Negli anni ’80 la Gran Bretagna fu l’epicentro di una rivoluzione – o semmai involuzione – neoliberista che portò alla disgregazione di moltissime forme di comunità, politiche e non, che sino a quel momento avevano sostenuto una pace sociale divenuta modello in tutto l’occidente. Spesso idealizzata, quella Gran Bretagna era comunque un paese fortemente razzista. Nelle istituzioni del calcio mondiale, nessuno rappresentava meglio queste contraddizioni del presidente della FIFA Stanley Rous, deposto nel 1974, quando la sua vicinanza al regime dell’apartheid Sudafricano diventò politicamente sconveniente. Fu proprio negli anni ’70 che negli stadi britannici cominciavano a emergere i primi gruppi hooligans organizzati.
Lo stile hooligan in Inghilterra nasceva nel turbinio dei movimenti sociali dell’epoca: negli anni ’70, le tensioni nel paese si configuravano in senno a una “white working class” più vicina alla cultura skinhead e bonehead e che effettivamente virava verso simpatie neofasciste. Nel 1977, il National Front, formazione politica neofascista oggi praticamente inesistente, nel collegio di Deptford, nel sud di Londra, prendeva circa il 44% dei consensi. Questa destra neofascista di strada, proprio in quell’anno, fu sconfitta nella battaglia di Lewisham da una coalizione multirazziale, socialista e antirazzista intenzionata a impedirne una marcia nel sud di Londra “contro la violenza”. Oltre a fermare la marcia, si può dire quell’evento abbia anche fermato l’ascesa politica del National Front.
Ma se l’estrema destra aveva fatto leva sui consensi della classe lavoratrice bianca e le sue paure durante gli anni ’70, negli anni ’80 fu Margaret Thatcher a servirsi delle parole d’ordine del National Front, soprattutto sull’immigrazione, per consolidare la sua base elettorale. Fu quindi inevitabile che nel 1981 avessero luogo altre rimostranze, questa volta a Brixton, sempre a sud di Londra, e in questo caso fra la comunità nera e la polizia. Il rapporto Scarman, commissionato dal parlamento di sua maestà all’indomani della rivolta, fece luce sulla discriminazione razziale in Gran Bretagna, ma ci vollero altri 18 anni, quando Stephen Lawrence fu ucciso durante un fermo di polizia, per riconoscere il razzismo istituzionale come un fenomeno strutturale.
Ma tornando all’analisi specifica del “fenomeno hooligan”, appare chiaro come la politica di Margaret Thatcher fosse più complessa: se le idee del National Front erano state cooptate dai conservatori in materia di immigrazione, dall’altro l’idea che la società in quanto tale non esistesse, secondo lo slogan più noto della lady di ferro, comportava di conseguenza una risolutezza nel reprimere qualunque forma di aggregazione. Nella prima metà degli anni ’80, la sconfitta più significativa venne inflitta, in questo senso, ai minatori organizzati e ai sindacati. Ad esempio, la brutalità poliziesca si palesò nel 1984 a Orgreave, una cittadina dello Yorkshire, contro i minatori organizzati dal leggendario Arthur Scargill.
In parallelo, la violenza degli hooligans inglesi in quegli anni raggiunse il continente europeo.
Aldilà della violenza, va aggiunto come la scena hooligan, nel frattempo, aveva diluito i suoi legami politici con la destra estrema. Quindi, pur rimanendo principalmente un riferimento della “white working class”, non è corretto definire questa scena necessariamente come un monopolio della destra o necessariamente razzista. Ma impresse nella memoria collettiva europea saranno sempre le immagini struggenti dell’Heysel, quando durante la finale di Coppa Campioni del 1985 l’attacco di un gruppo di tifosi del Liverpool provocò 39 morti tra i tifosi juventini.
Il clamore mediatico provocato dalla tragedia dell’Heysel, in Europa come in Regno Unito, fu tale da indurre le istituzioni nell’identificare tutti i tifosi di calcio, in particolare quelli inglesi, come necessariamente violenti, pericolosi, razzisti, ubriachi e poco meritevoli di compassione. Spesso l’eco di questi pregiudizi veniva amplificato dalla stampa generalista. Dopo qualche anno, questo risultò un cocktail letale durante la semifinale di FA Cup fra Liverpool e Nottingham Forrest a Hillsborough.
In quel caso, le vittime furono 97 fra i tifosi del Liverpool, schiacciati contro le transenne del vecchio stadio. Le responsabilità della polizia dello West Yorkshire sono state accertate da più di trent’anni di indagini giornalistiche e inchieste parlamentari. Il giornalista del Guardian Owen Jones, nel suo libro Chavs fa luce su come la working class, a partire dal Thatcherismo fosse stata demonizzata non solo dalla politica, ma anche dai tabloid.
Difatti, il Sun, il giorno dopo la tragedia, pubblicò una prima pagina in cui attribuiva la responsabilità dei fatti esclusivamente ai tifosi del Liverpool, descrivendo scene grottesche quanto non reali. Per quanto il libro di Owen Jones non si soffermi sul calcio, va notato come la descrizione di questa vicenda è usata in esso come esempio di demonizzazione delle classi lavoratrici.
Questo excursus storico sulla storia della società britannica prima del 1989 è necessario in quanto in Italia si è tornato nuovamente a parlare di “modello inglese”. Questa espressione è usata a sproposito come panacea alla violenza negli stadi. Di recente, Aurelio De Laurentiis ha auspicato l’introduzione della “legge Thatcher”. La legge Thatcher non esiste, come non esiste un modello inglese, dato che le soluzioni adottate dopo Hillsborough furono l’introduzione di stadi con posti esclusivamente a sedere ed economicamente inaccessibili per i più poveri. Ed è anche paradossale che in Italia si parli adesso di un modello inglese quando proprio in Inghilterra, in tempi recenti, grazie alla cooperazione virtuosa fra le società di calcio, le istituzioni e le lobby di tifosi, si stanno introducendo normative più permissive negli stadi, come il Licensed Safe Standing.
Lo storico John Foot, nel suo libro Calcio, fondamentale per comprendere la storia sociale del pallone in Italia, afferma una verità importante quando, nel definire il modello inglese rivela come esso sia uno slogan con significati diversi a seconda di chi lo pronuncia. In un certo senso, il patron del Napoli, con l’ennesimo commento arrogante e poco informato, andrebbe ringraziato, perché auspicando una legge Thatcher in realtà ha mostrato cosa si nasconde dietro il modello inglese. In breve, non esiste nessun modello inglese, esistono una serie di scelte politiche che indirizzano la gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni sportive.
Giacomo Paoloni