Tra i vari appuntamenti dello sport popolare in vena di ripresa, sia come concetto che come pratica, spiccava il decennale degli RFC Lions Ska di Caserta, una realtà capace di diventare uno dei punti fermi del movimento nazionale unendo istanze e battaglie globali, con quelle esigenze territoriali che una città come Caserta ti porta ad avere, e che se declinate nel modo migliore possono essere una vera e propria marcia in più, com’è stato nel loro caso.
Abbiamo avuto l’opportunità di fare quattro chiacchiere con Maurizio, istrionico fondatore del progetto e colonna non solo della compagine casertana ma di tutto il calcio popolare, ed è stato un piacere poterci confrontare su molteplici tematiche anche per via della scelta dei leoni casertani di non iscriversi alla FIGC per dare l’opportunità a tutti di poter giocare, in barba alla burocrazia e su come si può avviare un progetto di sport popolare in una realtà di provincia. Il risultato è stato questa piacevole intervista.
Innanzitutto come e quando nasce la vostra avventura e a cosa si deve un nome così originale e unico nel panorama del calcio popolare?
Gli RFC Lions Ska nascono dieci anni fa in occasione di un mio compleanno, il 14 ottobre, con degli amici con cui vado a giocare spesso a calcetto e con i quali condividevo la mia passione per il calcio e la mia attitudine legata allo sport popolare, all’antifascismo e all’antirazzismo. Ci vedevamo sistematicamente tutte le settimane e ci si divertiva a stare insieme a giocare e proprio in quella serata espressi ad alta voce il desiderio di mettere in piedi una squadra. In quel periodo io militavo in diversi collettivi, conoscevo bene le realtà di movimento campane ma, di contro, non conoscevo alcune protagoniste dello sport popolare, come ad esempio l’Afro Napoli e la Stella Rossa.
Non abbiamo voluto scopiazzare nessuno e non ci siamo apertamente ispirati a nessuno; è nato tutto in modo spontaneo, quando mentre stavamo andando a una delle consuete partite tra amici ci siamo imbattuti in un episodio di razzismo: a un semaforo un automobilista cominciò a inveire in maniera irruenta contro un extracomunitario che vendeva fazzolettini e noi intervenimmo per sedare la discussione e mandare affanculo il tipo che rompeva i coglioni. Il venditore di fazzoletti è uno dei tanti senegalesi della nostra provincia, stringemmo subito amicizia, a tal punto da chiedergli di venire a giocare con noi; successivamente fu lui a ricambiare l’invito facendoci giocare contro quella che scoprimmo essere una realtà senegalese già presente sul territorio che non conoscevamo bene. Cominciammo a giocarci abitualmente. Di ritorno da una di queste partitelle realizzai che era giunto il momento di realizzare in una città come Caserta qualcosa di importante in grado di lasciare il segno, perché vedevo quanto lasciava il segno quel momento settimanale di svago e divertimento. Soprattutto è stato bello quando cominciammo a mischiare le squadre, così decidemmo di allestire la squadra; all’inizio non avevamo divise, quindi ci arrangiavamo e utilizzavamo il merchandising della mia band, gli RFC SKA – un gruppo ska-core che ormai esiste da più di vent’anni – per essere vestiti tutti allo stesso modo in campo, poi ci aggiungemmo il leone simbolo dell’Africa e lo ska, il genere di musica che ascoltiamo da sempre, sinonimo di antirazzismo e da questo è nato il nome.
Da lì è stato un continuo in crescendo: abbiamo incontrato in amichevole diverse realtà, prima locali, poi nazionali; abbiamo cominciato a farci conoscere partecipando a diverse iniziative, ma soprattutto durante la nostra prima partecipazione ai Mondiali Antirazzisti, addirittura alla seconda partecipazione abbiamo vinto il titolo di “miglior progetto”.
Quanto è importante il background musicale e sottoculturale nel vostro progetto?
Per noi è un completamento naturale di quello che facciamo.
2011-2022: 11 anni sono tanti soprattutto se vissuti in prima linea. Quante sono le cose cambiate in questi anni? In meglio o in peggio?
Come già accennato prima, le realtà di sport popolare con le quali siamo in contatto, sono tante, forse troppe, non riusciamo nemmeno a elencarle tutte e di questo siamo molto felici e mi auguro che con questa ripartenza si possano riallacciare nuovamente i rapporti anche dal vivo, perché gli ultimi due anni sono stati una bella botta per noi, ma penso un po’ per tutti, infatti ci siamo un po’ sfaldati dal punto di vista numerico nel collettivo, ma adesso stiamo pian piano ricostruendo in pieno il nostro background per tornare ai fasti del nostro progetto di più o meno sei, sette anni fa.
Ripercorrendo a ritroso la vostra storia ricordiamo l’impegno profuso nella campagna #wewanttoplay. Vi va di riassumerla?
La campagna #wewanttoplay ci ha dato la possibilità di dare una chance a questi ragazzi facendoli partecipare a campionati federali e da lì la sinergia con diverse altre realtà presenti non solo sul territorio campano, ma in tutta la nazione e anche europeo è stata sempre più forte.
Secondo voi la strada della creazione di una rete per combattere battaglie condivise è ancora percorribile?
Abbiamo partecipato più volte a tavole rotonde dove le diverse realtà italiane di sport popolare tentavano di creare una sorta di “federazione del calcio popolare”, ma anche per via di questi ultimi anni di Covid che non ci hanno affatto aiutato, diciamo che ancora oggi non abbiamo centrato pienamente l’obiettivo. Ci avevamo provato anche recentemente in Toscana nel settembre 2020, ma a causa della pandemia le cose sono momentaneamente scemate, ma ci crediamo ancora!
