Chi mi conosce lo sa, non è che non ami gli altri sport è che amo solo il calcio e il calcio solo e in maniera strana, vorticosa, unilaterale, struggente. “Sono un mendicante di calcio” scriveva Eduardo Galeano ed è la più calzante delle frasi.
Quindi a parlare dell’impresa storica del Basket popolare e dell’Atletico San Lorenzo, sono il meno indicato perché a malapena conosco le regole ( quelle poche che so è grazie proprio a voi) ed esulto “goool”a ogni canestro come uno scemo. Va detto che le contingenze della vita in questo anno mi hanno dato modo di assistere a una sola partita della corazzata rossoblù, forse per vedere con i miei occhi quello che a detta di molti addetti ai lavori è tra i più bravi atleti passati per via dei Sabelli, un certo basco, un colosso di Rodi nato in Euskal Herria. Poi per me solo constatazione settimanale di una vittoria dopo l’altra, una schiacciasassi, un uragano che ha dominato in lungo in largo il campionato, girone e fasi eliminatorie.
Il basket maschile arriva di gran lena in serie D dando vita a un sogno collettivo inseguito per una decade e che era il sogno sportivo e sociale di un altro mostro sacro del basket popolare, il sempre presente amato fratello Andrea Dorno.
E dato che, e chiedo venia, non avendo una contezza anche emotiva di questa lunga ed esaltante stagione lascio le parole ad alcuni dei più importanti protagonisti, militanti e artifici del granDe sogno, Antonio Dulcetti ed Emiliano Moncelsi! Parola a loro.
DP)Da dove viene questa vittoria, quanta strada ha dovuto fare? E perché il basket, perché inserirlo in un contesto popolare?
EM)La pallacanestro è un elemento presente in ogni famiglia e in ogni quartiere, in tutte le scuole c’è un campo da pallacanestro e anche negli spazi pubblici, nel verde dei parchi, quando incontro un lastrone di cemento, posso scommettere di trovare anche le due strutture in ferro che reggono i canestri ai lati del campo. I playground sono anche in mezzo ai palazzi delle borgate o delle periferie, dal Quarticciolo a Torrevecchia, diventano luoghi dove ci si può allenare, dove si costruiscono relazioni e ci si dà la possibilità di passare un pomeriggio felici e senza scazzi estranei al basket, gratis ovviamente.
AD) Parte da un’idea di due pazzi, il nostro primo coach Sergio e il primo capitano Andrea Tridico senza i quali nulla sarebbe neanche mai partita. La strada è stata lunghissima, iniziata in un campetto all’aperto, fai conto che per le partite dovevamo chiedere in prestito le panchine e i tavoli al Cinema Palazzo, e gli stessi atleti in prima persona si occupavano della parte organizzativa in modo del tutto autonomo. Il contesto era sicuramente più “amatoriale”, ma da subito penso che in quasi tutti i giocatori che hanno indossato questi colori c’è sempre stata la percezione di giocare e lottare per qualcosa di più di un campionato; si rappresentava un quartiere storico di Roma , con le sue peculiarità e la sua appartenenza, oltre a un’idea di sport partecipato, condiviso, auto-organizzato e Popolare.
DP)Che volto ha questa vittoria?
EM)Te lo descrivo come lo vedo io, sotto alcuni centimetri di trucco rosso e blu che ne spartiscono la superficie ci sta un sorriso che rischia di diventare una paresi facciale e gli occhi commossi dall’essere riusciti a mantenere la promessa fatta ad Andrea. L’inizio della stagione è stato difficile, eravamo impegnati a gestire la precarietà di un gruppo che in parte era nuovo e in parte era sfiancato dal lutto e dalla nostalgia, nelle sconfitte però abbiamo trovato la nostra forza, la difesa e la collaborazione in attacco ci hanno dato sostegno per rialzarci e, grazie all’arrivo di giocatori eccezionali e al rientro dagli infortuni, non abbiamo più smesso di vincere.
