Se atrocità e propaganda sono le uniche due certezze della guerra, non è difficile immaginare quanto anche gli sport da combattimento possano diventare vettori del consenso, soprattutto in due paesi come Ucraina e Russia dove pugilato, mma e lotta sono pietre miliari del sistema educativo-sportivo, oltreché sport molto praticati, con un discreto seguito a livello di opinione pubblica.
In un momento in cui oltre al brutale scontro militare sul campo persiste un conflitto più sofisticato – ma ugualmente importante e determinante – che si combatte a livello comunicativo, tutto è utile a livello di propaganda. Quindi anche gli sport da combattimento diventano tasselli importanti di un mosaico più complesso.
A livello pugilistico l’Ucraina vanta una delle scuole più importanti della storia recente a livello dilettantistico – 14 medaglie dalle Olimpiadi di Atlanta 1996 a quelle di Tokyo 2020 –, ma ha prodotto anche grandi professionisti che sono personaggi pubblici a tutti gli effetti, molto famosi nel paese. Diversi di loro hanno preso parola o si sono impegnati direttamente nel conflitto.
I primi a scendere in campo sono stati i fratelli Klitschko, entrambi campioni del mondo dei pesi massimi, dominanti nella categoria fra fine anni Novanta e primi Duemila. Vitaly, il maggiore, è l’attuale sindaco di Kiev e ha più volte visitato le truppe al fronte sottolineando quanto questa sia la battaglia più dura della sua carriera, non senza fare parallelismi un po’ arditi fra il ring e la guerra.
Volodymyr, il minore, anche lui campione del mondo e oro olimpico, si è arruolato nella milizia territoriale poco prima dello scoppio della guerra e ha di recente messo all’asta la medaglia olimpica vinta ad Atlanta per raccogliere fondi per il paese, rilasciando diverse dichiarazioni sui media di mezzo mondo.
Oltre a loro due, che in un certo senso hanno un ruolo politico più marcato fin dai tempi di Piazza Maidan nel 2014, anche Oleksander Usyk e Vasiliy Lomachenko hanno fatto scelte precise, nonostante fossero ancora in attività e al vertice delle rispettive categorie.
Proprio Oleksander Usyk, attuale campione dei pesi massimi (Wba, Ibf, Wbo) e considerato uno dei più forti pugili al mondo in tutte le categorie di peso, è tornato subito dopo lo scoppio della guerra in Ucraina – era nel Regno Unito – e ha raggiunto il confine dalla Polonia entrando a piedi nel paese per arruolarsi nella milizia territoriale. Dopo essere stato al fronte per un lungo periodo, di recente ha ottenuto il permesso di lasciare il paese – vige in Ucraina il divieto di espatrio per gli uomini dai 18 ai 60 – per disputare l’incontro di rivincita contro Anthony Joshua a giugno, valido per il titolo mondiale dei massimi, e ha lasciato il paese. Usyk ha lasciato intendere però che dopo la sua recente esperienza è difficile pensare solo al pugilato: “Ora mi devo concentrare il più possibile sulla mia preparazione, ma non smetto un attimo di pensare alla guerra e ai miei amici in Ucraina”.
Anche Vasiliy Lomachenko, ex campione del mondo dei leggeri e uno dei pugili più brillanti degli ultimi anni, è rientrato in Ucraina e si è arruolato nella milizia territoriale, precisamente nella brigata di Belgorod-Dniester proprio su una delle linee del fronte. Lomachenko ha rifiutato di disputare il 5 giugno in Australia un incontro valevole per il titolo mondiale dei leggeri contro George Kambosos, il campione in carica, dicendo che: “Soldi, titoli, cinture: non puoi portarli con te nella tomba. La storia invece ti sopravvive. Ecco perché ho scelto di provare a fare la storia”. Insomma nella situazione contingente Loma ha dimostrato che la sua carriera pugilistica non era la cosa più importante. Una scelta non banale visto che ha 34 anni e questa potrebbe essere una delle ultime chance titolate della sua vita.
È corretto anche sottolineare che sia Lomachenko sia Usyk hanno più volte invocato la pace sottolineando il sentimento di fratellanza fra russi e ucraini, chiedendo un accordo immediato fra i governi e invocando la fine della violenza.
Nelle scorse settimane Scott Cooker, il patron di Bellator – il secondo circuito mondiale più importante di arti marziali miste dopo Ufc – ha pubblicato un video in cui si vede il campione dei welter della promotion statunitense Yaroslav “Dynamo” Amosov, arruolatosi nell’esercito ucraino, uscire dalle macerie di una casa bombardata per portare in salvo proprio la sua cintura di Bellator. Ovviamente il video ha un intento propagandistico – è infatti difficile immaginare che un soldato possa portare una cintura d’oro, che ha un valore materiale di migliaia di dollari al fronte – ma è ovvio quanto sia grande il portato simbolico di un’immagine del genere, che infatti ha fatto il giro del mondo su diverse testate.
