Giunti a questo ultimo capitolo dedicato al calcio sovietico, dopo aver tracciato una cronologia di base, aver parlato di alcuni dei club più rappresentativi della storia sportiva del calcio sovietico, ora tocca alla nazionale che è riuscita a fare una sintesi di tutto quello descritto fino a ora. La nazionale sovietica incarnò tutti i dettami dello sport socialista: pianificazione sportiva e un calcio votato alla vittoria. La parola d’ordine fu pianificazione, quindi il governo sovietico si impegnò nella costruzione di numerose strutture sportive pubbliche e questo consentì all’Urss di crescere atleti competitivi in ogni ramo sportivo.
La prima comparsa della compagine sovietica è rintracciabile intorno al 1922, all’epoca era denominata rappresentativa della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, giocando un incontro internazionale contro una selezione non ufficiale della Finlandia e vincendo 4-1. Il primo incontro ufficiale avvenne nel 1923 contro la nazionale di calcio svedese a Stoccolma. Il 1924 fu l’ultimo anno ufficiale che vide la nazionale di calcio sovietica disputare competizioni internazionali; infatti, con l’arrivo al potere di Stalin cominciò un periodo di isolamento. Stalin, vista l’ostilità del mondo occidentale nei confronti dell’Urss scelse, dopo una durissima battaglia interna all’interno del partito, di seguire la via del socialismo in un unico paese e di conseguenza lo Stato sovietico entrò in un isolamento che abbracciava ogni ramo della sua vita. Il mondo Occidentale, d’altro canto, aveva già scelto la strada intrapresa da Stalin nei confronti dell’Urss e quindi sostanzialmente la situazione non aveva subito grossi sconvolgimenti. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale e la successiva invasione del territorio russo da parte dei tedeschi, durante l’Operazione Barbarossa, anche il campionato di calcio si fermò nel nome della grande guerra patriottica. Alla fine della guerra lo schema del calcio mondiale cambiò radicalmente. Stalin, con la vittoria conseguita nella seconda guerra mondiale, decise di far uscire il paese dall’isolamento che aveva scelto anni prima e di conseguenza portò nuovamente sulla scena internazionale del calcio la nazionale del paese. L’Urss assunse questo dettame: vinta la guerra bisognava vincere anche nello sport. Per fare questo serviva organizzazione e pianificazione. Il nuovo mondo uscito dal secondo conflitto mondiale si avviava in uno scontro ideologico caratterizzato da due blocchi: Est contro Ovest. La cortina di ferro evocata da Churchill era scesa anche all’interno del mondo sportivo e caso vuole che però questo scontro coinvolse anche paesi ritenuti vicini politicamente all’Urss. Dunque, come scritto qualche riga sopra, bisognava organizzarsi e pianificare e il comitato centrale si mise subito in moto.
Ai migliori atleti venne dunque offerto il sostegno dello Stato: non professionismo, ma sussidi e furono creati gli istituti per lo sport, si prepararono gli allenatori, fu promosso il rafforzamento di strutture, impianti e tecniche: in ogni campo, dall’atletica alla ginnastica, dal pattinaggio al nuoto, dall’hockey al basket, dal sollevamento pesi al pugilato, l’URSS doveva partecipare alle competizioni, e inserire i suoi rappresentanti negli organi dirigenti delle federazioni internazionali. Il teatro dove andò in scena questo “nuovo corso sportivo sovietico” furono le Olimpiadi del 1952 a Helsinki in Finlandia. La partecipazione della nazionale di calcio sovietica a questi giochi olimpici fu la prima competizione ufficiale disputata dai sovietici che affrontarono la Jugoslavia. La sfida con la Jugoslavia conteneva al suo interno un altro valore perché dopo il grande strappo tra Stalin e Tito la partita assunse chiari toni politici, quindi, ironia della sorte il primo grande scontro sportivo non fu tra una squadra Occidentale ma una sfida tra i due sistemi socialisti. In svantaggio per 5-1 a 15 minuti dalla fine, i sovietici riuscirono a pareggiare 5-5 ma nella ripetizione dell’incontro si imposero gli jugoslavi per 3-1. Da segnalare che nella compagine slava era presente un giovanissimo Vuja Boskov che in Italia abbiamo conosciuto per aver portato la Sampdoria alla vittoria dello scudetto e per le sue mitiche frasi.
