La consueta kermesse podistica in memoria di Miguel Benancio Sanchez, giovane maratoneta scomparso durante gli anni della dittatura argentina, quest’anno, complice l’impennata invernale dei contagi, è coincisa con il giorno in cui il paese si appresta a celebrare la liberazione dal nazifascismo. Una manifestazione che mantiene viva la memoria su un periodo buio della storia, e che conferisce continuità all’operato delle madri di Plaza de Mayo, il movimento spontaneo nato per chiedere verità e giustizia per tutti i figli scomparsi negli anni bui della dittatura militare. Avere vent’anni nell’America latina a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta presupponeva assumere delle scelte sul proprio avvenire: decidere se navigare controcorrente ai regimi o continuare a vivere da indifferenti, per dirla con Gramsci.
Il golpe che il 24 marzo 1976 consegnò l’Argentina nelle mani della junta militar di Jorge Rafael Videla ebbe la strada spianata non solo per l’incapacità del governo peronista di porre un argine al dirompente vortice inflazionistico, ma soprattutto dalla necessità di ricostituire l’ordine nazionale di un paese soffocato da continui attentati terroristici. Proprio ai militari la presidente Isabelita Perón aveva affidato il compito di restaurare la sicurezza interna, motivo per cui il golpe delle forze armate non provocò alcun clamore.
Il governo guidato da Jorge Rafael Videla, Emilio Eduardo Massera e Orlando Ramón Agosti, mascheratosi sotto le mentite spoglie di un Proceso de Reorganización Nacional, fu in realtà una cruenta tirannia che manifestò la sua ferocia con una politica repressiva verso studenti, militanti sindacali, artisti, attivisti politici e sociali. L’instaurazione del regime passava attraverso l’applicazione del Plan Condor: quell’insieme di strategie che in molti paesi del Sudamerica miravano a sovvertire l’ordine democratico degli Stati, servendosi della cattura, dell’arresto, della tortura, dell’omicidio e dell’occultamento dei corpi di oppositori e presunti tali. Dei veri e propri Stati terroristi, non solo per la ferocia delle loro azioni repressive, ma soprattutto per la propensione a disobbedire alle loro stesse leggi. Intere generazioni vennero pertanto cancellate nel silenzio assordante della comunità internazionale, grazie anche la modalità con cui la junta militar occultava le prove dei suoi massacri, ricorrendo alla repressione clandestina. La scomparsa delle persone, spesso prelevate nottetempo dalle loro abitazioni, avveniva in luoghi di detenzione segreti, dove le vittime dopo essere state torturate venivano fatte sparire. Tutto quanto adornato da un velo di ipocrita facciata di normalità, culminata con la realizzazione in Argentina dei campionati mondiali di calcio del 1978, che vennero, per tal motivo, ribattezzati “della vergogna”.
Dei tristemente famosi desaparecidos durante la dittatura militare di Videla, 32 erano atleti. Tra questi, anche Miguel. Miguel che nacque il 6 novembre 1952 a Bella Vista, un piccolo centro della provincia dell'Argentina nord-occidentale di Tucumán, aveva solo venticinque anni e tutta la vita davanti quando fu strappato per sempre dalla vita e dai suoi cari in una notte di gennaio del 1978, da un manipolo armato al soldo dell’Hitler de la Pampa. Seppur la passione per la corsa non lo toccò fin da bambino, perché come la gran parte dei ragazzi de “las villas” sudamericane venne attratto dal gioco del fùtbol, passione che gli valse il tesseramento nella squadra di calcio del Gimnasia y Esgrima La Plata (il più antico club calcistico dell'intero Sudamerica), la sua vita fu presto indirizzata verso quella che si rivelò essere la sua più grande abilità: la corsa. Vissuta non solo come uno sport, ma come una vera e propria filosofia esistenziale, capace di coinvolgerlo emotivamente per il senso di libertà che gli conferiva. Sensazioni che lo accompagnarono, in maniera particolare, lungo il percorso della gara della Carrera de San Silvestre a San Paolo, proprio pochi giorni prima di sparire. Emozioni uniche che la città carioca gli suscitò, che tradusse nero su bianco in versi di una poesia pubblicata qualche settimana dopo sulla Gazzetta del Brasile; il grido di pace che lo rese inviso alla junta di Videla.
Per te, atleta
Per te che conosci il freddo, il caldo
i trionfi e le sconfitte
per te che hai un corpo sano
l'anima grande e tanto cuore.
Per te che hai molti amici, molti desideri
l'allegria adulta ed il sorriso dei bambini.
Per te che non conosci il ghiaccio né i soli
la pioggia né i rancori.
Per te, atleta
che corresti paesi e città
unendo gli stati con il tuo andare.
Per te, atleta
che disprezzi la guerra e aneli la pace.
Nulla più si seppe sul destino di Miguel. Una storia come tante sparite nella fitta coltre del silenzio che per anni ha contribuito ad avvolgere la nefasta vicenda dell’Argentina. Quello che accadde a Miguel dopo il suo arresto è destinato a rientrare nel campo delle ipotesi, dove nessuno ha più saputo nulla ma tutti immaginano quale sia stato l’epilogo.
Se è vero che comprendere la storia vuol dire prepararsi a comprendere il mondo, perché nessun popolo può sopravvivere senza la sua memoria, è vero che rimane necessario narrare il proprio passato per resistere alla tentazione di dimenticare, diceva Luis Sepulveda. Il ricordo che perdura allo scorrere delle lancette resta sovente un atto rivoluzionario imprescindibile non solo per non rimanere abbagliati da aneliti nostalgici, ma anche per captare le rime che il presente ripropone e avere coscienza sulle ragioni che hanno indotto gli uomini a schierarsi dalla parte giusta o meno della storia. Il ricordo rimane la linfa per la sopravvivenza dei popoli, per generare la consapevolezza del presente come risultante di condotte coraggiose che hanno anelato la costruzione di un avvenire luminoso.
Pierluigi Biondo e Roberto Consiglio