Come giudicate lo sviluppo del calcio popolare in questo decennio, quali sono stati i pregi e quali le criticità?
Come ti ho già accennato, gli ultimi due anni di pandemia hanno sparigliato le carte, nostro malgrado, quindi aspetterei la ripresa prima di tracciare un giudizio.
Cosa vuol dire intraprendere un percorso simile in un territorio come Caserta, avete avuto più difficoltà o più stimoli?
Di ritorno dall’esperienza dei Mondiali Antirazzisti ci siamo sentiti quasi come se la nostra fosse una missione che ci ha coinvolto in pieno e ci ha dato la possibilità di realizzare nella nostra città un qualcosa che non si era mai visto e che portava tante belle soddisfazioni e risultati dal punto di vista sociale, politico e di integrazione. Inoltre, la città di Caserta ci ha sempre accolto bene sin dall’inizio, idem il circuito calcistico legato alla Casertana; soprattutto all’inizio abbiamo realizzato tantissime attività in occasione delle giornate annuali della FARE (Football Against Racism in Europe, ndr), abbiamo sempre dato l’opportunità ai calciatori della Casertana (che all’epoca militava in serie D) di indossare le nostre magliette e di entrare con uno striscione in campo.
Quali sono i rapporti con gli ultras e in generale con tutta la tifoseria della Casertana?
Ci eravamo ritagliati anche uno spazio in curva in quei due campionati e portavamo in giro la nostra pezza col logo degli RFC Lions; poi abbiamo cominciato a scindere le due cose perché ci siamo resi conto che noi eravamo un’alternativa a quello che era lo sport a Caserta e la gente ce lo ha fatto capire quando ha cominciato a riempire la nostra gradinata durante i campionati di Terza categoria, soprattutto quando arrivavamo a giocare in centro città durante gli ultimi due campionati federali disputati, quando la nostra gradinata si riempiva di persone che seguivano la Casertana o che non volevano più seguire quel tipo di calcio per diversi motivi preferendogli lo sport dal basso. Continuiamo a seguire la Casertana con tanto affetto e con tanto amore, ma attualmente non esistono legami né con la società e nemmeno con la tifoseria.
Quali sono le realtà di calcio popolare con cui avete intessuto maggiori rapporti?
Tra le tante amicizie che sono nate durante questi dieci anni di attività, abbiamo instaurato ottimi rapporti con tante realtà di sport popolare italiano, entrando a tutti gli effetti in questa grande famiglia: principalmente con la SanPrecario di Padova abbiamo instaurato un felicissimo sodalizio che raggiunse il suo apice quando abbracciammo insieme la campagna #WeWantToplay che ha dato la possibilità a tanti ragazzi migranti presenti sul territorio e che facevano parte del nostro progetto (che poi è cresciuto partendo dai campionati amatoriali, per poi giungere a quelli federali della FIGC) e questa campagna ha dato la possibilità di tesserare tantissimi ragazzi sia col permesso di soggiorno che in attesa dello stesso (dopo verifica burocratica).
Quest’anno avete abbandonato i campionati federali per abbracciare altre leghe. Vi va di spiegarci questa scelta?
Attualmente stiamo partecipando a un campionato amatoriale perché non ci sono campionati federali che danno la possibilità a ragazzi minorenni migranti che in questi ultimi tempi si sono avvicinati al nostro progetto e che fanno parte di alcune onlus con le quali collaboriamo e quindi abbiamo fatto questa scelta che reputiamo saggia e oculata dal punto di visto delle “responsabilità economiche”, perché le spese sono davvero tante, ma soprattutto per la possibilità data a questi ragazzi di poter giocare senza il vincolo di tesseramento imposto dai campionati federali.
Quali sono i vostri progetti futuri?
Gli RFC Lions stanno ripartendo da poco: abbiamo festeggiato dieci anni a ottobre invitando a Caserta una squadra di una realtà fantastica quella dei Seagulls di Dublino con cui siamo gemellati; quella è stata l’unica occasione concreta durante la pandemia di vederci.
Attualmente giochiamo in un campionato amatoriale soprattutto perché – a parte che il campionato federale di Terza categoria qui non è mai partito – così avremo la possibilità di fare giocare questi ragazzi minorenni; per il futuro l’idea è quella di aggregare sempre più appassionati e appassionate, militanti e giovani in generale che vogliono giocare e interagire col nostro progetto e portare avanti la nostra lotta contro ogni genere di discriminazione nello sport. Noi in questi due anni di covid abbiamo praticamente annullato quelle che erano tutte le nostre attività. Abbiamo recentemente ripreso a giocare sia con la squadra di calcio che con quella di basket, ma lo abbiamo fatto in sordina: in questo periodo abbiamo perso lo zoccolo duro del progetto per diversi motivi (lavorativi, familiari ecc…); ma comunque ci sono della nuove leve che si stanno avvicinando al progetto e questa è una cosa molto positiva.
È il momento delle parole a ruota libera e dei saluti.
Quello che è importante è che Noi non molliamo, resistiamo da dieci anni, vogliamo continuare a resistere e lo facciamo con le nostre due realtà sportive di basket e calcio, dal punto di vista della militanza cerchiamo di essere presenti a ogni incontro e spero che prima o poi arrivi un ricambio generazionale che dia la possibilità a questo progetto di continuare a esistere e a vivere, perché la città di Caserta ne ha bisogno; abbiamo capito che fa bene a questa città l’esistenza di una realtà del genere perché costituisce una chance per davvero tante persone e per tante cose belle che nascono attorno a noi. Quindi LUNGA VITA A NOI E ALLO SPORT POPOLARE!
Giuseppe Ranieri