Il prossimo 7 ottobre sarà passato un anno dall’inizio della guerra a Gaza condotta dal governo di Tel Aviv. L’operazione dell’esercito sionista, che sta attuando un vero e proprio genocidio, non ha risparmiato niente e nessuno.
Oltre ai più di 40 mila morti palestinesi lasciati sul campo, i soldati israeliani stanno distruggendo anche numerose strutture fondamentali per una sopravvivenza della popolazione di Gaza e della Cisgiordania. Dalle condutture per l’approvvigionamento dell’acqua potabile fino alle autostrade, passando per gli ospedali che così non hanno la possibilità di prestare soccorso ai numerosi civili feriti, la terra di Palestina sta subendo una vera e propria distruzione a 360 gradi.
Nonostante questo l’Occidente non sta facendo nulla per fermare il massacro, anzi. Da una parte e dall’altra dell’Oceano Atlantico, si continua a sostenere senza se e senza ma l’esercito sionista. Numerose sono state le prove di questo appoggio incondizionato: la più importante si è svolta lo scorso 24 luglio quando il premier di Tel Aviv, Benjamin Netanyahu, ha tenuto un acceso e guerrafondaio discorso presso Capitol Hill (la sede del Congresso americano, ndr) a Washington D.C.
Anche da un punto di vista sportivo vi è una chiara presa di posizione da parte dei massimi organi mondiali: dal Cio fino alla Fifa. Alla nazionale israeliana, ad esempio, è stato concesso di partecipare senza alcun problema alle Olimpiadi che si sono tenute poche settimane fa a Parigi.
Così facendo si è andato contro uno dei concetti base della competizione a cinque cerchi: il fatto che durante questo evento, già dalle edizioni dell’antica Grecia, non ci dovessero essere conflitti in corso a livello globale.
Lo stesso tentennamento nei confronti di Tel Aviv è avvenuto in quello che riguarda il campo calcistico mondiale. A 11 mesi dall’inizio del genocidio, infatti, alla nazionale israeliana, e alle squadre di club di quel paese, è ancora concesso disputare incontri a livello internazionale.
Tutto questo nonostante, dall’inizio del genocidio, le truppe di Tel Aviv abbiamo ucciso ben 231 calciatori palestinesi, tra cui 66 bambini della locale accademia di calcio. Ma questo non basta.
Oltre al danno poi, vi è pure la beffa. Durante i match di Israele infatti vengono prese eccezionali misure di sicurezza e non è permesso a nessun simbolo che richiami la questione palestinese di entrare negli stadi.
Lo stesso purtroppo non avviene contro chi contesta Israele da un punto di vista puramente antisemita. I fatti dei tifosi italiani a Budapest del 9 settembre scorso, match giocatosi su campo neutro dato che la nazionale israeliana non disputa le partite casalinghe nel suo paese per questioni di sicurezza, lasciano ben pochi dubbi al riguardo.
La Fifa, invece, sta continuando a rimandare la decisione su cosa fare al riguardo. Un atteggiamento molto differente rispetto a quello avuto nei confronti di Russia e Bielorussia dopo lo scoppio della guerra in Ucraina del febbraio 2022.
Pochi giorni dopo l’inizio dell’offensiva, le squadre di Mosca e Minsk furono espulse da ogni competizione calcistica sia di nazionali che di squadre di club. Vedendo questo diverso atteggiamento, a chi scrive, viene il sospetto di un vero e proprio doppiogiochismo su tematiche così delicate.
Per fortuna non si può fare di tutta l’erba un fascio. Vi sono infatti organizzazioni dal basso che cercano, nonostante le numerose e continue difficoltà, di portare avanti le rivendicazioni della popolazione della Striscia.
E per farlo gli si presenta un’occasione parecchio importante. La sera del prossimo 14 ottobre, presso l’impianto calcistico della città friuliana di Udine, si terrà l’incontro di calcio tra la nazionale italiana e quella israeliana per la partita valevole per il girone di Nations League.
Proprio in quello stesso giorno si svolgerà, per le strade della medesima città, un corteo a sostegno del popolo di Gaza e della Cisgiordania. A convocare la manifestazione, che vede il suo concentramento alle ore 17 presso piazza della Repubblica, è stato il locale comitato per la Palestina assieme ad altre tre realtà vicine alla medesima causa: Salaam Ragazzi dell’Olivo, la Comunità Palestinese del Veneto e del Friuli e i Giovani Palestinesi del Friuli Venezia Giulia.
Pochi giorni fa abbiamo avuto il piacere di confrontarci con lo stesso Comitato in vista di questo importante appuntamento che cadrà a una settimana dal primo anniversario dei fatti del 7 ottobre 2023.
Questa stessa organizzazione, ci spiegano, è nata con un intento ben preciso: far sì che anche il locale ateneo prendesse posizione contro lo stato di Israele il quale “già da più di sei mesi stava commettendo quello che è chiaramente un genocidio a Gaza, e al contempo smuovere le coscienze della popolazione udinese e friulana”. Non è che prima non si pensasse al modo in cui, dalle parti di Tel Aviv, trattavano la popolazione palestinese ma dal 7 ottobre la presa di posizione doveva diventare ancora più marcata.
L’inizio del genocidio, spiegano dal Comitato, “ci ha spinti a prendere posizioni più significative: non potevamo permetterci di non agire laddove avevamo la forza di cambiare qualcosa. Anche le occupazioni di altre università in altre città del mondo sono servite come fonte d’ispirazione e da catalizzatore”. E questo ha funzionato visto che, con il passare delle settimane e dei mesi, “il Comitato ha portato la lotta dall’università al Comune e ha coinvolto persone di altri settori, al di fuori della comunità accademica”.
