Il 28 aprile è una data abbastanza particolare per la storia del Belpaese. In quel giorno del 1945 veniva infatti ucciso Benito Mussolini a Dongo, piccolo paese della provincia di Como. Il giorno seguente il suo corpo veniva appeso a Piazzale Loreto a Milano per rendere ufficiale la fine del regime fascista.
Sempre in questa giornata, però, avvenne anche un altro importante evento che coinvolse un famoso personaggio sportivo a livello internazionale. Il 28 aprile del 1967, esattamente 55 anni fa, il pugile americano Muhammad Alì, dichiarandosi obiettore di coscienza, rifiutava di arruolarsi nell'esercito americano per andare a combattere in Vietnam.
“La mia coscienza non mi permette di andare a sparare a mio fratello o a qualche altra persona con la pelle più scura, o a gente povera e affamata nel fango per la grande e potente America.
E sparargli per cosa? Non mi hanno mai chiamato 'negro', non mi hanno mai linciato, non mi hanno mai attaccato con i cani, non mi hanno mai privato della mia nazionalità, stuprato o ucciso mia madre e mio padre. Sparargli per cosa? Come posso sparare a quelle povere persone? Allora portatemi in galera”: fu con queste parole che il pugile rese nota la sua decisione. Per questa sua presa posizione, ad Alì venne tolto il titolo mondiale dei pesi massimi e fu arrestato.
L'opinione pubblica americana mainstream lo considerò da subito un vigliacco. Al contempo, però, Alì diveniva un'icona degli oppressi e della controcultura degli anni Sessanta.
Dovranno passare tre anni prima della sua riabilitazione. Nel 1974 il pugile nativo di Lousville riconquistò il titolo levatogli, in Congo, contro Foreman al termine dell'epico “Rumble in the jungle”.
Tale caso diventò uno dei primi che legava due ambiti che in teoria, per molti individui del passato e del presente, dovrebbero essere totalmente slegati tra loro: sport e politica. Il connubio sport e politica è tornato fortemente d'attualità anche in questo 2022.
Lo scorso 25 marzo l'Italia, che a luglio 2021 si era laureata campione d'Europa, non è riuscita a qualificarsi alla Coppa del Mondo 2022 in programma tra novembre e dicembre in Qatar. Un torneo, quello che si svolgerà nel piccolo paese del Golfo Persico, che ha lasciato più di qualche dubbio a molti vista la situazione non proprio idilliaca dal punto di vista dei diritti umani.
Sono infatti molti, secondo vari rapporti di organizzazioni umanitarie conosciute a livello mondiale, in primis Amnesty International, gli operai morti nei cantieri sorti per la costruzione degli stadi che ospiteranno i match ufficiali della competizione. La stessa assegnazione di un torneo così importante a un paese il cui livello calcistico non è così sviluppato ha lasciato più di qualche strascico per le accuse di corruzione mosse.
Un caso simile a quello del mondiale qatariota si sta ripetendo in questi ultimi giorni in Gran Bretagna. La miccia che ha fato scoppiare il caso è stato l'accordo raggiunto il 14 aprile scorso tra il governo inglese e e quello ruandese, denominato “Migration and Economic Development Partnership”.
La base economica di questo patto è di circa 30 milioni di sterline: una cifra non proprio irrisoria per uno dei paesi più poveri dell'intero globo. Se poi gli esperti parlano di altri guadagni economici per il governo di Kigali capiamo ancora meglio la portata storica di questo evento.
Tale risoluzione prevede che tutti i migranti illegali che verranno trovati in Gran Bretagna saranno mandati in Ruanda in attesa che il governo di Londra decida sul loro futuro. Nel caso che la domanda di accoglienza in Inghilterra venga respinta sarà il governo ruandese stesso che deciderà il futuro di queste persone.
Saranno due le opzioni che verranno prese in considerazione in tal caso: la prima prevede che sarà Kigali a valutare se permettere ai migranti di rimanere comunque in Ruanda (per esempio per motivi specifici che non rientrano in quelli legati allo status di rifugiato). La seconda invece prevede che i migranti siano trasferiti in un altro paese: quello di provenienza o uno stato terzo nel caso in cui in quello di provenienza ci sia il rischio di tortura o altri trattamenti degradanti.
Questa presa di posizione è stata criticata da vari esponenti della società inglese e non. Questo perché il Ruanda, da molti esperti di diritti umani a livello mondiale, non viene considerato un posto sicuro per i migranti respinti dalla Gran Bretagna.
Il piccolo paese dell'Africa centro-orientale, dopo la guerra civile del 1994 che è costata la vita a quasi un milione di persone, sta attraversando un periodo di forte instabilità. Dal 2000 è al potere il presidente Paul Kagame che ha lasciato più di qualche perplessità riguardo il lato democratico del suo governo.
Nel corso del suo mandato il presidente ruandese ha messo a tacere, in maniera chiara, numerose voci dissidenti che si sono levate all'interno del paese. La figura di spicco che ha subito le maggiori pressioni è stata quella di Paul Rusesabagina, un famoso albergatore locale la cui storia ha ispirato il film di successo “Hotel Ruanda” che racconta il genocidio del 1994.
Lo stesso Kagame, poco tempo fa, è riuscito a modificare la Costituzione ruandese. Ciò gli ha permesso di candidarsi per una terza volta di fila alla guida del paese, in vista di elezioni presidenziali in cui ha ottenuto 99,8% dei consensi totali.
Naturalmente questo plebiscito per Kagame, non sono mancate le accuse di brogli. A tali accuse il presidente-padrone ha risposto con repressione, arresti e violazioni dei diritti umani.
L'Inghilterra è un paese fortemente legato, sotto numerosi punti di vista, al Ruanda. Uno di questi è sicuramente l'ambito calcistico visto che le partite della Premier League inglese sono tra i match più seguiti nel piccolo stato africano.
La squadra con più fan tra il popolo ruandese, soprattutto quello che vive nelle aree urbane, è l'Arsenal. Questo perché il team calcistico di Londra, negli anni passati, è stato quello che ha avuto il maggior numero di giocatori neri nella sua rosa.
Da maggio 2018, grazie a un accordo siglato con il governo di Kigali, l'Arsenal ha spesso fatto pubblicità, attraverso un logo sulle proprie casacche da gioco, affinché i suoi tifosi, ma anche gli inglesi in generale, si recassero in Ruanda in vacanza.
L'accordo inoltre prevede che una vacanza nel paese sia sponsorizzata anche attraverso altri strumenti, come la pubblicità a led nell’Emirates Stadium (l'attuale impianto casalingo dei Gunners dopo l'abbattimento del compianto Highbury nel 2006). Gli stessi giocatori della squadra di Londra, infine, hanno visitato il Ruanda in questi ultimi anni per portare avanti diverse attività di sviluppo sul territorio come la creazione di campi da calcio locali per ragazzi e ragazze.
Con il nuovo patto sull'immigrazione non sono stati pochi i tifosi dei Gunners che hanno sollevato voci discordanti su questo accordo. In particolare si è voluto mettere in risalto che una squadra come l'Arsenal, uno dei club più antichi di tutto il Regno Unito e i cui tifosi rappresentano la parte più popolare della società inglese, abbia stretto un accordo economico con un personaggio come Kagame che non è conosciuto certo per aver a cuore i diritti delle persone.
La parte economica, si sa, la fa sempre da padrone nel mondo calcistico moderno. È probabilmente questo motivo infatti che ancora nessuna decisione ufficiale, riguardante questa scottante questione, è stata presa all'interno del club allenato da Mikel Arteta.
Roberto Consiglio