AD)I volti che mi vengono in mente sono quelli di tutti i giocatori con cui ho condiviso il campo. Chiunque è passato di qua, da ogni parte dell’Italia ma anche dalla Francia, Senegal, Spagna, Germania, ha sempre trovato un legame speciale che coltiva anche se la vita lo ha portato da San Lorenzo, e ha lasciato qualcosa a chi ha deciso di rimanere (o non è riuscito ad andare “via di qua, ma non resiste lontano da te” cit). Nello specifico però, questo va detto, la stagione ha i volti dei giocatori che sono scesi in campo quest’anno, del dirigente maximo Fabio, della nostra vice coach Lulù, e del coach Fiore, che ha compiuto in modo eccellente la parabola da giocatore ad allenatore Atletico, e quindi rappresenta anche un esempio di formazione degli allenatori provenienti dall’area atletico che sicuramente è importante.
DP)Che sapore ha questa vittoria?
EM)Ha il sapore del possibile, non una possibilità chiusa e stantia, dal sapore di sughero e muffa, ma una possibilità aperta, ariosa e fresca come la brezza, una possibilità di credere nella vittoria per tutte le squadre di tutti i settori dell’Atletico San Lorenzo, perché la sensazione non è di aver fatto qualcosa di straordinario ma qualcosa di possibile, alla portata di tutti e tutte a determinate condizioni. Non siamo noi i primi ad aver fatto soffiare questo vento, gli altri settori della polisportiva con i loro storici successi e la spinta incessante della tifoseria, hanno rappresentato la base per costruire le condizioni della vittoria, merito della squadra è di aver sempre dato il massimo in ogni occasione e di essere rimasta unita nelle difficoltà, merito dei singoli è quello di aver affrontato a testa alta ogni circostanza e di aver resistito all’impulso di affermare se stessi nei momenti più critici, l’equilibrio che abbiamo ottenuto credo si sia tradotto nel nostro gioco sul campo, spesso nelle fasi finali, riguardando la partita il giorno dopo, mi chiedevo come avessimo fatto a vincere, con tutti i nostri limiti e le dimensioni dei giocatori avversari, come era possibile? Credo fosse quell’equilibrio raggiunto faticosamente che ha permesso a molti giocatori di agire al massimo delle proprie capacità e così vincere.
AD)Ha il sapore di un lungo processo , fatto di ore sacrificate a tempo libero, amicizie amori e famiglie, fatto di scontri ma anche di pacche sulle spalle e abbracci. Fatto di tante sconfitte cocenti ma anche vittorie esaltanti.
DP)In vita mia per la prima volta ho sentito grazie a voi che qualcuno pur non essendoci c’era? Volete dirmi qualcosa?
EM)È come dici, Andrea era lì con noi ma non per merito nostro, era lì perché il suo posto è con noi, sempre. È sempre stato presente, la sua maglia era in panchina al nostro fianco, la sua famiglia è diventata la nostra, il nostro urlo (“1-2-3 Dorno” – fatto un numero incalcolabile di volte nel corso della stagione anche nei time-out) ha sostenuto costantemente il nostro gioco e la nostra volontà.
AD)Di cosa da dire su Andrea e su cosa significa per noi ce ne sarebbero da dire troppe, non basterebbe un libro. Basti pensare che Andrea era a tutti gli effetti il nostro giocatore più talentuoso(e penso uno dei più talentuosi della polisportiva), un leader della squadra anche fuori dal campo, una delle persone più legate al progetto Atletico a trecentosessanta gradi, anche e soprattutto per gli aspetti fuori dai rettangoli di gioco. E’ entrato nella storia di questi colori all’improvviso, cambiando prima il volto sportivo della squadra, con la sua innata capacità di praticare questo sport ad un livello importante, per poi affiancare l’impegno sportivo all’impegno politico ed organizzativo della polisportiva, dove portava tutto il suo entusiasmo, la sua energia straripante ma anche la sua intelligenza e capacità analitica, oltre che il suo sorriso. Tutti sappiano quanto lui avesse anche sacrificato la possibilità di giocare in categorie più importanti per vincere con questa maglia. Ognuno di noi porta dentro un ricordo di lui, perché lui era capace di regalare a tutti un pezzo di sé stesso. La ragione di tutto parte da lui, è nel suo ricordo che andremo avanti, è grazie a lui se ognuno di noi tenta di regalare la sua versione migliore agli altri dentro questo progetto.
DP)Sappiamo da dove siamo venuti, ma con voi voglio capire… dove si va?