La protesta del 14 ottobre ha lo scopo di far vedere la vera natura dello stato sionista che, negli ultimi tempi, per ripulire la sua immagine sta usando numerosi metodi: dai festival musicali come l’Eurovision fino alle sovra-citate Olimpiadi parigine.
Come ci spiegano dal Comitato pro Palestina “il calcio è considerato uno degli strumenti migliori a questo scopo”. Per questo siamo costretti a rispondere alla presenza della delegazione calcistica israeliana per un evento del genere che non deve passare sotto silenzio.
In particolare, in quella giornata di lotta, si punterà a due obiettivi in particolare. Da un lato, infatti, si vuole mettere in chiaro che “che una larga fetta della popolazione è più che consapevole delle atrocità che Israele ha commesso e sta commettendo, e che non crede più alle sue strategie di lavaggio dell’immagine”. Dall’altro si punta a evidenziare come alcuni calciatori della squadra sionista “hanno pubblicamente incoraggiato le forze di occupazione israeliane in rete e hanno auspicato la distruzione totale di Gaza, che i genocidari, siano essi collaboratori attivi, propagandisti o individui che con la loro passività lo permettono, non sono i benvenuti nelle nostre città”.
Ma su quali basi, secondo il comitato intervistato, lo stato sionista dovrebbe essere bandito da ogni manifestazione sportiva? Dagli appartenenti all’organizzazione si risponde mettendo subito in chiaro che “il boicottaggio dell’entità sionista di Israele dovrebbe essere forte e ambizioso come il boicottaggio del Sudafrica durante gli anni dell’Apartheid. Non si tratta solo di boicottare la sua nazionale di calcio maschile, ma assolutamente tutto ciò che può servire a Israele per continuare la sua politica criminale contro i nativi palestinesi”.
Questo perché “si dice spesso che lo sport è neutrale, un punto d’incontro che unisce persone e culture. Sappiamo che lo sport non è affatto neutrale. Almeno ai livelli di competizione d’élite. Basta guardare, per esempio, il bilancio delle vittime della Coppa del Mondo in Qatar”. Inoltre, all’interno del Comitato Palestina, ci si chiede “chi vorrebbe avvicinarsi a un’entità che ha apertamente riconosciuto, attraverso i suoi rappresentanti governativi, di essere interessata a perpetuare la pulizia etnica, che ha ostentato la sua brutalità e ha lanciato un discorso disumanizzante per giustificare il genocidio sia all’interno del proprio stato che nei confronti dei suoi alleati occidentali. Inoltre, un giocatore di calcio non può far parte della squadra nazionale israeliana se non ha completato i tre anni di servizio militare obbligatorio. In altre parole, i rappresentanti della nazionale israeliana hanno partecipato attivamente all’occupazione di Palestina, Libano e Siria”.
L’espulsione dei sionisti da ogni competizione sarebbe, insomma, una dimostrazione che anche gli alleati storici di Israele “hanno deciso di ritirare il loro sostegno”. Il Comitato friuliano però mette ben in evidenza come sia “triste che ci sia bisogno di tali misure per fermare 75 anni di occupazione, pulizia etnica e violazioni dei diritti umani”. Se poi anche tale decisione non sarebbe sufficiente a far capire al governo di Tel Aviv la natura delle sue azioni “allora serve solo a dimostrare loro che altrimenti l’unico futuro che attende lo Stato di Israele è quello di diventare uno Stato paria. Crediamo che tali azioni contribuirebbero anche ad aumentare la tensione sociale all’interno del Paese, che potrebbe portare alla caduta del regime”.
Chi scrive trova particolarmente grave il diverso trattamento riservato agli atleti russi e bielorussi rispetto a quelli israeliani. Per il comitato, invece, non c’è nulla di nuovo visto che “Israele è un membro essenziale del campo imperialista di cui fanno parte l’Unione Europea, che controlla economicamente e politicamente la Fifa (e il Comitato Olimpico). Dopo tutto, Israele è un progetto coloniale nato in Europa, che ha cercato di saldare un debito storico con la popolazione ebraica. Il debito, ovviamente, non sarebbe stato pagato dall’Europa. Piuttosto, sarebbe stato imposto alla popolazione indigena della Palestina”.
La Russia invece, prosegue il Comitato, “è un concorrente naturale e storico del campo imperialista guidato dagli Stati Uniti. Per questo motivo la reazione all’invasione dell’Ucraina è stata immediata, radicale com’è giusto che sia. Ma ora vediamo che le motivazioni non erano, come si sosteneva, morali. Non lo sono affatto. I morti, i passaggi di frontiera con i carri armati, il lancio massiccio di bombe non interessano. Se fosse questo ciò che conta, la comunità internazionale avrebbe agito in blocco contro l’entità sionista molti anni fa. Ciò che conta davvero è che l’Occidente si assicuri l’esistenza e il controllo del suo progetto colonialista in Medio Oriente”.
In chiusura della chiacchierata chiediamo al Comitato per la Palestina di Udine cosa si aspetta per il futuro. La risposta che ci hanno dato la riportiamo per intero: “Abbiamo iniziato a essere più ottimisti che pessimisti. Abbiamo visto come negli ultimi anni sempre più persone siano in grado di alzare la voce e condannare i crimini dell’entità sionista senza paura. I discorsi infantili che accusano di antisemitismo coloro che si battono per la Palestina hanno sempre meno effetto. Gli argomenti dell’avversario cominciano a venir meno, la sua propaganda è evidentemente debole, quasi stupida, e viene accolta bene solo da chi è disposto a farsi convincere che Israele sta facendo la cosa giusta. Ma sono sempre meno. Il boicottaggio totale succederà”.
Ringraziamo di cuore l’organizzazione pro popolo palestinese per il tempo e l’intervista concessaci.
Roberto Consiglio