PRIMA IL NORD
È il tempo del trionfo per Napoli, dopo la conquista del terzo titolo della sua storia. “Lo scudetto di una città”, come lo ha definito lo scrittore Maurizio De Giovanni, ripaga un intervallo di tempo lungo 33 anni, in cui si sono alternati momenti di delusione, illusione e speranza. Il successo partenopeo del 4 maggio scorso non ha restituito però solo dignità a un popolo, ma ha posto anche un argine all’egemonia settentrionale del campionato italiano di calcio, che durava da più di due decenni. L’ultima squadra a esserci riuscita era stata la Lazio nel lontano 2000: da allora, il trend aveva ripreso una tradizione centenaria che vedeva rimbalzare, con cadenza frequente, l’assegnazione del titolo tra Milano e Torino. Non un’impresa da tutti, quindi. La mancanza di continuità nel successo delle squadre del centro sud è eloquente: su più di cento scudetti assegnati, quelli vinti nel mezzogiorno sono risibili, e i piazzamenti – salvo poche eccezioni – quasi sempre di bassa classifica. Un ritardo atavico, che affonda le sue radici nel tempo. Solo l’introduzione della carta di Viareggio da parte del fascismo (ha fatto anche cose buone cit.), infatti, estese la partecipazione al campionato a tutte le squadre della penisola, fino a quel momento, riservata alle sole città del triangolo industriale.
UNA REALTÀ SCONFORTANTE
L’analisi sullo stato di salute delle squadre del centro sud è tutt’altro che rassicurante. Se si esclude la stagione 2022/2023 – dove oltre al Napoli, sono seguite le promozioni del Frosinone, del Catanzaro e del Catania – resta ben poco da glorificare. Negli ultimi vent’anni, la partecipazione delle sole compagini del sud in serie A non ha mai raggiunto la doppia cifra in un solo campionato; toccando il picco più alto in una stagione, solamente con 5 squadre che, salvo rarissime eccezioni (il 5 posto del Palermo nel 2009/10), negli anni raramente hanno scavallato la parte destra della classifica. Questo è quanto emerge dalle statistiche degli ultimi tornei professionisti.
Oggi, la presenza delle squadre da Roma in giù nei due principali campionati del calcio italiano è impietosa: se si esclude Napoli – che soltanto con l’avvento della nuova proprietà occupa ormai stabilmente posizioni di rilievo – la massima serie annovera quest’anno solamente altre due squadre del sud Italia (Lecce e Salernitana) che cercano strenuamente di rimanere a galla nella vasca degli squali. In serie B la situazione non è dissimile. Tra le 5 squadre meridionali partecipanti al torneo, solamente il Bari (dopo l’avvento De Laurentiis), Palermo e Reggina (al fotofinish, visti i punti di penalità) si giocheranno una chance per compiere il salto di categoria. Quanto al resto, ogni anno è più una gara per la sopravvivenza.
UNA “QUESTIONE” MAI RISOLTA
Una realtà figlia certamente dei mutamenti della società, che negli ultimi 50 anni hanno stravolto l’anatomia del calcio e amplificato il divario tra nord e sud del paese. Le valutazioni annuali condotte dalla Svimez fanno emergere come poco sia cambiato da quando nel 1873, il deputato Antonio Billia per primo coniò l’espressione “Questione Meridionale”. Dai dati emerge infatti come soltanto negli ultimi vent’anni circa 1,2 milioni di giovani sia emigrato verso il centro nord, contribuendo notevolmente al processo di desertificazione, che secondo le previsioni porteranno a un inevitabile spopolamento delle aree urbane nei prossimi 30 anni. Non meno preoccupante l’analisi sullo stato di povertà che attanaglia circa 775 mila famiglie meridionali su 2 milioni totali, e di come latitino – sempre secondo le stime – circa 840 miliardi per la spesa pubblica del Sud. Una situazione che lascia poco spazio alle congetture. Programmare degli investimenti in un’area sempre più povera e spopolata è certamente un azzardo. Si può presumere quindi come il territorio costituisca un elemento di valutazione non trascurabile nella scelta imprenditoriale. Le regole del gioco sono mutate e con esse, le strategie da adottare per conseguire i risultati. Il successo, oggi, non è più perseguibile solamente tenendo conto del cospicuo bacino di spettatori di una tifoseria, ma occorrono sempre più ingenti capitali. Un motivo che induce i proprietari a scelte oculate o ad avere una certa ritrosia negli investimenti, vista l’assenza di grossi gruppi imprenditoriali nel territorio che permettano una pianificazione sostenibile nel lungo periodo. Tenere i conti in ordine sembra ormai una missione impossibile: dalla A alla B sempre più squadre del mezzogiorno stanno scomparendo dai radar, lasciando spazio soltanto alla triste realtà delle “nobili decadute”.
Pierluigi Biondo