Conflitto è la parola che dopo oltre 50 anni contraddistingue e identifica molto bene il mondo Ultras.
Perché che vogliate o no, gli ultras, mutando sapendo negli anni mutare, sono gli unici che sono sopravvissuti a ogni cambio generazionale, storico e sociale (a differenza di partiti politici, movimenti, strutture politiche, ecc.); sopravvissuti a ogni batosta, sapendo controbattere colpo su colpo la repressione che ogni giorno subiscono da parte del potere costituito.
Che vogliate o no, chi esprime conflitto porta nelle sue istanze, istanze politiche.
Conflittualità che in molti casi è frutto di una storia sociale e culturale intrinseca nella comunità nella quale si rispecchia quotidianamente il gruppo ultras ed è questo che a mio modo di pensare emerge con molta forza dal libro Curve Pericolose scritto a quattro mani da Giuseppe Ranieri e Matthias Moretti, edito da Il Galeone Editore.
Gli autori, entrambi appartenenti al mondo ultras, attraverso un accurato studio delle vicende che compongono il libro (alla fine di ogni capitolo potete trovare i riferimenti presi che vi permetteranno di approfondire i protagonisti di ogni singolo racconto), ci portano ad esplorare ed entrare dentro a quelle espressioni di conflitto messe in atto da diverse tifoserie nei rispettivi paesi. Rabbia, rivolta, che quando è - ed è stato - necessario ha rotto i cancelli delle rispettive curve e si è riversata nelle strade, nelle piazze, riuscendo come nel caso delle rivolte arabe, le cosiddette primavere arabe, a rovesciare un sistema di potere (poi possiamo in altre sedi discutere sull'esito finale in questo caso); oppure come nel caso degli ultras del Besiktas, i Carsi, a cementare un radicamento sociale di un quartiere di Istanbul capace poi di essere avanguardia nelle lotte e mettere in discussione il sultano Erdogan.
Sono solo esempi di storie di conflitto presenti nel libro, esempi però che hanno come denominatore comune la capacità dei gruppi ultras di uscire dalle curve per portare il loro modus operandi di scontro, scelta tattica e strategica, nelle strade unendo le forze e in casi specifici seppellendo le rispettive rivalità, diventando spesso leader riconosciuti dalle comunità durante e dopo le rivolte.
Che sia chiaro ai lettori che le storie narrate sono una piccola parte di un mondo molto più vasto, pieno di sfaccettature e fatto di mille contraddizioni, ma l’importanza di questo libro è quello di far emergere come le curve, gli ultras facciano paura al potere costituito e nel loro agire siano capaci di far vacillare e far cadere decisioni societarie e far saltare governi.
Un lavoro di ricerca molto importante di tifoserie e delle loro storie, alcune per me impensabili come quella del Hapoel Tel Aviv tifoseria “rossa” nel cuore di uno stato oppressore come quello israeliano o quella del movimento ultras statunitense, all’interno del quale trova la maggior parte delle tifoserie fondate su basi antifasciste e di movimento.
Poi non possono mancare i capitoli dedicati a quelle tifoserie capaci di creare un immaginario di un altro calcio possibile nel suo insieme, come le storie di resistenza e ribellioni provenienti dalla Scozia (sponda Celtic) e il ruolo fondamentale delle tifoserie Basche nelle lotte contro lo stato spagnolo e su tutte la storia del Sankt Pauli, della sua gente e del suo quartiere.
Nella postfazione a cura di Domenico Mungo, mi ha colpito questa frase: “il calcio muterà antropologicamente solo quando non produrrà più conflitti”.
I vertici del calcio e i governi ci stanno provando a mutare il mondo del calcio e a disinnescare la conflittualità che portano gli ultras negli stadi e nelle strade, ma come sempre la capacità di mutare, di sapersi reinventare, fanno sì che gli ultras riescano a sopravvivere e spesso a rilanciare rimanendo una spina nel fianco all’ordine costituito.
Luca “Liucs” Malmusi