EM)Si va a festeggiare i 10 anni dell’Atletico San Lorenzo il 24 e il 25 giugno, un po’ al Playground “Andrea Dorno e Moses Kamara” di Largo Passamonti e un po’ al Campo “Benedetto XV” dei Cavalieri di Colombo, poi questa estate dal 19 al 21 Agosto VADO E DORNO SUMMER FESTIVAL, al Palazzetto Dello Sport Avetrana. Ti dico questi appuntamenti poco sportivi perché l’Atletico San Lorenzo è anche festa e proposta sul territorio, al momento penso a questo.
AD)Il progetto Atletico cresce ogni anno a vista d’occhio, anzi possiamo aggiungere che è proprio l’idea dello sport popolare che in un momento di grande crisi culturale e identitaria di una certa area rappresenta un movimento in crescita costante. L’obiettivo è sempre essere quello di essere competitivi nei campionati federali, dove portare il nostro modello, coniugando questo all’accessibilità della pratica sportiva e , soprattutto, alla crescita del movimento nelle categorie giovanili/minibasket. Sarà difficile , anche perché gli ostacoli che la federazione pone allo sviluppo di progetti come questo è forte.
DP)Che vuol dire basket popolare a differenza di calcio popolare?
EM)Un po’ ti ho risposto prima su alcuni aspetti che rendono il basket popolare, ma credo che le differenze esistano solo nelle regole che differenziano le discipline. Vedo l’aggettivo “popolare” connesso a doppio filo allo sport e all’attività motoria, più che considerarlo culturalmente definito nei sottoinsiemi del calcio, del basket, della pallavolo o del cricket, considero lo sport popolare in quanto attività fisica necessaria al benessere psicofisico di individui, gruppi e comunità.
AD)Le differenze sono tante; è stato sicuramente difficile fare breccia nel cuore dei sostenitori, provenienti quasi tutti da esperienze legate al calcio, ma penso che con la passione e l’attaccamento siamo pian piano riusciti a far appassionare in tanti a questo sport. Sicuramente , come già ci siamo detti tante volte, il modello di polisportiva è qualcosa di speciale.
DP)Quanto è bello vincere?
EM)È bellissimo ma chissà cosa mi credevo… le cose più importanti che mi ha dato questa stagione non le avrei perse se alla fine fosse arrivata la sconfitta.
AD)La gioia che ti da una vittoria di collettivo è unica e imparagonabile; la condivisione di questa emozione con i tuoi compagni non ha eguali e la rende molto più intensa delle gioie individuali. L’unica cosa brutta è che il momento finisce, vorresti che i secondi precedenti al fischio fossero infiniti. D’altronde siamo cresciuti dicendoci che la gente come noi non perde mai, ma vincere ogni tanto non guasta.
DP)Progetti futuri?
AD) Come già anticipato il futuro viaggia sul piano sportivo federale, dove bisognerà far fronte con le difficoltà economiche che il salto di categoria e la federazione impongono, sul piano dell’accessibilità allo sport di base e soprattutto sulla crescita del movimento giovanile, la vera linfa vitale dell’Atletico.
DP)L’Atletico è per sempre così o lo immaginate diverso?
AD)Penso che come tutte le cose così complesse l’Atletico è in continua mutazione ed evoluzione, nonostante mantenga ben salde le sue radici. In questi 10 anni siamo partiti da un contesto più legato ai temi del tifo e del quartiere, che anche se presenti sono stati affiancati dal coinvolgimento in altre tematiche (penso alle tematiche di genere nello sport ad esempio). La differenza la farà comunque la capacità di intercettare i più piccoli, e quindi dalla necessità che il modello di sport che proponiamo possa rappresentare veramente un’alternativa dove trovare qualità, formazione, ma anche valori che spesso nello sport vengono accantonati nel nome del profitto e dei risultati fini a loro stessi.
Mai come adesso mi sento di sottolineare quanto sia vera la massima atletica e di come ci si senta. La vittoria è ciò che semo e ha la faccia due splendidi ragazzi rossoblù che insieme a un gruppo lacerato dal lutto ha costruito tassello dopo tassello il sogno dell’assalto al cielo. Grazie ragazzi, grazi di essere voi.
Vi voglio bene e grazie.
Daniele Poma