A Parma, capitale del gusto e città del benessere rivendicato come marchio di fabbrica, esiste da tredici anni una realtà di calcio popolare che nel tempo è stata capace d’intrecciare i suoi destini con quelli di un quartiere popolare e multietnico come l’Oltretorrente, a storica vocazione antifascista e collocato a ridosso delle mura che racchiudono lo scenografico centro dell’antica città ducale.
È nel 2010 che infatti nasce, durante una festa multiculturale e grazie agli sforzi di un collettivo universitario ad alto tasso di fuori-sede, il La Paz Antiracist Football club, con lo scopo primario di permettere a rifugiati e richiedenti asilo impossibilitati a tesserarsi con la FIGC di giocare a pallone in maniera agonistica anche se amatoriale. Un progetto che sin da subito beneficia della sintonia con l’Artlab, centro sociale costituitosi nel quartiere dopo un’occupazione che nel 2011 recupera degli stabili abbandonati di proprietà dell’università e li riutilizza andando incontro ai bisogni abitativi e anche socio-ricreativi del quartiere.
Il nome della squadra non colga però in inganno: non si tratta di un generico richiamo alla pace universale, ma bensì del cognome del primo giocatore di colore che abbia mai calcato i campi della serie A: Roberto Luis La Paz, uruguagio, che dal 1947 al 1949 indossò la casacca del Napoli.
L’esordio nella lega UISP risale alla stagione 2010/11, con una squadra ad alta componente afgana.
“Inizialmente ci allenavamo in un parco accanto a un impianto sportivo, per sfruttare le luci – racconta Andrea Scannavino, uno dei fondatori della prima ora del progetto La Paz –, poi gradualmente ci siamo strutturati, anche grazie agli ottimi rapporti con il Ciak, l’associazione che si occupa della gestione di alcuni CAS e dell’ex Spar. Squadra mista fin dall’inizio, con grande turnover. Però attraverso la partecipazione si entrava in una rete: chi trovava casa, chi trovava lavoro, e così la squadra diventava un capitale sociale a cui tutti potevano attingere per migliorare le proprie condizioni. Una dinamica di cui lo sport era propulsore in quanto fattore capace di abbattere barriere linguistiche e sociali, ma che si estendeva a diversi ambiti delle vite individuali”.
E come sempre succede con le squadre di calcio, il potere aggregatore per manifestarsi ha bisogno di tifosi: “All’inizio erano solo i membri del collettivo, poi amici, amici di amici e da lì siamo diventati occasione di aggregazione e partecipazione per tutti. Abbiamo stretto legami con i locali che operano nel quartiere Oltretorrente – un quartiere popolare con un’identità storicamente antifascista e una composizione sociale decisamente multiculturale – e ci siamo radicati nel territorio con un’identità apertamente schierata”.
Sportivamente, l’anno della svolta è il 2016, quando dopo 6 stagioni consecutive chiuse all’ultimo posto in classifica, il La Paz vince il campionato e viene promosso in seconda categoria. “La promozione ha aumentato la nostra consapevolezza circa l’aspetto sportivo oltre che quello sociale, soprattutto riguardo all’immenso potenziale offerto dal metodo dell’autoorganizzazione”.
Oggi la realtà del club include anche una squadra di calcio a 11, una squadra di calcio a 7 formata da MSNA – minori stranieri non accompagnati – una squadra giovanile inizialmente under13 e oggi arrivati all’under18 e una squadra di calcio a 5 femminile.
“Da qualche giorno – m’informa Andrea – abbiamo aperto anche al cicloturismo e allo yoga, e in programma c’è una squadra di calcio under 10, per lavorare con i bambini e le bambine più piccoli. Questo sarà possibile perché finalmente abbiamo ottenuto la gestione di un impianto sportivo, condivisa con l’UISP e la cooperativa sociale Cigno Verde. Impianto che abbiamo intitolato a Mauro Valeri, psicoterapeuta e sociologo pioniere nelle tematiche dello sport come strumento utile a combattere la discriminazione. Era spesso presente alle nostre iniziative ed è stato proprio lui a fornirci le prime notizie su Roberto Luis La Paz”.
Negli anni, molti giocatori sono passati tra le file del La Paz, talvolta anche mostrando talenti capaci di raggiungere il tesseramento in categorie FGCI, sebbene a stipendi molto bassi. Non sono mancati casi di ragazzi che si sono guadagnati la convocazione nelle giovanili del Parma, ma spesso intervenivano problemi con il tesseramento, per via dei documenti, che vanificavano occasioni irripetibili, generando anche momenti depressivi importanti nella vita dei giovani calciatori – vedersi sfilare davanti agli occhi il famoso treno che passa una volta sola nella vita a causa di lentezze e impedimenti burocratici può avere effetti letali sulla psiche umana.
In ogni caso, ci dice Andrea, nella difficile e precaria dimensione migratoria, i rapporti umani resistono al tempo e con molti di loro le relazioni continuano al di là delle carriere sportive.
“Al momento abbiamo un direttivo di una quindicina di persone, con almeno un rappresentante di ogni squadra. Il metodo è in ogni caso sempre collettivistico, sulle modalità adottate dall’Artlab, il centro sociale nato nel 2011 e la cui storia s’intreccia con quella del La Paz: un’occupazione che nel tempo si è allargata a spazi adiacenti, fornendo sostegno abitativo a molte famiglie disagiate grazie anche all’operato della Rete Diritti in Casa. In ogni caso, è innegabile che la squadra abbia beneficiato delle molte esperienze di occupazioni vissute in tempi recenti nel quartiere”.
Quali sono gli obbiettivi per il futuro, è la rituale ultima domanda che pongo ad Andrea.
“Continuare a far crescere il progetto, perché ci permette di fare politica dal basso nella maniera in cui crediamo: quest’anno siamo arrivati terzi, quindi abbiamo ottenuto la promozione in Prima categoria, e chissà che un giorno non si possa mirare a un campionato FGCI.
Ma primariamente quello che davvero ci preme è lavorare con i bambini e gli adolescenti, continuando a sostenere il loro bisogno di sport e di socialità.
E poi, tra i desideri in sospeso, c’è un viaggio a Buenos Aires, dove vive il nipote di Roberto Luis La Paz. Ha scoperto della nostra esistenza attraverso internet e ci ha scritto per informarci che suo nonno è scomparso da poco, ma ci ha invitato tutti ad andare a visitare lui e la tomba del nonno, felice che il suo nome sopravviva in un progetto come il nostro.”
Carlo Miccio