Da qualche tempo, come già accennato in un post di qualche tempo fa, ho preso l’abitudine di rovistare tra ciò che offre il mondo dei remainders.
Stavolta ho scovato un titolo per me molto molto accattivante, Il volo del portiere scritto da un’autrice a me sconosciuta (chiedo venia), Mariella Caporale.
Il fatto che pubblicasse con Limina però poteva essere una garanzia non da poco per un attento lettore come il sottoscritto. Di fatto mi ha conquistato anche la scelta dell’immagine di copertina un quadro nientepopodimeno che di Giuseppe Montanari (Calciatori - 1930) perché un buon libro si sceglie anche dalla proposta della copertina.
Nel complesso non ho saputo resistere e letta la quarta di copertina, che recita come di seguito, mi sono immerso nella lettura:
“Christian Rossini, portiere della polisportiva Virtus Roma, studente modello, con la passione del violino, cresciuto in una famiglia torinese benestante, si ritrova, appena quindicenne, sradicato dalla sua città natale e scaraventato nella cruda realtà della periferia romana. Conflitti sociali e generazionali e contrastanti modelli di vita si intrecciano…”
Il libro è entrato di diritto a far parte della mia libreria.
Documentandomi bene ho poi scoperto che il libro ha vinto anche la Selezione Bancarella Sport 2005. Non poco penso e parto con la lettura.
Sono pieno di aspettative all’inizio, bramo storie di parate gloriose e irriducibili cadute, periferia romana tra spari e droga. Sangue e lacrime così come in un film ( o telefilm) già visto.
Invece no, trovo un libro che mi “tradisce”, niente banda della Magliana, niente anni di piombo, niente storie di coltelli e a dirla tutta neanche di calcio se non quella pedante della descrizione delle fasi gioco.
Non so se lasciarlo, non è mia abitudine non finire un libro. Voglio un’emozione che non trovo nei primissimi capitoli.
Una stroncatura è questa che faccio, penserete. Invece no, il meglio nasce con la speranza del bello e qui Il volo del portiere non tradisce.
Il libro si apre e i personaggi si scoprono, la vita nelle sue sfaccettature viene spiattellata, consumata. E se non cado nel tranello di facili entusiasmi letterari, il libro si inerpica nel mio essere padre, calciatore (ex) e cittadino di Roma. Ci trovo dentro le descrizioni di una delicatezza linguistica, sempre più verosimili sempre più credibili. Cresco sudo e lotto improvvisamente col protagonista Cristian, seguo il dramma migratorio, che tu sia ricco o povero, il distacco dalle radici, immetterne delle altre, cambiare comunità rimane comunque un trauma, e qui la Caporale è maestra, descrive lo sradicamento dell’intera famiglia nelle sue componenti. Ma è Christian il più colpito. L’evidenza delle difficoltà di entrare in un nuovo gruppo già sedimentato, il coraggio, le dinamiche , i primi amori….
La storia nella sua ultima parte è lacerante, io sono Christian lui è me. Manca un ultimo tassello per rendere questa storia straziante e bellissima. Il dolore della malattia, le reazioni di fronte a essa, la forza e le debolezze, i crolli, la rinascita, l’ amore spezzato, l’amicizia, anzi l’amico ritrovato…
È un turbinio di emozioni con uno sfondo di terra e brecciolino, di un ragazzo torinese che attraverso il calcio ha imparato la morale sugli uomini e sulla famiglia così come disse quel gran filosofo di Albert Camus.
Ovviamente consiglio, specie se avete una gran voglia di piangere.
Daniele Poma