È la verità, Ballestracci è uno degli autori che preferiamo e del quale abbiamo recensito già dei libri, e anche in questo caso non potevamo esimerci da quello che almeno per il sottoscritto, probabilmente assurge a romanzo più completo e più bello scritto dall’autore di Castelfranco Veneto. Parliamoci chiaro, nulla da togliere ai bellissimi romanzi L'ombra del cannibale e La storia balorda, o ancora a I guardiani giusto per citarne qualcuno, ma nel mio immaginario personale questo libro si pone in cima e di prepotenza. Un libro che, come lo stesso autore ci racconta, era destinato al cassetto “ma che tuttavia si ribellava all’inazione più di altri fogli”. Un libro sotterrato, come le speranze degli italiani nel ’44 sotto le bombe degli alleati, in quel Nord Italia devastato e diviso fra la Repubblica di Salò e le schiere partigiane.
Il libro ha un triplice intento ossia quello dichiarato, che è un marchio di fabbrica dello stesso Marco: raccontare storie, e questa è una storia bellissima seppur lastricata di sofferenza; ha poi un impatto storico perché ci riporta a quei giorni nefasti dell'Italia divisa e feroce, e ci induce inoltre a ragionare come da sempre il calcio possa essere uno strumento in mano ai governanti per cercare compiacenza dei sottomessi, di qualsiasi risma essi siano. Marco Ballestracci non è solo un autore che stimo e che si porta dietro un lascito ideale immaginifico e resistente, è un autore stilisticamente ineccepibile che porta l'uomo e le sue sfaccettature dentro ogni storia e chissà, se quel Natalino ricorrente non sia un fondo una parte di lui, lo stesso Natalino protagonista di I guardiani.
Iniziamo subito nel dire che il libro come oggetto è molto bello, ha un formato agevole (è edito da Mattioli 1885) e, cosa che apprezzo sempre di più nei libri, ha una copertina azzeccata con un’esplicativa foto dei campioni dei Vigili del Fuoco di La Spezia, campioni loro malgrado, in un campionato che non fu campionato, in una vita che non è vita, dentro una guerra che invece è guerra vera e morte. Il titolo Giocare col fuoco è uno e trino: giocare sotto il fuoco dei bombardamenti, le città avvolte dal fuoco, i porti del Nord a fuoco, sorvegliati dai militi delle Brigate nere che manderesti al fuoco, giocare con dentro il fuoco, giocare con i Vigili del Fuoco, eroi benedetti, giocatori a mezzodì, Vigili del Fuoco e salva vite al pomeriggio. Squadra magnifica focosa e ribelle, umana e orgogliosa. La squadra più coraggiosa di sempre, che se Marco non avesse scritto magari qualcuno si sarebbe perso un pezzo di storia calcistica di questo paese.
Era un giusto omaggio, un lascito alla città martoriata, a chi non sa dimenticare. Anni terribili quelli, dove c'era una squadra terribile, una terribile bellezza capace battere le corazzate come il Venezia di Aldo Ballarin, oppure la grande vittoria in finale all’Arena di Milano, col Torino dei super favoriti, guidati nientepopodimeno che da Vittorio Pozzo, "oggi per voi non sarebbe un insulto perdere di tre o quattro goal di scarto” disse malauguratamente agli spezzini prima della gara, con Silvio Piola, probabilmente in quel momento il più forte giocatore di calcio del pianeta, in attacco, Mazzola e altri fenomeni. Eppur non si passa, 2 a 1 per gli spezzini, e tutti in trionfo.
La capacità di tenere dentro tutte le figure di quel contesto storico regala a tratti i toni epici al libro. Militi ignari, sfollati, giovani speranzosi, contadini, gerontocrati del redivivo Stato fascista, riciclati e buoni a nulla, i calciatori, non gente patinata come oggi ma gente che attraversa gli Appennini con un mezzo sgangherato solo per regalare gioia e spensieratezza alla gente comune, nonostante le retate dei nazifascisti a ridosso delle partite, i rocamboleschi viaggi tra i colli emiliani, i cambi di programma a seconda delle mappe dei bombardamenti alleati sulle città. E un libro da leggere che ci restituisce la straordinarietà di questo sport che come ci dicono Brera e lo stesso Ballestracci “non è mai fatto di sole pedate”.
Daniele Poma