Atleti milionari che fanno scelte del genere diventano una carta non da poco nelle mani della propaganda e in un momento come questo offrono all’Ucraina storie da sbandierare per migliorare il morale nel paese e per cementare il sentimento nazionale.
Più discussa invece la morte di Maksym Kagal, campione del mondo di kickboxing e membro del Battaglione Azov, morto intorno al 25 marzo durante l’assedio di Mariupol. Kagal è stato salutato da molti come un martire, ma da altri è accusato di essere nazista e non ha trovato lo stesso spazio dei suoi “colleghi” soprattutto sui media internazionali.
Anche il versante russo ovviamente non è immune alla propaganda e anche qui si registra una convergenza fra politica e sport. Aleksandr Povetkin, ex campione del mondo dei massimi, si è schierato a favore dell’invasione più volte, attraverso post sui social e prese di posizione pubbliche in sostegno delle truppe russe e di Putin, insistendo sul pattern della denazificazione molto in voga a Mosca e dintorni.
Un’altra personalità molto famosa nel mondo delle mma russe si è schierata a favore dell’invasione: si tratta di Jeff Monson, ex membro degli Industrial Workers of the World e icona del movimento no global americano, che da anni si è trasferito in Russia, dove ha radicalmente cambiato le sue posizioni ideologiche fino a essere eletto in un consiglio locale del paese, esprimendo perfino gradimento per alcune politiche di Putin.
Un altro caso emblematico è invece quello di Alexey Oleinik, importante atleta Ufc ucraino ma nazionalizzato russo, che non si è espresso sulla situazione, forse proprio per i suoi imminenti impegni nell’ottagono (ha combattuto a inizio aprile in un evento Ufc molto importante). Oleinik ha rapporti e si è allenato a Kharkiv presso Oplot, un team di mma che durante le proteste di Maidan si era schierato in difesa del presidente Yanukovich venendo anche accusato di essere una milizia filo-russa e antimaidan mascherata da team di mma. In passato, nel 2014, Oleinik aveva indossato una maglietta con la faccia di Putin esprimendo parere favorevole rispetto all’annessione della Crimea e al supporto russo agli insorti in Donbass, ma in tutto questo periodo non ha preso una posizione pubblica sulla questione, troppo attento, forse, al rischio di incorrere in squalifiche e sanzioni.
Anche l’allenatore della nazionale di lotta libera russa Dzhambolat Tedeyev, di origine osseta ma di nazionalità ucraino-russa, dopo un iniziale appoggio alla politica di Putin ha chiesto più volte la pace, sostenendo che Russia e Ucraina sono paesi fratelli, anche pubblicamente. Essendo stato in precedenza molto vicino alle posizioni di Putin ha un po’ sorpreso la sua posizione.
Tuttavia il caso recente più significativo in Russia è quello di Khamzat Chimaev, lottatore di origine cecena cresciuto in Svezia, che di recente ha combattuto nell’evento Ufc 273 battendo il numero due della categoria dei welter Gilberto Burns. Chimaev è uno degli atleti più in ascesa in Ufc, e alla fine del suo incontro vinto ai punti ha salutato in ceceno il suo paese sottolineando più volte di essere vicino ai suoi connazionali. In molti hanno interpretato questo discorso – seguito anche da diversi post sui social – come un endorsement a Razman Kadyrov, leader ceceno, molto impegnato sul fronte della guerra ucraina dove la Guardia Nazionale cecena è in prima linea negli scontri. Kadyrov fa molto uso dei social e attraverso le mma e il suo team Akhamat Fight Club ha ospitato alcuni fra i più grandi campioni degli sport da combattimento, utilizzando proprio le arti marziali miste come strumento di propaganda, neanche troppo velato. Chimaev è attualmente l’atleta più apprezzato da Kadyrov e il presidente ceceno non ha mancato di esprimere vicinanza e stima per il gesto di Chimaev, ospitato diverse volte dai vertici della repubblica caucasica.
Insomma come spesso capita lo sport non rimane neutrale, perché è fatto di persone, idee e visioni del mondo. Nonostante le logiche decoubertiniane, lo sport non è un “compartimento stagno” della società, né una “camera bianca” fuori dal tempo e dallo spazio, ma piuttosto è il prodotto e l’espressione stessa della società che attraversa. Con tutte le sue contraddizioni e storture.
Filippo Petrocelli