Non è elogio del dolore né pornografia dello stesso. È esigenza, pura necessità di gridare al mondo. È ulteriore sberleffo della vita nel pantano odierno dell’ingiustizia, e tremendamente infame il momento. Andrea si è spento. Non è retorica mai, e non potrebbe mai esserlo raccontare la verità, affinché le nostre vite abbiano un senso la strada deve essere segnata dalle migliori guide. Andrea lo era. Ma non lo era perché doveva esserlo, la scelta di esserlo nasceva dalla sua di esigenza, quella espletare il rinnovamento dell’essere umano, disossarlo dai suoi orpelli politici e sovrastrutturali, per regalarti un attimo sincero di umanità intrinseca. Nell’ultimo momento di confronto assieme la tua esigenza fu di ricordarmi che in tutte le guerre perde sempre l’umanità al di là delle ragioni di geopolitica. Ecco l’uomo, il suo avvenire, le generazioni che cresceranno al culto di un’umanità diversa. Quella stessa umanità docile ma determinata dei tuoi sorrisi, del tuo essere immortale.
Ti guardavo, anzi ti guardavamo, ammiravamo la tua bellezza, non solo quella fisica ma quella invisibile agli occhi e quindi ancor più necessaria ed indispensabile. Ti guardavamo come tanti Patroclo che guardano il loro Achille. Innamorati della tua forza d’animo ma mai invidiosi, solo profondamente innamorati. E qui la tua forza è stata quella di non farci mai sentire non corrisposti. Tu ci amavi tutti, e noi abbiamo amato te dolce compagno. Ci hai fatto male, ci hai gelato nel momento che la primavera sbocciava sicura. Ci hai colpito come un pugno, tanto forte che da ieri centinaia di anime affini si riconoscono nello sconforto, incapaci di elucubrare, incapaci anche di utilizzare quella cassetta degli attrezzi, con cui abbiamo costruito la nostra morale materialista. È difficile Andrè è tanto difficile. Ieri ci siamo persi negli occhi languidi, negli sguardi persi, nel dolore dei tuoi fratelli e delle tue sorelle, nei volti straziati delle donne che ti hanno amato più profondamente. Percepivo la preoccupazione di non saperti ridare indietro il tanto che ci hai donato. L’amore Andrè, l’amore conta. Centinaia di compagni accorsi nel tuo ricordo smarriti, anzi naufragati nel dolore. Anche perché Andrè, tu non eri spettatore tu eri avanguardia, era il cuneo rosso che batte il cerchio bianco. Paura, rassegnazione, risacca, erano parole che non ti si addicevano. Forse noi ma tu no, mai. Sempre, e se dico sempre vuol dire sempre lì in prima fila, davanti. No in mezzo, no in coda, davanti. Botte, denunce, ma anche goliardia, culto dell’aggregazione. Uomo di popolo di quelli che ti fanno vantare della tua appartenenza alla comunità. Andrè che cazzo hai fatto. Il tuo ricordo non ci basta, il tuo esempio solo è tatuato nel cuore. Cazzo Andrè come fa male.
Avevi abbracciato l’idea dello sport popolare, ti eri impegnato affinché questo non potesse rimanere recintato nel nostro mondo, l’hai portato dove più conta, nelle scuole. E i bambini lo sanno più dei grandi, riconoscono a naso il buono. Ti hanno amato pure loro. Avevi cominciato a sognare con tuoi sodali del basket, volevi i play off, volevi competere, perché va bene essere bravi ma quanto è bello vincere? E poi eri pure un bravo cestista. A Roma si dice “Erppiù”, il più bravo, il più bello, il più buono, il più estremo, il più benevolo. Mi piaceva quando mi dicevi che eri bolscevico. Sì lo eri e della miglior specie. Andrè le parole stanno a zero, e queste mie se le porta via vento, il tuo esempio no quello vive. Acta non verba.
Acta non verba mi dice il cervello.
I miei compagni dell’Atletico l’hanno detto: niente sarà più come prima. E come potrebbe esserlo senza quello stampellone che parla salentino? Come cazzo potrebbe mai esserlo. Ma se è proprio da quell’esempio dobbiamo ripartire, quel vuoto lo riempiremo amico, fratello nostro. Quella famiglia enorme lo sai che vince anche quando perde, perché la vittoria lo sai anche te da dove viene. Tu sei quella vittoria Andrè e i tanti te dentro di noi. Non ci lasceremo mai, il tuo nome riecheggerà sappilo, ogni vittoria sul campo e fuori porterà il tuo nome, te lo promettiamo. Uniti, insieme, senza paura del domani. Dal tuo esempio, dal nostro dolore nasceranno i mejo fiori. I mejo.
Ti amiamo tanto, Dorno.
Daniele Poma