La ventiduesima edizione della Coppa del Mondo della Fifa, in corso in queste settimane in Qatar, passerà alla storia per uno storico traguardo sportivo raggiunto sul campo. Nella piccola penisola del golfo Persico una nazionale del continente africano, il Marocco, ha raggiunto la semifinale della rassegna iridata.
Anche il Senegal di Diouf e Diop, che durante il mondiale del 2002 in Corea e Giappone fu una delle storie più raccontate di quel grande evento dai media occidentali, si fermò ai quarti di finale del torneo venendo eliminato dalla Turchia tramite lo spietato “golden gol”.
I giocatori del grande paese con capitale Rabat, invece, guidati dal tecnico Walid Regragui, in Qatar hanno compiuto un passo in più raggiungendo un match che potrebbe garantirgli l'accesso alla finalissima del torneo.
Il team marocchino, negli ottavi e nei quarti della competizione, è riuscito a eliminare due favorite per la vittoria finale del titolo come Spagna e Portogallo. Adesso il fato li farà incontrare, domani 14 dicembre 2022, con niente meno che la Francia di Didier Deschamps e di Kylian Mbappé.
Un'ennesima sfida di questa edizione della Coppa del Mondo che inevitabilmente potrebbe avere anche conseguenze extra-calcistiche. Ricordiamo, infatti, che il Marocco è stata un'importante colonia francese in Nord Africa nella prima metà del XX secolo.
Grazie a questa impresa la nazionale di Rabat è diventata la squadra del torneo “amica” della maggior parte dei media occidentali. Nonostante tutta l'operazione di elogio per i risultati sul campo dobbiamo mettere in evidenza alcuni lati del team allenato da Regragui che ci hanno fatto sorgere alcuni punti di domanda.
Già alla fine del match vinto con il Portogallo, i giocatori in campo artefici dell'impresa calcistica hanno festeggiato il loro successo. Durante i festeggiamenti, è uscita fuori una bandiera metà marocchina e metà qatariota.
Questo fatto ha simboleggiato ancora una volta la forte amicizia che esiste tra i due governi da parecchi anni e che continua a consolidarsi sempre di più. D'altronde non mancano i viaggi tra i rappresentanti politici dei due Stati. Uno dei più importanti è avvenuto ad aprile 2016 quando il re marocchino Mohammed VI si è recato in visita nel piccolo Stato del Golfo Persico a seguito del primo vertice tra Marocco e il Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) durante il quale sono state assunte una serie di posizioni unitarie rispetto a numerosi temi di carattere regionale e sulle sfide future.
I temi in cui vi è una cooperazione forte tra Rabat e Doha sono numerosi e diversi tra loro: dall’economia all’investimento passando per lo sviluppo sociale e culturale. Ma gli accordi riguardano anche campi importanti come l’energia e l’energia rinnovabile, le infrastrutture e i trasporti.
Un'amicizia tra i governi locali che l'impresa calcistica, arrivata durante la prima edizione di una Coppa del Mondo giocata in un paese arabo, ha ulteriormente rafforzato creando una sorte di “sostegno incondizionato” verso i giocatori marocchini da parte dell'intero mondo arabo. Ma le similitudini non finiscono qui.
Difatti come il Qatar ha dovuto e continua a dovere dare risposte su numerosi punti interni oscuri, che si allargano ogni giorno di più (vedasi lo scandalo del cosiddetto “Qatargate” che ha travolto alcuni esponenti dell'Europarlamento a Strasburgo), anche in Marocco c'è una questione che è ben lontana dall'essere risolta.
Dal novembre 1975, la data esatta è il 6 novembre, il governo marocchino, tramite un episodio ricordato come la “Marcia Verde”, occupa letteralmente un altro Stato: il Sahara Occidentale. In questo lembo di terra abitava da sempre un popolo, i saharawi, che chiedono, dopo la colonizzazione subita da parte della Spagna, di poter svolgere un referendum per decidere sulla loro autodeterminazione.
Su questa vicenda, nonostante la supervisione delle Nazioni Unite, non sono mai stati fatti passi in avanti. Questo stallo è dovuto in particolar modo all'ostruzionismo del governo di Rabat che si rifiuta anche solo di convocare il referendum in questione.
In questa sua presa di posizione il paese nordafricano è sostenuto da molti governi occidentali, che cercano di non parlare della vicenda saharawi. In particolare sono due gli Stati europei che appoggiano l'operato del re Mohammed VI: la Francia e la Spagna.
Questo avviene perché, ancora una volta, sono gli interessi economici a farla da padroni. Nella zone del Sahara Occidentale sono infatti presenti grandi quantità di fosfato, un minerale pregiato e molto richiesto sul mercato mondiale. Inoltre le coste davanti alla terra dei saharawi sono ancora oggi alcune delle più pescose dell'intero continente africano.
Il popolo del Sahara Occidentale, in questa lunga attesa, non è riuscito a far valere i suoi diritti e ha dovuto rifugiarsi nella vicina Algeria, in dei campi profughi vicino la città di Tindouf.
Nel corso del tempo il governo marocchino ha deciso anche la costruzione di un muro, il secondo al mondo per lunghezza dopo la sola Muraglia Cinese. Inoltre Rabat ha avuto, grazie all'appoggio dell'ex presidente americano Donald Trump arrivato a dicembre 2020, che rientrava nei cosiddetti “Accordi di Abramo”, un'ulteriore spinta a poter fare ciò che voleva in quelle terre senza tenere minimamente in conto di chi avrebbe il diritto di popolarle.
La presa di posizione dei giocatori del Marocco sulla questione è stata evidente a tutti a fine del match con il Portogallo. Durante i festeggiamenti i giocatori si sono lasciati andare al canto di un coro che va contro il popolo saharawi.
Il testo lo riporto in chiusura del pezzo: “Il Sahara è mio, i suoi fiumi sono miei e la sua terra è mia”.
Roberto Consiglio