La storia di questo paese, nonostante il mito revisionista che non accenna a sparire degli “italiani brava gente”, è fatta di pochi momenti da ricordare. Uno di questi resta sicuramente, almeno a parere di chi scrive, quello legato al periodo della Resistenza italiana cominciato l’8 settembre 1943, dopo la firma dell’armistizio con le truppe anglo-americane, e conclusosi il 25 aprile 1945.
In questi quasi due anni di lotta contro gli occupanti nazi-fascisti vi sono, a loro volta, alcuni eventi che hanno segnato la storia della Resistenza italiana durante il secondo conflitto mondiale. Uno di questi cominciò, il 28 settembre 1943, presso la Masseria Pagliarone, nel quartiere Vomero di Napoli.
Il capoluogo campano, come il resto dell’Italia, aveva dovuto subire l’invasione delle truppe tedesche, dopo la fuga del re e dello stato maggiore italiano del tempo, nei primi giorni di settembre di quell’anno. Napoli era un punto strategico per i nazisti: la sua vicinanza con il golfo di Salerno, teatro dello sbarco alleato del 9 settembre 1943, rendevano la città un luogo da difendere a tutti i costi.
Gli occupanti provenienti da Berlino, con la collaborazione dei fascisti italiani, cominciarono ad attuare una dura repressione per le strade del capoluogo campano contro chiunque si opponesse alle loro direttive repressive. Per questo motivo presero il via una serie di azioni di sabotaggio popolari che culminarono con la rivolta vera e propria iniziata la mattina del 28 settembre.
La rivolta, a cui presero parte circa 2000 insorti, fu violenta ma anche estremamente efficace. Già la sera del 30 settembre il generale Scholl, a cui era stato affidato il controllo della città per conto dei nazisti, fu costretto a fuggire.
La mattina dopo, quando gli Alleati arrivano sotto al Vesuvio, Napoli era già stata liberata. Questo fu l’unico esempio di un centro abitato, durante la Seconda Guerra Mondiale, a essersi liberato dagli occupanti nazi-fascisti grazie solamente alla resistenza messa in atto dalla popolazione locale.
Tra i napoletani che presero parte all’insurrezione vi erano persone di tutte le età, sia donne che uomini. Fondamentale fu però il contributo dei giovani napoletani, che la storia descrisse con il termine “scugnizzi”.
Uno di questi giovani partigiani che prese parte all’insurrezione fu Vincenzo Leone. Nato nel 1929 a via Belvedere nel quartiere Vomero, a pochi metri dalla sovracitata Masseria Pagliarone, a questa figura è stata dedicata nel 2013 una palestra popolare nella centralissima via Mezzocannone, presso lo spazio occupato denominato Mensa Occupata.
Pochi giorni fa, in vista degli 80 anni delle Quattro Giornate, abbiamo avuto il piacere di intervistare le attiviste e gli attivisti della stessa palestra popolare per farci spiegare chi fosse questa figura. A loro abbiamo chiesto, per cominciare, cosa ha rappresentato l’insurrezione popolare contro i nazi-fascisti per la storia della città.
La risposta ci ha fatto capire che ciò che accadde in quelle ore è ancora oggi ben presente nel tessuto sociale della città visto che “nella città di Napoli già da piccoli si può venire a conoscenza delle Quattro giornate anche grazie a un dialetto che ne conserva ancora le tracce, oppure nei casi più fortunati attraverso racconti dei nonni. Ed è in questo modo che ragazzini di tutte le età partecipano a questo processo di memoria collettiva, elaborando inconsciamente l’immagine di una grande rivolta popolare che, eroicamente, è stata capace di liberarsi dal ‘nemico cattivo’. Crescendo, si scopre poi che ai popoli in rivolta non spetta un’eguale narrazione e si comincia a subodorare un diverso tipo di razzismo, volto a svilire le ragioni politiche di un popolo che è insorto: come il mainstream, infatti, che giorno per giorno tende a fornire un’immagine dicotomica di questa città (da un lato pare in mano alla camorra, dall’altro avvolta da un bisogno impellente di emancipazione attraverso pizza e mandolini), allo stesso modo quando si discute delle quattro giornate si percepisce una grettezza di analisi per certi versi identica. C’è chi sostiene che senza gli ‘alleati’ alle porte la città non sarebbe insorta oppure chi ritiene una ‘sciocchezza’ storica la cacciata dei nazisti da parte dei Lazzari. Certo nessuno vuole negare che gli eventi ‘esterni’ influenzino quelli ‘interni’, ma porli come causa diretta è recidere ogni tentativo di capire le quattro giornate. In egual modo, se è un fatto storico la cacciata dei nazisti in ogni caso prima degli ‘alleati’, esso sarebbe stato impossibile senza una sedimentata trama organizzativa capace di intrecciarsi alla rabbia di una città che voleva saldare il proprio conto con i fascisti”.