Alle Olimpiadi di Melbourne del 1956 le due squadre si affrontarono nuovamente e questa volta la vittoria andò ai sovietici. Il successo fu facilitato dal fatto che i sovietici, al pari delle altre Nazionali del blocco orientale, poterono schierare i loro miglior giocatori, sostenuti dallo Stato ma formalmente dilettanti, mentre le Nazionali dei Paesi dove il calcio era professionistico non si presentarono o schierarono veri dilettanti. Il fiore all’occhiello, per i sovietici, fu che queste Olimpiadi fecero conoscere al mondo intero il talento di un giocatore che negli a seguire diverrà uno dei simboli più popolari e amati dello sport socialista: Il ragno nero Lev Jascin che rimane tuttora l’unico portiere ad aver vinto un pallone d’oro. Dopo la vittoria olimpica, che valse il riconoscimento sportivo internazionale per i sovietici, nel mondo del calcio arrivò il primo campionato europeo. Venne istituito nel 1960 e anche in questo caso la competizione calcistica assunse forti toni politici a causa della guerra fredda che mise nuovamente contro Ovest e Est ma ironia della sorte, come nelle precedenti Olimpiadi, furono le squadre del blocco comunista a dominare la competizione. La nazionale sovietica era guidata da Jascin e nei quarti di finale fu chiamata ad affrontare un’altra sfida politico-calcistica molto spinosa contro la Spagna di Franco. La Partita non si svolse perché Franco, dopo un’iniziale titubanza, decise di ritirare la squadra consegnando la vittoria a tavolino ai sovietici. Ma perché questa decisione?
La formula dei campionati europei del 1960 prevedeva partite di andata e ritorno nelle rispettive nazioni e in virtù di questa cosa, Franco temeva l’effetto della venuta sovietica su gruppi di opposizione clandestini e sulla popolazione stessa, di conseguenza la paura più grande era quella di avere gli spalti dello stadio pieni di bandiere rosse. In semifinale la squadra sovietica superò per 3-0 la quotata Cecoslovacchia, guadagnandosi la finale contro la Jugoslavia, come alle Olimpiadi di quattro anni prima. I tempi regolamentari finirono 1-1 e nei supplementari grazie al gol Ponedelnik che regalò la vittoria ai sovietici. Con questa vittoria si realizzarono i maggiori timori del blocco Occidentale perché la popolarità della nazionale sovietica, di alcuni suoi giocatori, coinvolse tutti i comunisti e appassionati di calcio d’Occidente. Con questa vittoria, l’Urss, si consolidò come ai vertici del calcio mondiale e nonostante le ottime prestazioni nei successivi Europei e Mondiali, arrivando sempre tra le prime quattro squadre, non riuscì più a ripetere il successo del 1960. La nazionale sovietica, nel corso della sua storia, è riuscita a incarnare in tutto e per tutto quello che era lo spirito calcistico sovietico e ad aiutare ancor di più questo mito furono i suoi giocatori più importanti come Igor Netto, Alexandar “lo Zar” Zavarov, Valerij Voronin, Oleksij Mykhaylychenko e Oleh Blochin considerato il più grande giocatore russo dopo Jascin. Una menzione speciale per Vasilis Chadzipanagis, conosciuto come il “Maradona greco”, figlio di esuli comunisti greci che dopo la sconfitta dei partigiani greci nel 1949 emigrarono in Uzbekistan, dove Vasilis si formò calcisticamente e i dirigenti della federazione calcistica sovietica resosi conto del grande talento del giovane greco fecero di tutto per portarlo a giocare nella nazionale sovietica. In Unione Sovietica, le leggi governative erano molto rigide e imponevano che ogni tesserato sportivo possedesse il passaporto sovietico, i genitori del ragazzo, dopo una lunga riflessione, si decisero e acconsentirono alla possibilità della cittadinanza sovietica per il figlio. Un fatto che fu un’autentica novità nel mondo del calcio dell’Urss, sia dal punto di vista burocratico e sia da quello sportivo. Vasilis entrò nella storia dello sport sovietico perché fu anche il primo giocatore non sovietico a vestire la maglia della nazionale under 21 in occasione delle partite di qualificazione delle Olimpiadi di Montreal. Una vicenda che rappresenta al meglio il concetto di sovietismo all’interno del mondo sportivo dell’Est.
Marvin Trinca