Insegnando italiano in una scuola media, tendenzialmente ci tengo affinché ogni tematica venga argomentata in maniera meticolosa, quasi maniacale; eppure, alla classica domanda “Perché leggere questo libro?” non mi viene in mente nessuna risposta più esaustiva di “Perché è davvero figo, da qualsiasi angolazione lo si voglia vedere!”.
Proprio così, la pregevole pubblicazione di Giordano Merlicco, Una passione balcanica. Calcio e politica nell’ex Jugoslavia dall’era socialista ai giorni nostri (edizione Besa Muci) – che si può avvalere di una prefazione d’eccezione, nientepopodimeno che del “Genio” Dejan Savicevic – sprigiona davvero passione da tutti i pori e riesce a legare in maniera impeccabile, col piglio del ricercatore e con la voracità dell’appassionatole vicende storiche che portarono alla tragica e ingloriosa fine della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, con quelle dei suoi club principali e di conseguenza con lo sviluppo del movimento ultras balcanico, dalla fase embrionale fino ai giorni nostri.
I punti di forza sono molteplici, dal lato tecnico “tecnico” è principalmente la varietà di fonti finora inedita nei lavori analoghi, ma soprattutto a fare la differenza sono le proposte interpretative che non esitano a discostarsi da quello che ormai è ormai diventato un canovaccio “classico” trito e ritrito che ormai chi si è approcciato con l’argomento conosce quasi a menadito e che si è sedimentato nella memoria a tal punto da “trasformarsi” da solo in storia. In tal senso probabilmente l’apice è rappresentato dall’analisi (meticolosa e incrociata) della “battaglia del Maksimir” del 13 maggio 1990 tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa e del celeberrimo calcio di Boban, quale momento catartico dell’implosione jugoslava, probabilmente sovraccaricata eccessivamente di valore simbolico a tal punto da trasfigurarne i reali contorni storici (in quest’ottica appare molto indicativo con un’altra partita simbolica ma poco “reclamizzata”, Hajduk Spalato - Partizan Belgrado del settembre successivo), pur di piegare la fattualità degli eventi alle esigenze della rispettiva propaganda nazionalistica. Inoltre, l’autore non rinuncia a lasciarsi andare in considerazioni personali (secondo il sottoscritto condivisibili in toto) sull’eccessivo depauperamento di tutta quella fucina di talenti che era il calcio jugoslavo dopo la disintegrazione della creatura del Maresciallo Tito che è sotto gli occhi di tutti e riappare in maniera impietosa puntualmente dopo ogni turno delle coppe europee.
Ma già dall’inizio di quest’esposizione Merlicco dimostra di avere una grande padronanza dell’argomento, a partire dall’individuazione del valore simbolico (e non solo) dello sport quale pilastro per la realizzazione dell’uomo nuovo socialista e di come esso sia stato protagonista anche durante l’epopea partigiana (allo stesso modo, viene anche ricostruito il ruolo opposto soprattutto in Croazia dove esso si rivelerà fondamentale quasi mezzo secolo dopo nell’affermazione dell’indipendenza di questo Paese), tanto da fare diventare il calcio, ma soprattutto le squadre che lo praticavano, parte integrante dell’essenza comunitaria, fino al naturale sconfinamento in quelle prime e pioneristiche forme di supporto organizzato che diventeranno – arrivando ai giorni nostri – alcune delle top firm del vecchio Continente.
Proprio la ricostruzione dell’evoluzione dei gruppi ultras e delle vicende di alcuni loro leader traccia un solco tra questa e altre pubblicazioni sul medesimo argomento fino a proporre tesi molto forti e scomode che sembrano illuminanti, come ad esempio, la controversa ascesa presso la tifoseria della Stella Rossa di Zeljko Raznatovic, la “Tigre Arkan”, quasi come catapultato al posto giusto nel momento giusto (e come – si lascia intendere in quest’opera – con gli agganci giusti) e poi altrettanto repentinamente eclissatosi; la “politicizzazione” dei Bad Blue Boys di Zagabria e il loro rapporto di amore e odio con l’HDZ il partito di Franjo Tudjman che aveva pensato di trasformare la Dinamo nel suo giocattolino porta-consenso salvo dover testare egli stesso la fierezza degli ultras zagabresi, o la progressiva estinzione della componente di sinistra dalla Torcida dell’Hajduk Spalato, senza dimenticare le tensioni interetniche nelle tifoserie bosniache che ricostruivano un prisma di quanto accaduto pochi anni addietro nelle strade insanguinate del Paese.
Infatti, un altro grande merito del libro è che contrariamente a quanto pure poteva essere preventivato, esso si occupa delle vicende di tutte le ex repubbliche venutesi a creare dalla dissoluzione della Jugoslavia, trovando per ognuna di esse una chiave interpretativa per decifrare il reale portato dell’approdo nel nuovo ordine mondiale che ha visto propria l’ex Jugoslavia il banco di prova più impegnativo alle porte dell’Occidente – e in questa ottica la ricostruzione delle vicende che hanno portato al Gay Pride di Belgrado e alle contestazioni che ne seguirono, è davvero illuminante.
Un libro davvero ottimo, da non perdere assolutamente per gli amanti del genere, ma in generale da leggere sia per chi voglia conoscere gli aneddoti di alcune delle squadre più affascinanti d’Europa, ma anche per rendersi conto ulteriormente di come il calcio possa essere una validissima cartina tornasole per comprendere e interpretare la realtà circostante.
Giuseppe Ranieri