sahara Occidentale rappresenta un vero e proprio “vicolo cieco”.
Quando viene chiesto alle due intervistate se si uscirà mai da questo stallo la risposta è decisa: “Il segretario generale è chiamato per ruolo a mantenere la stabilità, la giustizia e la ligia applicazione del diritto internazionale. Kofi Annan dichiarando questa cosa ha ammesso una incoerenza perché è sua prima responsabilità evitare che la questione saharawi entri in un vicolo cieco”.
Questa forte presa di posizione è basata sul fatto che esistono “ingenti somme di denaro che le stesse Nazioni Unite hanno speso per la missione nel Sahara Occidentale. Non a caso esiste una vera e propria missione sulla questione, chiamata Missione delle nazioni Nazioni Unite per il referendum nel Sahara Occidentale”.
Roberto Consiglio