Purtroppo come ogni evento storico di rispetto, non certo da paragonare a esempi di chiaro revisionismo come le Foibe, anche per la rivolta napoletana del settembre 1943, proseguono i compagni della palestra popolare di Via Mezzocannone, “quando si ha a che fare con una materia così complessa come la storia, i toni polemici servono ad alzare polveroni per nascondere interessi più profondi, ma a combattere nelle strade c’erano gente comune, partigiani e antifascisti di ogni colore politico. Non è un caso che uno dei simboli di queste giornate sia stata proprio Maddalena Cerasuolo. Una donna che, armata, partecipa alle battaglie di vico Trone ed è presente nel gruppo che impedisce ai nazisti di far saltare il Ponte della Sanità. Un’immagine che si scontra inevitabilmente con le ombre del pregiudizio e che si distacca paradossalmente anche con quella ‘classica’ delle staffette partigiane. Un simbolo che come tale rappresenta la migliore sintesi di un miscuglio di anime così diverse. Napoli è una città davvero complessa, che porta il peso delle dominazioni di un passato non affatto lontano e di un economia purtroppo non sorta dalla ‘lotta dei Comuni’ del nord Italia. Ha una storia per certi versi in stile sudamericano, segnata da strappi economici capaci di alternare grandi investimenti a processi di desertificazione del territorio.
Cosa rappresentano, dunque, le Quattro giornate per una città come Napoli non è una domanda facile e non vogliamo peccare di saccenteria né semplificare la complessità di questo evento, ma riteniamo che, al di là di qualsiasi disputa storica o storiografica, nessuno potrà mai capirle, senza conoscere le intime peculiarità di questa città, la sua capacità di organizzarsi, i suoi modi di ribellarsi e di resistere fino allo stremo, e senza capire che la rabbia può percorrere anche altre strade, prima di eruttare”.
Tra tutte le figure che hanno preso parte a quegli eventi è stato deciso di dedicare la palestra popolare alla figura di Vincenzo Leone che, nel corso della sua carriera da poeta, scrisse numerose poesie dedicate all’insurrezione popolare (celebri a tal proposito restano le sue due raccolte Mai un sorriso e Gioco D’amore).
Ma perché proprio a questa figura, venuta a mancare nei primi mesi del 2010 a quasi 80 anni di età, è stata intitolata una luogo di sport e aggregazione sociale? Sicuramente per il suo impegno sociale e politico che ha portato avanti anche una volta terminato il secondo conflitto mondiale.
Come ci spiegano i ragazzi della palestra, infatti, Vincenzo Leone “da scugnizzo di 13 anni che si è ritrovato per strada a cacciare via i fascisti, è cresciuto formando la sua coscienza politica e continuando a militare fino alla fine dei suoi giorni nei picchetti antisfratto, a Marsiglia in pullman per la Palestina, al Global forum di Napoli, al G8 di Genova tra cariche e lacrimogeni, ed è stato al nostro fianco nella lotta contro l’apertura di Casa Pound nel quartiere di Materdei nel 2009. Alcuni di noi hanno avuto il piacere di conoscerlo a Medaglie d’oro, piazza attraversata da centinaia di giovani, lavoratorx e anzianx lasciata completamente in uno stato di abbandono, dove lui era sempre presente in un percorso chiamato ‘Riprendiamoci le strade’ che riguardava il recupero dei giardinetti e dei campetti per fare sport (bocce, basket, ping pong, calcetto)”.
In conclusione le compagne e i compagni napoletani, che ringrazio vivamente per l’intervista che mi hanno concesso, hanno mandato alcune frasi di una poesia dello stesso Leone che pubblico in chiusura dell’articolo: “Quanne nuie distruggimme chistu guverne/quanne ’a terra sa piglia chi ‘a fatica/quanne e frutte vanno a tutt’ a gente/soltant allor j’ vac ’a faticà”.
Roberto Consiglio